Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29126 del 13/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 13/11/2018, (ud. 03/07/2018, dep. 13/11/2018), n.29126

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angel – Maria –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. FICHERA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 16529/2011 R.G. proposto da:

HELIOS DATA s.r.l. in persona del legale rappresentante pro tempore

rappresentata e difesa giusta delega in atti dall’avv. Micillo

Gennaro e dall’avv. Russo Marco ed elettivamente domiciliata nel

presente giudizio presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via

Donatello n. 75;

– ricorrente –

Contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato;

– controricorrenti –

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Toscana n. 22/08/10 depositata il 24/05/2010, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del

3/7/2018 dal consigliere Roberto Succio;

Fatto

RILEVATO

che:

– con la sentenza di cui sopra il giudice di seconde cure ha respinto l’appello della società contribuente e quindi confermato la legittimità dell’atto impugnato;

– con tal atto l’Erario recuperava la differenza di imposta per IRPEG, IVA ed IRAP 2004 in forza delle risultanze derivanti dalle risultanze dei c.d. “studi di settore”;

– avverso la sentenza di seconde cure propone ricorso per cassazione la contribuente, affidato a due motivi; l’Amministrazione Finanziaria resiste con controricorso; il contribuente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– debbono preliminarmente esaminarsi le eccezioni di inammissibilità del ricorso sollevata dall’Agenzia delle Entrate; le stesse sono infondate;

– quanto al fondarsi dell’avviso di accertamento unicamente sullo scostamento dei parametri, va osservato che la contribuente non formula in tal modo il proprio motivo; essa invero contesta l’errata applicazione che la CTR avrebbe operato della giurisprudenza di questa Corte in ordine alla vis probatoria degli studi di settore;

– quanto alla erronea identificazione della ratio decidendi, va osservato come parte ricorrente in sostanza contesti l’utilizzo ai fini probatori delle risultanze degli studi di settore, indipendentemente dagli aspetti puramente nominalistici che non assumono rilevanza dirimente;

– con il primo motivo di ricorso la ricorrente infatti censura la sentenza impugnata denunciando violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, e del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3., in quanto il secondo giudice avrebbe solo apparentemente fatto corretta applicazione dell’insegnamento di questa Corte secondo il quale le risultanze degli studi di settore costituiscono presunzioni semplici, e avrebbe invece onerato illegittimamente il contribuente di fornire prova contraria di quanto da essi indicato; il motivo è infondato;

– dalla lettura della sentenza della CTR si evince come il secondo giudice abbia fatto corretta applicazione di quanto chiarito da questa Corte (tra molte, vedasi Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 30370 del 18/12/2017) secondo la quale in tema di “accertamento standardizzato” mediante parametri o studi di settore, il contraddittorio con il contribuente costituisce elemento essenziale e imprescindibile del giusto procedimento che legittima l’azione amministrativa, in ispecie quando si faccia riferimento ad una elaborazione statistica su specifici parametri, di per sè soggetta alle approssimazioni proprie dello strumento statistico, e sia necessario adeguarle alla realtà reddituale del singolo contribuente, potendo solo così emergere gli elementi idonei a commisurare la “presunzione” alla concreta realtà economica dell’impresa. Ne consegue che il contenuto dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel mero rilievo dello scostamento dai parametri ma deve essere integrata (anche sotto il profilo probatorio) con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente in sede di contraddittorio, solo così emergendo la gravità, precisione e concordanza attribuibile alla presunzione basata sui suddetti parametri e la giustificabilità di un onere della prova contraria (ma senza alcuna limitazione di mezzi e di contenuto) a carico del contribuente;

– pertanto, se la motivazione può fondarsi sulle risultanze degli studi, stante la loro natura di presunzioni semplici, l’onere della prova non segue analoga via logica; l’onere della prova, cui nemmeno l’Ufficio è sottratto in ragione della peculiare azione di accertamento adottata, è così ripartito:

a) all’ente impositore fa carico la dimostrazione dell’applicabilità dello standard prescelto al caso concreto oggetto dell’accertamento; b) al contribuente, che può utilizzare a suo vantaggio anche presunzioni semplici, fa carico la prova della sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possano essere applicati gli standard o della specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo cui l’accertamento si riferisce; in tal senso la nota pronuncia nomofilattica di questa Corte (Cass. Sez. U, Sentenza n. 26635 del 18/12/2009);

– ancora una volta, quindi, è il contraddittorio – previsto espressamente dalla L. n. 146 del 1998, art. 10, come modificato dalla L. n. 301 del 2004, art. 1, comma 409, lett. b), e comunque già affermato come indefettibile, a prescindere dalla espressa previsione, dalla giurisprudenza, in ossequio al principio del giusto procedimento amministrativo – l’elemento determinante per adeguare alla concreta realtà economica del singolo contribuente l’ipotesi dello studio di settore; il limite della utilizzabilità degli stessi sta, da un lato, nella impossibilità di far conseguire, alla eventuale incongruenza tra standard e ricavi dichiarati, un automatismo dell’accertamento, che eluderebbe lo scopo precipuo dell’attività accertativa che è quello di giungere alla determinazione del reddito effettivo del contribuente in coerenza con il principio di cui all’art. 53 Cost.;

– applicando il principio enunciato al giudizio in esame, il motivo di ricorso si rivela infondato dal momento che la CTR ha fatto corretta applicazione del principio, fondando la propria decisione sull’esame complessivo delle circostanze di fatto (clausole contrattuali, costi per personale dipendente, relazioni tra la società e lo studio professionale che è parzialmente subentrato nell’attività della contribuente) e su quanto dedotto e documentato dal contribuente, non esclusivamente sulle risultanze degli studi di settore, che nel presente caso sono stati utilizzati unicamente quale fonte di innesco dell’accertamento, non come unico elemento di prova posto a base della pretesa, che risulta sorretta adeguatamente dagli altri elementi posti a base della motivazione della sentenza gravata;

– si denuncia poi in ricorso l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo del giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere il secondo giudice affermato apoditticamente che sussisterebbero commistioni tra la ricorrente e lo studio professionale conduttore apparente del ramo d’azienda di HELIOS DATA s.r.l.; che la cessione quindi sarebbe meramente apparente (e come tale verrebbe meno la giustificazione del calo di utile della contribuente che prodotto l’attivazione del controllo secondo gli studi di settore); il motivo è infondato;

– come si evince dalla sentenza impugnata, il secondo giudice ha invece adeguatamente valutato una serie di elementi documentali (le clausole contrattuali che disciplinano le relazioni tra la società contribuente e lo studio professionale D., a favore del quale si sostiene era prestata solo attività di noleggio di attrezzature informatiche e di prestazioni appunto informatiche) e fattuali (tra le altre, la presenza in capo alla ricorrente di costi per personale dipendente pari a Euro 30.195,00, disponendo di due unità, una delle quali, la dipendente part-time C.A., è anche dipendente part-time dello Studio D.) che lo hanno indotto a ritenere che l’attività della ricorrente non sia invero cessata affatto, per suo trasferimento allo studio professionale, ma sia invece continuata come in precedenza, sia pur in misura minore, in coordinamento con lo studio professionale;

– a fronte di tali elementi presuntivi, va ribadito, il contribuente ha dedotto una serie di elementi diretti a indicare che l’esistenza della società sarebbe funzionale a godere degli sconti per l’acquisto delle attrezzature informatiche per la tenuta delle contabilità, il cui costo sarebbe trasferito allo studio professionale D., e che quindi l’operazione nel suo complesso, fondata sul “buon nome” della ricorrente, quale soggetto dotato di avviamento in quanto noto nel settore, che era interesse del conduttore tenere in vita, fosse reale e non meramente apparente;

– con tali elementi di fatto, la cui valutazione è peraltro parte del giudizio di merito nel quale questa Corte non deve entrare, la CTR ha invero dimostrato di essersi confrontata e di aver motivato in modo adeguato il suo convincimento;

– ancora di recente (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 21754 del 20/09/2017) questa Corte ha precisato, sul punto, che la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sè considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce (come nel presente caso è nata, correttamente) solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente; in tale fase, infatti, quest’ultimo ha la facoltà di contestare l’applicazione dei parametri provando le circostanze concrete che giustificano lo scostamento della propria posizione reddituale, con ciò costringendo l’ufficio – ove non ritenga attendibili le allegazioni di parte – ad integrare la motivazione dell’atto impositivo indicando le ragioni del suo convincimento;

– proprio alla luce di queste considerazioni, si evince che ogni qual volta il contraddittorio sia stato regolarmente attivato ed il contribuente ometta di parteciparvi ovvero si astenga da qualsivoglia attività di allegazione, l’ufficio non è tenuto ad offrire alcuna ulteriore dimostrazione della pretesa esercitata in ragione del semplice disallineamento del reddito dichiarato rispetto ai menzionati parametri;

– ne deriva la conferma della sentenza impugnata;

P.Q.M.

rigetta il ricorso, liquida le spese in Euro 4.100,00 per compensi, oltre a spese prenotate a debito che pone a carico di parte ricorrente.

Così deciso in Roma, il 3 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2018

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