Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29128 del 13/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 13/11/2018, (ud. 03/07/2018, dep. 13/11/2018), n.29128

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angelina Maria – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. FICHERA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 9/2012 R.G. proposto da:

Studio M. associazione professionale, (C.F. (OMISSIS)), in

persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e

difesa dall’avv. Vertua Valerio Edoardo, elettivamente domiciliata

presso lo studio degli avv.ti Franco, Paola e Mastrangeli Piera, in

Roma via Mondragone 10.

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, (C.F. (OMISSIS)), in persona del direttore pro

tempore;

Ministero dell’Economia e delle Finanze (C.F. (OMISSIS)), in persona

del ministro pro tempore;

– intimati –

Avverso la sentenza n. 143/7/2010 della Commissione Tributaria

Regionale del Friuli Venezia Giulia, depositata il giorno 10

novembre 2010.

Sentita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 3

luglio 2018 dal Consigliere Dott. Giuseppe Fichera.

Fatto

FATTI DI CAUSA

M.F. e T.P., componenti dello Studio M., associazione professionale, impugnarono l’avviso di accertamento spiccato dall’Agenzia delle Entrate, in relazione alla maggiore IVA e IRAP, dovuta dalla predetta associazione per l’anno d’imposta 2002.

Accolta parzialmente l’impugnazione in primo grado con la dichiarazione di nullità del diniego di accertamento con adesione, Agenzia delle Entrate propose appello innanzi alla Commissione Tributaria Regionale del Friuli Venezia Giulia, che con sentenza depositata il 10 novembre 2010, dichiarò inammissibile il ricorso introduttivo del giudizio, condannando alle spese l’associazione professionale.

Avverso la detta sentenza, Studio M., associazione professionale, ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, l’Agenzia delle Entrate e il Ministero dell’Economia e delle Finanze non hanno spiegato difese.

La ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis 1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In via preliminare occorre rilevare l’inammissibilità del ricorso nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze per difetto di legittimazione passiva.

E invero, in tema di contenzioso tributario, la legittimazione ad causam e ad processum spetta esclusivamente all’Agenzia delle entrate con riferimento ai procedimenti introdotti successivamente al 1 gennaio 2001, data in cui è divenuta operativa la sua istituzione, dovendosi invece considerare inammissibile la domanda azionata nei confronti del Ministero (Cass. 06/12/2017, n. 29183).

2. Con il primo motivo deduce la ricorrente la nullità della sentenza impugnata, per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 18,22 e 53, in quanto l’appello dell’Agenzia delle Entrate risulta notificato a soggetto diverso (lo studio associato ricorrente) dagli originari ricorrenti in primo grado (gli unici associati M.F. e T.P.).

Con il secondo motivo deduce la nullità della sentenza impugnata, per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 e degli artt. 112 e 277 c.p.c., poichè la commissione regionale ha omesso di pronunciare sull’eccezione di inammissibilità dell’appello, in quanto notificato a soggetto diverso da quello che aveva promosso il giudizio di primo grado.

3. Ritiene la Sezione che la sentenza impugnata debba essere cassata d’ufficio, per nullità del giudizio di appello.

3.1. Com’è noto, quando si controverte dell’IRAP dovuta da una società di persone, trattandosi di imposta assimilabile alla soppressa ILOR, da imputarsi per trasparenza ai soci, ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5, comma 1, sussiste il litisconsorzio necessario dei soci medesimi nel giudizio di accertamento avente per oggetto siffatta imposta (Cass. s.u. 29/05/2017, n. 13452; Cass. s.u. 20/06/2012, n. 10145).

E’ vero, poi, che l’accertamento di maggior imponibile IVA a carico di una società di persone, se autonomamente operato, non determina, in caso d’impugnazione, la necessità d’integrare il contraddittorio nei confronti dei suoi soci.

Tuttavia nel caso – quale è quello in esame – in cui l’Ufficio abbia contestualmente proceduto, con un unico atto, ad accertamenti ai fini anche di altre imposte (nella specie, come visto, in relazione all’IRAP), fondati su elementi comuni, il profilo dell’accertamento impugnato concernente l’imponibile IVA non si sottrae al vincolo necessario del simultaneus processus per l’inscindibilità delle due situazioni, in quanto insuscettibile di autonoma definizione (Cass. 14/03/2018, n. 6303).

E non v’è da dubitare che detti principi debbano trovare applicazione anche per le imposte IRAP dovute dalle associazioni senza personalità giuridica, costituite fra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni, le quali, ai sensi del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 3, comma 1, lett. b), attraverso il rinvio espresso al cennato D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5, comma 3, lett. c), sono da ritenersi equiparate alle società semplici.

3.2. Ancora, sempre con riferimento alla società di persone, questa Corte ha ribadito che nei giudizi instaurati nei confronti del predetto soggetto, ai fini della rituale instaurazione del contraddittorio, è sufficiente, dal punto di vista sia sostanziale che processuale, la presenza in giudizio di tutti i soci, nei quali si esaurisce la società (Cass. 02/12/2011, n. 25860); da tempo, invero, si è affermato che chi vuole convenire in giudizio una società di persone può notificare l’atto nei confronti della società, in persona del legale rappresentante, ovvero, in via equipollente, nei confronti di tutti gli altri soci, la cui presenza in giudizio configura presenza della società, difettando questa di distinta personalità (vedi Cass. 09/05/1977, n. 1781).

Anche di recente questa Corte ha affermato che l’appello proposto da tutti i soci di una società personale (nella specie, una società semplice) investe la stessa posizione di quest’ultima, che è priva di una soggettività distinta da quella dei primi e si identifica con la compagine sociale, sicchè neppure nei suoi confronti può ritenersi formato il giudicato (Cass. 20/08/2015, n. 17004).

3.3. A sua volta, lo studio professionale associato, anche se privo di personalità giuridica, rientra a pieno titolo nel novero di quei fenomeni di aggregazione di interessi (quali le società personali, le associazioni non riconosciute, i condomini edilizi, i consorzi con attività esterna e i gruppi europei di interesse economico di cui anche i liberi professionisti possono essere membri), cui la legge attribuisce la capacità di porsi come autonomi centri di imputazione di rapporti giuridici e che sono perciò dotati di capacità di stare in giudizio come tali, in persona dei loro componenti o di chi, comunque, ne abbia la legale rappresentanza secondo il paradigma indicato dall’art. 36 c.c. (Cass. 28/07/2010, n. 17683).

3.4. Dunque, quanto affermato da questa Corte con riferimento alle società di persone, può essere senz’altro esteso agli studi professionali associati – privi anch’essi di distinta ed autonoma personalità giuridica, esattamente come le società di persone -, con il risultato che ove in un giudizio siano stati parti tutti gli associati della medesima associazione professionale, quest’ultima deve ritenersi ritualmente partecipe della lite.

3.5. Può allora pronunciarsi il seguente principio di diritto: “In materia di accertamento dell’IRAP dovuta da uno studio professionale associato, trattandosi di imposta imputata per trasparenza agli associati, sussiste il litisconsorzio necessario sostanziale tra l’associazione e i suoi associati; tuttavia, ove nel giudizio siano stati parti tutti gli associati della medesima associazione professionale, quest’ultima deve ritenersi ritualmente partecipe della lite, difettando essa di distinta personalità giuridica”.

4. Nella vicenda all’esame, allora, correttamente il giudizio di primo grado, avente per oggetto un avviso di accertamento in materia di IRAP, si è celebrato alla presenza di tutti gli associati e, quindi, anche dello studio professionale M., mentre essendo stato notificato l’appello dell’Agenzia delle Entrate soltanto alla detta associazione professionale – senza che gli associati abbiano inteso poi costituirsi spontaneamente e senza che la commissione regionale abbia disposto l’integrazione del contraddittorio -, deve ritenersi violato il litisconsorzio necessario sostanziale tra le parti del giudizio di primo grado.

4.1. In definitiva, facendo applicazione dell’esposto principio di diritto, occorre dichiarare d’ufficio la nullità del giudizio di secondo grado; la sentenza impugnata deve quindi essere cassata con rinvio degli atti alla Commissione Tributaria Regionale del Friuli Venezia Giulia, in diversa composizione, per un nuovo esame, previa integrazione del contraddittorio, nonchè per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Dichiara la nullità del giudizio di secondo grado e, per l’effetto, cassa d’ufficio la sentenza impugnata; rimette gli atti alla Commissione Tributaria Regionale del Friuli Venezia Giulia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 3 luglio 2018.

Depositato in cancelleria il 13 novembre 2018

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