Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29138 del 21/12/2020

Cassazione civile sez. I, 21/12/2020, (ud. 27/11/2020, dep. 21/12/2020), n.29138

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3036/2019 proposto da:

P.O., elettivamente domiciliato in Genova, Via Dante 2 int. 109,

presso l’avv. Damiano Fiorato, che lo rappresenta e difende per

procura speciale allegata al ricorso per cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1144/2018 della CORTE D’APPELLO di Genova,

depositata il 10/7/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

27/11/2020 dal Dott. Roberto Bellè.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

la Corte d’Appello di Napoli ha rigettato l’appello proposto da P.O. avverso l’ordinanza del Tribunale della stessa città che aveva

disatteso la sua domanda di protezione internazionale;

P.O. ha proposto ricorso per cassazione con quattro motivi;

il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

con il primo motivo il ricorrente ha denunciato la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e c), in combinato disposto con il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, per non avere la Corte territoriale correttamente valutato la normativa in materia di protezione sussidiaria e le regole procedurali proprie di tale ambito;

la Corte territoriale ha tuttavia escluso, sulla base di una fonte da essa espressamente citata ((OMISSIS)) e di report di Amnesty International, che la zona del Delta State, in Nigeria, da cui il ricorrente proviene, fosse caratterizzata da una situazione di violenza;

il motivo replica in modo assolutamente generico, non prendendo neppure puntuale posizione sulle fonti citate, nè argomentando alcunchè di preciso sulla pur menzionata (in rubrica) specifica fattispecie di cui art. 14 cit., lett. b);

con il secondo motivo è dedotta violazione e/o falsa applicazione (art. 360 c.p.c., n. 3) del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, in combinato disposto con il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in tema di protezione umanitaria;

la Corte di merito sul punto ha ritenuto che non fossero emersi elementi tale da far ritenere la sussistenza di una situazione di vulnerabilità soggettiva ed il motivo neppure replica sul punto, insistendo infondatamente per una comparazione tra la vita nel paese di provenienza e quella in Italia, non idoneamente supportata dalla soltanto generica affermazione che il rimpatrio potrebbe comportare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani.

il terzo e quarto motivo sostengono l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5), con riferimento al cultismo, quale forma autoctona di mafia, coinvolta nel crimine organizzato e da cui secondo il ricorrente deriverebbero pericoli tali da giustificare la tutela umanitaria;

tali motivi, intanto, facendo riferimento al coinvolgimento del ricorrente in fenomeni di “cultismo”, presupporrebbero la fondatezza del racconto posto a fondamento della domanda di protezione, in cui si fa riferimento ad uno zio aderente a setta spiritualistica e a pratiche di malocchio, mentre la Corte territoriale, con valutazione non efficacemente attinta da impugnazione, ha valutato tale narrazione come inverosimile, contraddittoria e generica;

nel motivo di ricorso si fa poi riferimento a concrete violenze (avvelenamenti etc.), poste in essere dai cultisti, di cui però non vi è traccia alcuna nella sentenza impugnata e che quindi il ricorrente non prova non costituire in realtà un nuovo profilo di indagine (Cass. 9 agosto 2018, n. 20694; Cass. 13 giugno 2018, n. 15430; Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675);

la denuncia della mancata considerazione del percorso di integrazione in Italia, la sproporzione nel godimento dei diritti fondamentali tra i due paesi e la vulnerabilità del ricorrente sono poi affermati con modalità assolutamente generiche, consistendo essi nella mera affermazione di alcuni dei presupposti della tutela umanitaria, neppure circostanziati;

nulla sulle spese in quanto il Ministero è rimasto intimato.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 27 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2020

 

 

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