Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29126 del 18/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 18/12/2020, (ud. 05/11/2020, dep. 18/12/2020), n.29126

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 36192 del ruolo generale dell’anno

2018, proposto da:

IMMOBILIARE TEMA, S.r.l. (C.F.: (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore, R.O., rappresentato e difeso

dagli avvocati Giovanni Avesani (C.F.: (OMISSIS)) e Paolo Voltaggio

(C.F.: (OMISSIS));

– ricorrente –

nei confronti di:

P.C. (C.F.: PLT CLD 78D55 A462D);

– intimata –

per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Ancona n.

2235/2018, pubblicata in data 19 ottobre 2018 (e notificata in data

24 ottobre 2018);

udita la relazione sulla causa svolta nella camera di consiglio in

data 5 novembre 2020 dal consigliere Augusto Tatangelo.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

TE.MA. S.r.l. (oggi Immobiliare TE.MA. S.r.l.) ha agito in giudizio nei confronti di P.C. per ottenere il risarcimento dei danni derivanti dalla perdita di un bene mobile che era stato affidato in custodia alla convenuta nell’ambito di un procedimento esecutivo di espropriazione promosso contro la società di cui quest’ultima era legale rappresentante.

La domanda è stata accolta dal Tribunale di Ascoli Piceno.

La Corte di Appello di Ancona, in riforma della decisione di primo grado, la ha invece rigettata.

Ricorre Immobiliare TE.MA. S.r.l., sulla base di tre motivi.

Non ha svolto attività difensiva in questa sede l’intimata.

E’ stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375,376, e 380 bis c.p.c., in quanto il relatore ha ritenuto che il ricorso fosse destinato ad essere dichiarato manifestamente infondato.

E’ stata quindi fissata con decreto l’adunanza della Corte, e il decreto è stato notificato alle parti con l’indicazione della proposta.

La società ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 2.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “ex art. 360 c.p.c., n. 3: l’inammissibilità dell’appello e la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 342, e 348 bis c.p.c.”.

Il motivo è in parte manifestamente infondato, in parte inammissibile.

Secondo la società ricorrente, il gravame proposto dalla P. avverso la sentenza di primo grado avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile, in quanto non sufficientemente specifico, ai sensi dell’art. 342 c.p.c..

Risulta al contrario corretta e del tutto condivisibile la valutazione di ammissibilità dell’appello operata dalla corte territoriale, secondo la quale quest’ultimo, complessivamente inteso, consentiva di comprendere i motivi di doglianza della parte appellante, le parti della sentenza di cui veniva chiesta la modifica e le ragioni di fatto e di diritto che giustificavano tale richiesta, sulla base di un “supporto argomentativo idoneo a contrapporsi dialetticamente al tessuto motivazionale della pronuncia impugnata”.

Sotto tale aspetto, la decisione risulta del tutto conforme ai principi di diritto di recente ribaditi da questa Corte, a Sezioni Unite (cfr. Cass., Sez. U, Sentenza n. 27199 del 16/11/2017, Rv. 645991 – 01, secondo cui “gli artt. 342, e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice; resta tuttavia escluso, in considerazione della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata, che l’atto di appello debba rivestire particolari forme sacramentali o che debba contenere la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado”; in precedenza, nel medesimo senso, si vedano, ad es.: Cass., Sez. L, Sentenza n. 17712 del 07/09/2016, Rv. 640991 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 18932 del 27/09/2016, Rv. 641832 – 01; Sez. 3, Ordinanza n. 10916 del 05/05/2017, Rv. 644015 – 01; successivamente: Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 13535 del 30/05/2018, Rv. 648722 – 01).

E’ anzi lo stesso ricorso che difetta in proposito di sufficiente specificità, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, dal momento che la ricorrente non richiama – in esso – in modo adeguato, specifico ed esaustivo, il contenuto del gravame di controparte, in modo da consentire a questa Corte di verificare la correttezza del suo assunto e l’eventuale erroneità di quello contrario del giudice di secondo grado.

La dedotta violazione dell’art. 348 bis c.p.c., poi, non viene in realtà neanche adeguatamente e specificamente esposta nell’ambito dello sviluppo del motivo di ricorso in esame.

2. Con il secondo motivo si denunzia “ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2696, 2700, e 116 c.p.c.”.

Il motivo è in parte manifestamente infondato ed in parte inammissibile.

La società attrice aveva dedotto la responsabilità della P. per essere stato sottratto il bene affidato alla sua custodia (un mezzo meccanico, cd. “muletto”), in quanto, al momento dell’asporto per la vendita da parte dell’I.V.G., secondo la sua prospettazione, era stato reperito un bene in realtà diverso da quello pignorato.

Secondo la corte di appello, invece, non vi era affatto stata la dedotta sottrazione del “muletto”. Il bene reperito in sede di asporto era il medesimo bene oggetto del pignoramento, affidato in custodia alla P.. Esso non era stato affatto sottratto, onde non poteva ritenersi sussistente alcuna responsabilità della custode sotto tale profilo. La descrizione del bene contenuta nel verbale di pignoramento, diversamente da quanto ritenuto dal tribunale in primo grado, per i giudici di secondo grado non era affatto incompatibile, ma, al contrario, coincideva con quella emergente dalla verifica effettuata dal funzionario dell’I.V.G..

La società ricorrente sostiene, con il motivo di ricorso in esame, che sarebbero stati violati gli artt. 2697, e 2700 c.c., nonchè gli artt. 115, e 116 c.p.c., perchè, in relazione alla marca del “muletto”, per un verso, sarebbe stato riconosciuto sussistente dalla corte di appello un fatto contrario alle risultanze del verbale di pignoramento (atto pubblico facente piena prova fino a querela di falso), e per altro verso, non si sarebbe tenuto conto delle ammissioni della convenuta.

In realtà, la stessa ricorrente dà atto che, dal verbale di pignoramento, risultava che il “muletto” era “senza marca”.

E la corte di appello si è limitata in proposito a rilevare che l’indicazione della marca non risultava neanche nella descrizione del bene operata dal funzionario dell’I.V.G. in sede di asporto, in quanto la marca del “muletto” era stata indicata esclusivamente dal consulente di parte della P. nella sua relazione.

Tale ultima circostanza è stata peraltro – del tutto ragionevolmente – ritenuta non rilevante ai fini della decisione: secondo la corte territoriale, infatti, doveva ritenersi che il “muletto” “non recasse a vista il relativo marchio (rivelato soltanto dal CTP di parte convenuta)”.

I giudici di appello hanno cioè ritenuto che la marca del “muletto” fosse effettivamente quella indicata dal tecnico della P., ma essa non risultasse visibile sul mezzo, onde non era stata riscontrata nè dall’ufficiale giudiziario in sede di pignoramento nè dal funzionario dell’I.V.G. in sede di asporto.

Non è stata dunque ritenuta affatto sussistente una circostanza contraria alle risultanze del verbale di pignoramento e, di conseguenza, va esclusa la dedotta violazione degli artt. 2697, e 2700 c.c..

Nè risulta omessa la considerazione delle circostanze di fatto ammesse dalla convenuta, che sono state invece prese in esame e adeguatamente valutate ai fini della decisione, onde va esclusa anche la violazione degli artt. 115, e 116 c.p.c..

In definitiva, le censure di cui al motivo di ricorso in esame si risolvono nella contestazione di accertamenti di fatto fondati sulla corretta e prudente valutazione delle risultanze istruttorie e sostenuti da adeguata motivazione, non apparente nè insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale non censurabile nella presente sede, nonchè nella richiesta di una nuova e diversa valutazione delle prove, il che non è consentito nel giudizio di legittimità

3. Con il terzo motivo si denunzia “ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: violazione e/o falsa applicazione dell’art. 67 c.p.c., e dell’art. 1218 c.c.”.

Secondo la società ricorrente, poichè il bene pignorato non era stato asportato e venduto dall’I.V.G. in quanto ritenuto diverso da quello pignorato, spettava alla custode dimostrare, ai sensi dell’art. 1218 c.c., l’inesistenza dell’inadempimento o della causa non imputabile dello stesso, prova che non era stata fornita, in quanto la stessa corte di appello aveva ritenuto che non vi erano elementi che consentivano “di affermare ma neppure di escludere che il mezzo non fosse già fermo alla data del pignoramento e che, di conseguenza, alla data del sopralluogo dell’IVG… non fosse fermo da molti mesi”.

La censura è manifestamente infondata.

In primo luogo, con riguardo alla specifica questione cui fa riferimento il passaggio della motivazione della decisione impugnata richiamato dalla ricorrente, deve osservarsi che essa viene enunciata dalla corte di appello al solo scopo di confermare che non vi era alcuna incompatibilità tra la descrizione del bene pignorato contenuta nel verbale di pignoramento e quella del bene reperito dal funzionario dell’I.V.G. in sede di asporto. Secondo la corte, atteso che l’ufficiale giudiziario aveva semplicemente affermato che il mezzo era in “buono stato”, senza però verificarne l’effettivo funzionamento, si doveva ritenere che il suddetto “buono stato” fosse riferibile alle sole sue condizioni esteriori; dunque non vi era alcun contrasto con la circostanza emersa al momento dell’asporto che il mezzo stesso in realtà non era funzionante e non era in uso da tempo.

Più in generale, deve escludersi che la decisione impugnata sia viziata per violazione dell’art. 1218 c.c., sotto il profilo della distribuzione dell’onere probatorio, in quanto – come può desumersi dal complesso della motivazione, anche al di là di alcune delle espressioni utilizzate – la corte di appello ha ritenuto sussistere, sulla base degli elementi istruttori in atti, la prova positiva che il “muletto” reperito dal funzionario dell’I.V.G. in sede di asporto era proprio quello oggetto del pignoramento e affidato in custodia alla P., il quale, quindi, non era stato affatto sottratto, diversamente da quanto allegato dalla parte attrice e da quanto presumibilmente ritenuto dallo stesso I.V.G. (cfr., in particolare, a pag. 6 della sentenza, righe 9 e 10, laddove si afferma che la circostanza dell’assenza di marca visibile e quella del colore verde, rilevate sia dall’ufficiale giudiziario che dal funzionario dell’I.V.G. “consentono già da sole di presumere che si trattasse dello stesso mezzo”).

Si tratta di un accertamento positivo di fatto, fondato sulla corretta e prudente valutazione delle risultanze istruttorie e sostenuto da adeguata motivazione, non apparente nè insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale non censurabile nella presente sede.

Sulla base di tale accertamento di fatto (e cioè dell’esclusione della dedotta sottrazione del mezzo pignorato, oggetto di custodia) è stato correttamente escluso, in diritto, l’inadempimento della P. alla sua obbligazione di custodia, senza che possa ritenersi sussistere alcuna violazione, in diritto, dell’assetto degli oneri probatori di cui all’art. 1218 c.c..

4. Il ricorso è rigettato.

Nulla è a dirsi con riguardo alle spese del giudizio non avendo la parte intimata svolto attività difensiva nella presente sede.

Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La corte:

– rigetta il ricorso;

– nulla per le spese.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2020

 

 

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