Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29139 del 05/12/2017


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Cassazione civile, sez. I, 05/12/2017, (ud. 28/09/2017, dep.05/12/2017),  n. 29139

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Messina con sentenza del 4 febbraio 2014 ha confermato la decisione del Tribunale della stessa città dell’8 maggio 2008, la quale, per quanto qui rileva, ha dichiarato improcedibile la domanda proposta nel gennaio 2007, ai sensi dell’art. 2497 c.c., comma 1, da IG s.r.l. ed M.A.P., soci di minoranza della Sit Telecomunicazioni s.r.l., avverso la controllante di quest’ultima, la Getronics Solutions Italia s.p.a., nonchè contro la Getronics Finance Holdings B.V., unica azionista della prima; la corte d’appello ha, inoltre, confermato la decisione di primo grado, laddove essa ha statuito la competenza del giudice ordinario e l’insussistenza della competenza arbitrale sull’azione proposta nei confronti degli amministratori della società dominata.

La corte territoriale ha condiviso la tesi del tribunale, secondo cui la procedibilità della domanda dei soci della controllata, volta alla condanna della capogruppo (e della controllante di questa, dopo l’estinzione della stessa) al risarcimento del danno per la violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale, è subordinata alla preventiva escussione del patrimonio della controllata medesima.

Ha ritenuto che a tale conclusione induce il dato letterale della norma, il quale individua il patrimonio della società dominata come da aggredire in prima battuta, nonchè il corretto equilibrio tra le posizioni dei soci e creditori della controllata e quelle dei soci e creditori della controllante, evitando che i soci esterni di questa siano inutilmente aggrediti.

Quanto alla eccezione di difetto di giurisdizione, sollevata dagli ex amministratori della società dominata, ha osservato che la clausola compromissoria è stata eliminata dall’assemblea straordinaria di SIT Telecomunicazioni s.p.a. del 28 febbraio 2006, onde, ai sensi dell’art. 5 c.p.c., resta irrilevante la sua vigenza al momento in cui i convenuti ricoprirono la carica di amministratori, essendo stata l’azione proposta solo nel gennaio 2007.

Avverso questa sentenza propone ricorso la IG s.r.l., affidato a tre motivi, cui resistono con controricorso la Getronics Finance Holdings B.V., nonchè gli ex amministratori, proponendo altresì questi ultimi ricorso incidentale per un motivo.

La ricorrente ha depositato la memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – La ricorrente principale propone avverso la sentenza impugnata tre motivi di ricorso, che possono essere come di seguito riassunti:

1) violazione e falsa applicazione dell’art. 2497 c.c., commi 1 e 3, avendo la norma posto una responsabilità diretta, nei confronti dei soci della società soggetta all’altrui direzione e coordinamento e dei suoi creditori, in capo alla società che tali attività esercita, laddove la società controllata è il soggetto direttamente danneggiato dalla condotta abusiva.

Al contrario, non è stata prevista un’azione dei soci esterni e dei creditori contro la società controllata “abusata”, essendo la condotta abusiva imputabile soltanto alla capogruppo.

L’art. 2497 c.c., comma 3, pertanto, non pone affatto un beneficio d’escussione, in particolare quanto all’azione dei soci (pur potendo forse interpretarsi in tal senso la norma con riguardo all’azione del creditore), difettando un’obbligazione, tantomeno plurisoggettiva, in capo alla dominata, dal momento che i soci non sono creditori della stessa, nè possono da questa pretendere il risarcimento dei danni cd. riflessi: tanto è vero che non è contemplata la chiamata in giudizio della dominata; mentre la tesi seguita dalla corte del merito addossa ai soci di minoranza i rischi d’insolvenza della holding e di cancellazione della dominata (come avvenuto nella specie) ne(corso del giudizio avverso quest’ultima. Occorre, dunque, attribuire natura squisitamente fattuale alla vicenda descritta dalla norma.

Essendo stata, peraltro, la controllata italiana cancellata dal registro delle imprese il 17 maggio 2007 ed essendosi dunque estinta ai sensi dell’art. 2495 c.c., in capo all’unica azionista olandese alla responsabilità ex art. 2497 c.c. si aggiunge quella patrimoniale per tutte le obbligazioni della controllata non soddisfatte, come stabilito dalle Sezioni unite con la sentenza n. 6072 del 2013.

Infine, nel caso di specie, accanto all’insussistenza teorica della predetta condizione di proponibilità dell’azione, in pratica essa sarebbe irrealizzabile, non esistendo più un patrimonio escutibile del soggetto ormai estinto;

2) violazione e falsa applicazione dell’art. 2497 c.c., commi 1 e 3, ed illegittimo omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, in quanto la corte del merito non ha considerato la circostanza della richiesta di risarcimento stragiudiziale, inviata il 20 settembre 2006 dalle socie anche alla società dominata;

3) violazione dell’art. 92 c.c., comma 2, perchè, dovendo la sentenza d’appello essere cassata per i motivi predetti, anche la compensazione delle spese di lite non si giustifica più.

1.2. – Il motivo del ricorso incidentale deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1372 c.c. e art. 5 c.p.c., posto che, allorchè i controricorrenti ricoprivano la carica di amministratori della SIT Telecomunicazioni s.p.a., lo statuto sociale prevedeva all’art. 42 una clausola compromissoria, la quale devolveva ad un collegio arbitrale anche tutte le controversie promosse da e contro gli amministratori: la successiva modifica statutaria, operata quando essi non erano più nella carica, rimane quindi per essi irrilevante.

2. – Il primo motivo del ricorso principale è fondato.

2.1. – Lo “statuto giuridico” della società eterodiretta, come risulta dall’art. 2497 c.c., è stato talora definito “ambivalente”, posto che, nell’ambito dei primi tre commi della disposizione, essa sembra passare dalla posizione di soggetto abusato titolare della tutela – sanzionando il primo comma la violazione dei principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale della dominata – a quella di soggetto che, ai sensi del terzo comma, in prima battuta pare chiamato ad eliminare il pregiudizio patito dai suoi soci di minoranza.

Secondo quest’ultima previsione, che giova ricordare ai fini della sua esegesi, “(i)l socio ed il creditore sociale possono agire contro la società o l’ente che esercita l’attività di direzione e coordinamento, solo se non sono stati soddisfatti dalla società soggetta alla attività di direzione e coordinamento”.

La norma, è stata letta da taluno – in entrambi i casi, ben oltre la reale portata precettiva – come fondante ora una responsabilità in capo alla holding per i debiti della controllata, ora in capo a quest’ultima per la responsabilità risarcitoria di quella.

Questa Corte ha già avuto modo di affermare come la società, che, ai sensi dell’art. 2497 c.c., abbia abusato dell’attività di direzione e coordinamento, e che per ciò risponde del risarcimento del danno derivante dal cattivo esercizio del potere di direzione sulla società eterodiretta, non possa dirsi condebitrice solidale con essa, in forza del terzo comma di tale disposizione, onde non è obbligata per il pagamento dei debiti insoddisfatti verso i creditori di questa (Cass. 12 giugno 2015, n. 12254). Nel respingere la tesi, in quel giudizio perorata, secondo cui la responsabilità della holding si aggiungerebbe a quella gravante in primis sulla dominata, si è negato che sul citato comma possa fondarsi la ricostruzione di una responsabilità della società controllante sussidiaria rispetto a quella della società eterodiretta, di tipo patrimoniale, per i debiti non soddisfatti di questa.

Dei due segmenti di “responsabilità solidale sussidiaria” che parte degli interpreti ha voluto intravvedere nell’art. 2497 c.c., comma 3 – condebito per obbligo primario, condebito per danni – il precedente menzionato ha tracciato solo il primo, escludendo che sulla capogruppo gravi una responsabilità patrimoniale per le obbligazioni insoddisfatte della controllata.

Ed ha, poi, aggiunto – al solo fine di escludere una simile valenza della disposizione, non quale ratio decidendi e con riguardo ai creditori della controllata – che l’art. 2497 c.c., comma 3, si limita ad individuare “piuttosto… una condizione di ammissibilità dell’azione di responsabilità prevista nel primo comma verso i creditori della società eterodiretta”. Non, dunque, un precedente ai fini della presente decisione.

Ebbene, il secondo segmento menzionato va ora tracciato, specificamente con riguardo ai soci esterni della società controllata, quali sono gli attori in giudizio.

2.2. – Potrebbe, ad una sommaria lettura, sembrare che i soci esterni della società eterodiretta siano addirittura gravati da un onere di preventiva escussione della medesima: essi, cioè, sarebbero tenuti a convenire in giudizio la propria società e solo se insoddisfatti potrebbero agire contro la società capogruppo. La tesi si scinde poi tra chi ritiene il beneficio di escussione operi in sede di giudizio di cognizione e chi, invece, sulla scorta dei precedenti interpretativi formatisi sull’art. 1304 c.c., lo pone solo in sede esecutiva.

Tale tesi, tuttavia, in entrambe le sue declinazioni, non convince, un’interpretazione condotta secondo la lettera e la ratio dell’art. 12 preleggi inducendo a diversa conclusione.

Sotto il profilo letterale, la norma parla anzitutto di “agire” con riguardo unicamente alla capogruppo, non alla società dominata; mentre a tale azione è di ostacolo la circostanza concreta che il socio o il creditore siano stati “soddisfatti” nel loro pretese: espressione, pertanto, che evoca la tacitazione del debito, così che non si abbia più nulla a pretendere (cfr. artt. 2312 e 2324 c.c., art. 2332 c.c., comma 3, art. 2495 c.c.).

Il legislatore aveva a disposizione il testo di numerose altre disposizioni, in cui il sintagma del “beneficio d’escussione”, certamente monosemico, viene utilizzato: si vedano ad esempio gli artt. 563,1944,2268,2304 e 2868 c.c., art. 63 disp. att. c.c., e così via.

Invece, il legislatore stesso ha prescelto una formulazione tutt’affatto diversa: non ha attribuito ai soci esterni ed ai creditori il diritto al risarcimento verso la società partecipata ed ha disposto che il diritto al risarcimento del danno vantato verso la controllante, previsto dal comma 1, possa farsi valere solo allorchè essi non siano stati “soddisfatti” dalla società controllata.

Altro è predicare un beneficio d’escussione, in sede di cognizione o di esecuzione: il quale, come condivisibilmente osservato nel ricorso, finirebbe per contraddire la stessa ratio della tutela, posto che la società eterodiretta dovrebbe addirittura essere convenuta in giudizio ed escussa prima che il socio esterno della medesima società sia abilitato a chiedere il risarcimento del cd. danno riflesso alla controllante – vera novità della disciplina sui gruppi introdotta dalla riforma – con sicuri ritardi e rischi a loro carico degli imprevisti che possano colpire le società controparti.

Inoltre, la (in tesi obbligata) proposizione dell’azione contro la società eterodiretta, volta a riparare il danno subito – per quanto in questa sede rileva – dai soci esterni, incide anche, com’è noto, sul valore della loro stessa partecipazione sociale, nonchè poi degli altri soci che non abbiano proposto analoga azione: che è proprio il pregiudizio contro cui l’art. 2497, comma 1, mira ad offrire tutela.

La dottrina convincentemente segnala come sarebbe sistematicamente pericoloso postulare che la società eterodiretta sia tenuta, essa stessa, a risarcire i suoi soci: non solo perchè la società dominata è proprio il soggetto danneggiato, ma anche in quanto i casi di attribuzione patrimoniale ai soci sono tipici ed eccezionali (si pensi altresì alla regola della postergazione) e per il rischio di posizioni collusive volte a svuotare il patrimonio della dominata.

Per quanto riguarda i creditori, ai fini di completezza del quadro, giova osservare come il pregiudizio che li riguarda, posto dall’art. 2497 c.c., comma 1, sia quello all’interesse strumentale alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale della propria debitrice in quanto presupposto per favorire il buon esito del credito. Dal momento che per loro il danno consiste nel pregiudizio all’integrità del patrimonio sociale causato dalla capogruppo, perchè esso sussista sarà per definizione necessario che abbiano richiesto l’adempimento ed il patrimonio della controllata si sia palesato insufficiente (cfr. art. 2394 c.c.): in tal senso, quest’ultima situazione è addirittura il presupposto del sorgere della responsabilità della capogruppo, non una mera condizione di procedibilità. Onde il creditore, secondo le regole generali, dovrà essere pagato dalla società sua debitrice, in mancanza potendo far valere il pregiudizio patito a causa della cattiva direzione della capogruppo contro quest’ultima. Ma non sembra far riferimento a ciò l’art. 2497 c.c., comma 3: norma che contempla una diversa situazione fattuale per il creditore, analoga a quella prevista per il socio, successiva al sorgere del credito risarcitorio (laddove il creditore, per la regola posta dal citato presupposto, avrà cioè già potuto constatare la lesione all’integrità del patrimonio sociale e l’inadempimento della società sua diretta debitrice), consistente allora nel pagamento, pur tardivo, del dovuto da parte della società controllata, oppure anche in misure ripristinatorie dell’integrità del patrimonio della stessa società debitrice, così nuovamente idoneo a costituire per lui la garanzia patrimoniale generica ex art. 2740 c.c., mediante ogni forma all’uopo prevista dal diritto societario (copertura delle perdite, aumento del capitale, versamenti a fondo perduto appostati a riserva, ecc.), con conseguente eliminazione del pregiudizio cui tende la tutela predisposta dal primo comma della norma in commento.

In effetti, il legislatore – dopo avere configurato la responsabilità verso i soci esterni e i creditori della controllata in capo al soggetto che abbia abusato dei suoi poteri di direzione e coordinamento, violando le regole di corretta gestione societaria ed imprenditoriale della società controllata – ha delimitato o escluso la responsabilità della capogruppo in tre casi, in cui un danno risarcibile non esiste più: perchè è mancante, alla luce del risultato complessivo dell’attività di direzione e coordinamento (comma 1, ultima parte, prima ipotesi); è integralmente eliminato, anche a seguito di operazioni a ciò dirette (comma 1, ultima parte, seconda ipotesi); o è azzerato dalla stessa società controllata, che abbia soddisfatto la pretesa risarcitoria (comma 3), secondo un meccanismo meramente “fattuale”.

In presenza di un vantaggioso (o almeno neutrale) risultato complessivo dell’attività di direzione e coordinamento per la società dominata, dell’eliminazione specifica del danno mediante operazioni a ciò dirette o da parte della stessa controllata – tutte evenienze che in giudizio la holding sarà onerata di allegare e provare, in caso di esito positivo con sopravvenuta carenza d’interesse all’azione proposta – la responsabilità della controllante viene meno, semplicemente perchè un pregiudizio non esiste più, quale elemento costitutivo, sul piano oggettivo, della fattispecie risarcitoria.

Non giova, in contrario, osservare come, ove si acceda a tale interpretazione, ne deriverebbe la superfluità del terzo comma dell’art. 2497 c.c.: perchè esso può ragionevolmente ritenersi volto semplicemente ad impedire l’azione risarcitoria verso la capogruppo, pur quando non direttamente questa, ma la sua controllata abbia azzerato il danno (altro è poi il meccanismo interno tra le due società, che verosimilmente contemplerà il rimborso o la preventiva messa a disposizione del dovuto da parte della holding).

Se si vuole, il maggiore distacco dai principi generali opera con riguardo, piuttosto, alla fattispecie dei vantaggi compensativi, ove l’effetto positivo proveniente da un’operazione anche diversa o successiva rispetto al singolo atto dannoso è idonea ad escludere il risarcimento (in contrasto con la regola secondo cui la compensatio lucri cum damno opera solo quando il lucro sia conseguenza immediata e diretta dello stesso fatto illecito che ha prodotto il danno); mentre con quei principi sono del tutto coerenti le altre due fattispecie.

Se un terzo paga il debito risarcitorio altrui, questo viene meno, secondo il meccanismo dell’art. 1180 c.c., che il legislatore ha in definitiva previsto nell’art. 2497 c.c., comma 3, per quanto attiene alla soddisfazione del socio esterno, qui rilevante: con disposizione che contempla, peraltro, profili di specialità, sia quanto al terzo adempiente, non estraneo all’organizzazione sociale del debitore a titolo risarcitorio, ma società da questo dominata, sia con riguardo alla (implicita) esclusione del possibile rifiuto del creditore nel ricevere la prestazione (vuoi che abbia interesse a che il debitore la esegua personalmente, vuoi per l’opposizione palesata dal debitore). Nell’ambito del gruppo, ed in coerenza con la natura causale astratta della fattispecie ora menzionata, l’adempimento da parte della società controllata di un debito che è esclusivamente altrui – quello risarcitorio a carico della capogruppo – assumerà una connotazione particolare con riguardo alla cd. causa concreta.

“Soddisfatti”, dunque, a seconda del rispettivo diritto soggettivo: in quanto il socio sia stato risarcito dalla controllata per il pregiudizio subito al valore e alla redditività della partecipazione sociale; o in quanto, dal suo canto, il creditore sia stato pagato dalla controllata, con estinzione allora sia del debito originario patrimoniale gravante sulla medesima, sia del debito risarcitorio gravante sulla controllante con riguardo alla lesione cagionata all’integrità del patrimonio della controllata; in entrambi i casi, l’espressione ricomprende ogni modalità che permetta al socio o al creditore il conseguimento dell’utilità loro spettante.

La prospettiva assunta riconosce in capo al socio esterno o al creditore interessi meramente patrimoniali, connessi nel primo caso alla qualità di soggetto interessato essenzialmente alle sorti del proprio investimento finanziario e nel secondo di controparte contrattuale in sè disinteressata alle vicende societarie interne.

In definitiva, reputa il Collegio che la norma in esame non preveda una condizione di procedibilità dell’azione del socio contro la società che esercita l’attività di direzione e coordinamento, costituita dall’infruttuosa escussione della società controllata – il cd. beneficium escussionis – e neppure un cd. beneficium ordinis, in assenza di rapporto obbligatorio solidale nel debito risarcitorio. Se non sussiste un beneficio d’escussione, in via di cognizione o di esecuzione, nè un onere di formale messa in mora stragiudiziale della controllata, il socio poi neppure è titolare della pretesa di essere da questa risarcito per fatto altrui, vale a dire della controllante (pur godendo delle azioni ex artt. 2393-bis, 2395 e 2476 c.c. avverso gli amministratori della dominata; nonchè eventualmente, ma è tema affatto estraneo a questa sede, delle azioni risarcitorie per c.d. responsabilità deliberativa, nella riforma sostitutive della tutela reale caducatoria, ai sensi dell’art. 2377, comma 4, art. 2378, comma 2, art. 2379-ter, comma 3, ecc.), ossia non ha azione risarcitoria con quel petitum e causa petendi contro la società eterodiretta, priva di legittimazione passiva, sia pure quale coobbligata, nell’azione risarcitoria per direzione abusiva ex art. 2497 c.c..

3. – Il secondo motivo è assorbito, come pure il terzo, quest’ultimo non formulato peraltro quale censura autonoma, risultando in esso enunciato piuttosto l’auspicato esito, circa le spese, dell’accoglimento degli altri due.

4. – Con riguardo al ricorso incidentale, è pregiudiziale, precludendo l’esame del motivo, il rilievo d’ufficio della inammissibilità dell’appello sul punto.

La sentenza del Tribunale di Messina dell’8 maggio 2008 ha separato dalle altre la causa proposta avverso i convenuti, odierni ricorrenti incidentali, dopo avere respinto l’eccezione di “difetto di giurisdizione” per clausola arbitrale statutaria.

Proposto appello, la corte territoriale ha confermato la medesima statuizione.

Tuttavia, la pronuncia di primo grado, che ha deciso solo sulla competenza della domanda proposta avverso A., B. e M., poteva essere impugnata unicamente con il regolamento necessario di competenza, di cui all’art. 42 c.p.c., avendo pronunciando sulla competenza senza decidere il merito della causa in questione (cfr. Cass. 25 ottobre 2016, n. 21523).

Al riguardo, questa Corte ha anche chiarito (Cass. 21 novembre 2006, n. 24681), che la sentenza non definitiva, con la quale il giudice di primo grado si sia limitato ad affermare la propria competenza, è impugnabile esclusivamente ed immediatamente con il regolamento necessario di competenza, nei modi e nei termini di cui all’art. 47 c.p.c.; pertanto, l’appello proposto contro tale sentenza, al pari di quello avanzato contro la decisione definitiva a seguito di riserva di impugnazione differita, è inammissibile, e tale inammissibilità, se non dichiarata dal giudice di secondo grado, è rilevabile anche d’ufficio in sede di legittimità.

Laddove, quindi, la Corte di cassazione abbia rilevato d’ufficio una causa di inammissibilità dell’appello, che il giudice del merito non abbia riscontrato, ne consegue la cassazione senza rinvio della sentenza di secondo grado oggetto di gravame (Cass. 27 novembre 2014, n. 25209; nonchè, e multis, 26 luglio 2016, n. 15370; 13 novembre 2009, n. 24047).

5. – In conclusione, la sentenza impugnata va cassata, in accoglimento del primo motivo del ricorso principale, con rinvio alla Corte d’appello di Messina, in diversa composizione, perchè prosegua il giudizio, dovendosi enunciare il seguente principio di diritto: “L’art. 2497 c.c., comma 3, non prevede una condizione di procedibilità dell’azione contro la società che esercita l’attività di direzione e coordinamento, costituita dalla infruttuosa escussione, da parte del socio della società controllata, del patrimonio di questa o dalla previa formale richiesta risarcitoria ad essa rivolta, avendo il legislatore posto unicamente in capo alla società capogruppo l’obbligo di risarcire i soci esterni danneggiati dall’abuso dell’attività di direzione e coordinamento”.

Al giudice del merito si demanda la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità relativo alla causa avente ad oggetto la responsabilità della società che esercita la direzione e il coordinamento, di cui al ricorso principale.

6. – Tenuto conto, infine, della cassazione senza rinvio con riguardo alla statuizione di conferma del diniego della competenza arbitrale sulla causa di responsabilità nei confronti degli amministratori, occorre provvedere, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 2, alla regolazione delle spese di appello (pendendo, per il merito, secondo le affermazioni dei difensori, la relativa controversia in primo grado), nonchè delle spese del presente giudizio di legittimità: ma, in considerazione del rilievo officioso della questione, esse vengono interamente compensate.

Non può trovare applicazione, infine, il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione, posto che i ricorrenti incidentali non sono tecnicamente soccombenti e deve interpretarsi restrittivamente la norma in questione, in quanto lato sensu sanzionatoria (Cass. 25 febbraio 2016, n. 3703).

PQM

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbiti gli altri; in relazione al motivo accolto, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa per il prosieguo del giudizio innanzi alla Corte d’appello di Messina, in diversa composizione, demandando altresì ad essa la liquidazione delle spese di legittimità; pronunciando sul ricorso incidentale, cassa senza rinvio in parte qua la sentenza impugnata perchè l’appello incidentale non poteva proporsi, compensando al riguardo per intero tra le parti le spese dell’appello e del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 28 settembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2017

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