Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29128 del 18/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 18/12/2020, (ud. 05/11/2020, dep. 18/12/2020), n.29128

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. DELL�UTRI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 36527 dell’anno 2018, proposto da:

1) M.A., (C.F.: (OMISSIS)),

2) C.M., (C.F.: (OMISSIS)),

3) S.R., (C.F.: (OMISSIS)),

4) B.A.M., (C.F.: (OMISSIS)),

5) T.G., (C.F.: (OMISSIS)),

6) P.L., (C.F.: (OMISSIS)),

7) Z.A., (C.F.: (OMISSIS)),

8) CO.Mi., (C.F.: (OMISSIS)),

9) D.D.M., (C.F.: (OMISSIS)),

10) R.R., (C.F.: (OMISSIS)),

11) SI.Eu., m.m., (C.F.: (OMISSIS))

12) MA.Ca., (C.F.: (OMISSIS)),

13) c.p., (C.F.: (OMISSIS)),

14) BO.Sa., (C.F.: (OMISSIS)),

rappresentati e difesi dall’avvocato Giuseppe Spagnuolo,

(C.F.:(OMISSIS));

– ricorrenti –

nei confronti di:

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del

Consiglio dei Ministri pro tempore (C.F.: (OMISSIS)), MINISTERO

DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, in persona del

Ministro pro tempore (C.F.: (OMISSIS)), MINISTERO DELL’ECONOMIA E

DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore (C.F.:

(OMISSIS)), MINISTERO DELLA SALUTE, in persona del Ministro pro

tempore (C.F.: (OMISSIS)), rappresentati e difesi dall’Avvocatura

Generale dello Stato, (C.F.: (OMISSIS));

– controricorrenti –

per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Roma n.

4608/2018, pubblicata in data 4 luglio 2018;

udita la relazione sulla causa svolta nella camera di consiglio in

data 5 novembre 2020 dal consigliere Augusto Tatangelo.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

I medici indicati in epigrafe quali ricorrenti, deducendo di non avere ricevuto la remunerazione prevista dalla Dir. CEE n. 75/362, dalla Dir. CEE n. 75/363, e dalla Dir. CEE n. 82/76, per la frequenza di corsi di specializzazione universitaria, hanno agito in giudizio nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, del Ministero della Salute e del Ministero dell’Economia e delle Finanze, per ottenere il risarcimento del danno derivante dalla mancata attuazione delle suddette direttive comunitarie.

Le domande sono state rigettate dal Tribunale di Roma, che ha ritenuto prescritti i diritti fatti valere in giudizio.

La Corte di Appello di Roma ha confermato la decisione di primo grado.

Avverso tale decisione ricorrono i medici indicati in epigrafe quali ricorrenti, sulla base di quattro motivi.

La Presidenza del Consiglio dei Ministri, il M.I.U.R., il Ministero della Salute ed il Ministero dell’Economia e delle Finanze resistono con controricorso.

E’ stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375,376, e 380 bis c.p.c., in quanto il relatore ha ritenuto che il ricorso fosse destinato ad essere dichiarato manifestamente infondato.

E’ stata quindi fissata con decreto l’adunanza della Corte, e il decreto è stato notificato alle parti con l’indicazione della proposta.

I ricorrenti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 2.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “Violazione e falsa applicazione delle norme sulla prescrizione, la cui decorrenza del termine decennale, tutt’al più, va calcolata a far data dal 02.11.2007, data in cui lo Stato ha attuato le direttive CEE con il D.C.P.M. datato 07 marzo 2007, con il D.C.P.M. datato 06 luglio 2007, e con il D.C.P.M. datato 02 novembre 2007, comunque non conforme e per cui il dies a quo non sarebbe decorso ad oggi (art. 360 c.p.c., n. 5)”.

Con il secondo motivo si denunzia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., per come novellato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012 (art. 360 c.p.c. n.3)”.

I primi due motivi del ricorso riguardano la questione della prescrizione dei diritti fatti valere dai ricorrenti, sono logicamente connessi e possono quindi essere esaminati congiuntamente.

Secondo i ricorrenti la prescrizione dei diritti da loro fatti valere non decorrerebbe dal 27 ottobre 1999, come affermato dalla corte di appello, ma da data non anteriore al 2 novembre 2007. Di conseguenza, essendo stato notificato l’atto di citazione introduttivo del presente giudizio nel 2012, la prescrizione non potrebbe ritenersi affatto maturata, anche a prescindere da eventuali atti interruttivi. Sarebbe di conseguenza priva di rilievo anche la circostanza, che la corte di appello ha posto a base della decisione, per cui gli eventuali atti interuttivi non sarebbero stati specificamente indicati dagli appellanti nell’atto di gravame.

I motivi in esame sono manifestamente infondati.

La decisione impugnata è in diritto conforme all’indirizzo assolutamente costante di questa Corte (che nè il ricorso nè la successiva memoria dei ricorrenti offrono argomenti tali da indurre a rimeditare) secondo cui “il diritto al risarcimento del danno da tardiva ed incompleta trasposizione nell’ordinamento interno – realizzata solo con il D.Lgs. n. 257 del 1991, – delle Dir. nn. 75/362/CEE, e 82/76/CEE, relative al compenso in favore dei medici ammessi ai corsi di specializzazione universitari, si prescrive, per coloro i quali avrebbero potuto fruire del compenso nel periodo compreso tra il 1 gennaio 1983 e la conclusione dell’anno accademico 1990 – 1991, nel termine decennale decorrente dalla data di entrata in vigore (27 ottobre 1999) della L. n. 370 del 1999, art. 11, ha riconosciuto il diritto ad una borsa di studio soltanto in favore di quanti, tra costoro, risultavano beneficiari delle sentenze irrevocabili emesse dal giudice amministrativo” (cfr., da ultima: Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 16452 del 19/06/2019, Rv. 654419 – 01; in precedenza: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 10813 del 17/05/2011, Rv. 617338; tra le molte successive conformi: Sez. 3, Sentenza n. 10814 del 17/05/2011, 18/08/2011, 29/08/2011, 09/02/2012, 17/01/2013, 26/06/2013, 10/07/2013, 20/03/2014, Rv. 617341; Sez. 3, Sentenza Rv. 619125; Sez. 3, Sentenza Rv. 619542; Sez. 3, Sentenza 15/11/2016, Rv. 642976 – 01; Sez. 3, Ordinanza n. 13758 del 31/05/2018, Rv. 649044 – 01).

Non è specificamente contestato che il presente giudizio sia stato introdotto oltre 10 anni dopo il 27 ottobre 1999, nè i ricorrenti deducono specificamente, con i motivi di ricorso in esame, di aver posto in essere nelle more atti interruttivi della prescrizione.

L’unico riferimento ad un (preteso) atto interruttivo della prescrizione riguarda il ricorrente c., ma tale riferimento, oltre che incongruamente effettuato – nel ricorso – in relazione al terzo motivo (che riguarda in realtà il merito delle pretese e non la prescrizione), è rimasto del tutto generico, non essendo in alcun modo precisato, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, se ed in quale atto o in quale fase del giudizio di merito vi era stata una specifica allegazione di esso, nonostante la corte di appello affermi chiaramente nella sentenza impugnata che tutti i ricorrenti avevano in realtà genericamente affermato di avere interrotto la prescrizione, senza che nessuno di essi avesse indicato un preciso atto interruttivo (al punto da ritenere inammissibile lo stesso gravame in relazione a tale questione, neppure potendo valere alcuna integrazione del ricorso ad esso successiva).

Ne consegue che le censure di cui ai motivi di ricorso in esame certamente non possono trovare accoglimento.

Poichè la decisione impugnata risulta corretta nel suo dispositivo di rigetto nel merito dell’appello (e ciò anche a prescindere dal rilievo di inammissibilità dello stesso, operato peraltro dalla corte territoriale esclusivamente in motivazione ed esclusivamente in relazione alla questione dell’eventuale interruzione della prescrizione, non in relazione alla sua decorrenza), e pur con le precisazioni fin qui esposte (per quanto possa occorrere), detta decisione deve essere confermata.

2. Con il terzo motivo si denunzia “Violazione e falsa applicazione del Trattato CEE, artt. 5, e 189; delle Dir. CEE nn. 82/76, 75/363, e 93/16, delle sentenze della Corte di Giustizia Europea 25 febbraio 1999 (procedimento C-131/97) e del 3 ottobre 2000; Violazione e falsa applicazione del Protocollo n. 1 CEDU, art. 1; degli artt. 2,3,10 e 97 Cost.; del D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257, art. 6, e della L. n. 370 del 1999, art. 11; nonchè degli artt. 115, e 116 c.p.c., e degli artt. 1173, 1176, 1218, 1223, 1224, 2934, e 2935 c.c.. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, relativamente ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5)”.

Il motivo ha ad oggetto il merito dei diritti fatti valere dai ricorrenti nel presente giudizio.

Esso è inammissibile in quanto la conferma della decisione impugnata, nella parte in cui ha dichiarato prescritti tali diritti, assorbe ogni altra questione relativa alla loro esistenza.

3. Con il quarto motivo si denunzia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., comma 2, dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale (art. 360 c.p.c., n. 3)”.

I ricorrenti lamentano l’omessa compensazione delle spese del giudizio di appello.

Il motivo è manifestamente infondato.

La corte di appello ha correttamente applicato il disposto dell’art. 91 c.p.c., secondo il quale la parte soccombente va condannata al rimborso delle spese in favore di quella vittoriosa (cd. principio di soccombenza): non vi è dubbio infatti che la soccombenza dei ricorrenti nel giudizio di appello sia stata integrale.

Del resto, la facoltà di disporre la compensazione delle spese processuali tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (cfr. Cass., Sez. U, Sentenza n. 14989 del 15/07/2005, Rv. 582306 – 01; conf., in precedenza: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 851 del 01/03/1977, Rv. 384463 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 1898 del 11/02/2002, Rv. 552178 – 01; Sez. L, Sentenza n. 10861 del 24/07/2002, Rv. 556171 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 17692 del 28/11/2003, Rv. 572524 – 01; successivamente: Sez. 3, Sentenza n. 22541 del 20/10/2006, Rv. 592581 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 28492 del 22/12/2005, Rv. 585748 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 7607 del 31/03/2006, Rv. 590664 – 01).

4. Il ricorso è dichiarato inammissibile, anche ai sensi dell’art. 360 bis n. 1 c.p.c..

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La corte:

– dichiara inammissibile il ricorso;

– condanna i ricorrenti, in solido, a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore delle amministrazioni contro ricorrenti, liquidandole in complessivi Euro 6.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2020

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