Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29126 del 11/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 11/11/2019, (ud. 05/06/2019, dep. 11/11/2019), n.29126

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2323-2018 proposto da:

S.E.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RENO 21,

presso lo studio dell’avvocato RIZZO ROBERTO, che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE SPA (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134,

presso lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3806/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 18/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 05/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. SPENA

FRANCESCA.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza in data 12 – 18 luglio 2017 numero 3806 la Corte d’appello di Roma, giudice del secondo rinvio all’esito della sentenza di questa Corte numero 151/2015- che cassava la sentenza del medesimo ufficio in punto di statuizioni economiche conseguenti alla dichiarata nullità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato da S.E.M. con POSTE ITALIANE spa in data 1.6.1999 – liquidava la indennità L. n. 183 del 2010, ex art. 32 a copertura del periodo decorso dalla scadenza del termine alla pronuncia della sentenza dichiarativa della nullità; condannava la lavoratrice a restituire le maggiori somme ricevute in esecuzione della sentenza cassata a titolo di retribuzioni maturate nel periodo intercorso fra il deposito del ricorso di primo grado e la sentenza, al lordo delle ritenute fiscali, pari ad Euro 36.336,66;

che, per quanto ancora in discussione, il giudice del rinvio osservava che le deduzioni della lavoratrice, secondo cui le somme da restituire erano pari ad Euro 24.384, importo calcolato al netto delle ritenute fiscali, non erano condivisibili.

Dalla busta paga emergeva la correttezza delle somme calcolate dalla società, che non includevano la retribuzione del mese corrente ma quanto corrisposto per accessori. La lettera invocata dalla lavoratrice era irrilevante, in quanto indicava lo stesso importo lordo esposto nella busta paga sebbene l’importo netto fosse di poco differente.

Le somme percepite andavano restituite al lordo delle ritenute fiscali, e previdenziali; la prova del versamento delle ritenute risultava dalla busta paga, non essendovi motivi per dubitare dell’assolvimento dell’obbligo da parte di una società delle dimensioni e della compagine sociale di POSTE ITALIANE spa ed avendo, del resto, la lavoratrice formulato una generica deduzione su un ipotetico mancato versamento.

che avverso la sentenza ha proposto ricorso S.E.M., articolato in due motivi, cui ha opposto difese POSTE ITALIANE spa con controricorso;

che la proposta del relatore è stata comunicata alle parti-unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale- ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.;

che la parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che la parte ricorrente ha dedotto:

– con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione degli artt. 2697,2702,2727 e 2729 c.c. nonchè- ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4- violazione dell’art. 115 c.p.c. e nullità della sentenza.

Con il motivo si censura la statuizione sulla irrilevanza della lettera prodotta, proveniente dal responsabile delle risorse umane di POSTE ITALIANE spa; partendo dal corretto assunto che le somme da restituire andassero calcolate al netto, era evidente la rilevanza del documento, che attestava la somma netta pagata alla lavoratrice, pari ad Euro 24.384, di poco inferiore a quella netta indicata dalla società e dalla sentenza, di Euro 25.215.

Si censura, altresì, la statuizione secondo cui la prova del versamento delle ritenute era offerta dalla busta paga, sotto un triplice profilo: per provenienza unilaterale; per inidoneità a provare il versamento delle ritenute fiscali; per essere POSTE ITALIANE gravata dall’onere della prova come qualunque soggetto di diritto, nonostante le sue dimensioni e la sua base sociale.

Da ultimo si assume la infondatezza della statuizione di genericità della contestazione dei versamenti. Sul punto la ricorrente assume di avere dedotto il mancato assolvimento da parte di POSTE ITALIANE spa all’onere di provare il versamento delle ritenute e che tale contestazione, a fronte della generica allegazione di POSTE ITALIANE, non avrebbe potuto essere più specifica;

– con il secondo motivo, violazione e falsa applicazione dell’art. 2033 c.c. e del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 10, comma 1, lett. d)bis.

Parte ricorrente ha dedotto che erroneamente- ed in contrasto con i principi enunciati da questa Corte- la sentenza impugnata aveva statuito che il recupero delle somme erogate al lavoratore contribuente dovesse avvenire al lordo delle ritenute versate all’erario dal datore di lavoro in qualità di sostituto di imposta.

che ritiene il Collegio si debba accogliere il secondo motivo di ricorso, assorbito il primo;

che invero questa Corte, da ultimo con l’arresto della sez. lav. 25/07/2018 n. 19735, ha ribadito il principio secondo cui ” in caso di riforma, totale o parziale, della sentenza di condanna del datore di lavoro al pagamento di somme in favore del lavoratore, il datore di lavoro ha diritto a ripetere quanto il lavoratore abbia effettivamente percepito e non può pertanto pretendere la restituzione di importi al lordo di ritenute fiscali mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente, atteso che il caso del venir meno con effetto “ex tunc” dell’obbligo fiscale a seguito della riforma della sentenza da cui è sorto ricade nel raggio di applicazione del D.P.R. n., n. 602 del 1973, art. 38, comma 1, secondo cui il diritto al rimborso fiscale nei confronti dell’amministrazione finanziaria spetta in via principale a colui che ha eseguito il versamento non solo nelle ipotesi di errore materiale e duplicazione, ma anche in quelle di inesistenza totale o parziale dell’obbligo”.

In tale arresto, cui si intende assicurare continuità, si è evidenziato che l’azione di restituzione e riduzione in pristino, che venga proposta a seguito della riforma o cassazione della sentenza contenente il titolo del pagamento, si collega ad un’esigenza di restaurazione della situazione patrimoniale anteriore a detta sentenza, trattandosi di prestazioni eseguite e ricevute nella comune consapevolezza della rescindibilità del titolo e della provvisorietà dei suoi effetti; non può dunque modificarsi il principio, peraltro più aderente alla peculiarità del rapporto di lavoro subordinato, per cui il solvens non può ripetere dal’accipiens più di quanto quest’ultimo abbia effettivamente percepito, affermato, tra le altre, da Cass. n. 1464/12 e n. 23093/14; resta dunque esclusa la possibilità di ripetere importi al lordo di ritenute fiscali mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente.

Tale conclusione prescinde dai rimedi esperibili dal lavoratore contribuente nei confronti dell’amministrazione finanziaria.

Il principio richiamato nella sentenza impugnata- secondo cui il percettore del reddito imponibile ha diritto di ripetere dal fisco quanto eventualmente pagato in eccesso- riguarda i rapporti tra sostituto d’imposta, sostituito e fisco (cfr. in tal senso Cass. n. 239/06) ma non comporta che al lavoratore sostituito possa essere richiesto quanto versato dal sostituto ad un terzo (l’amministrazione finanziaria).

Nè si condividono le valutazioni della sentenza impugnata secondo cui il principio enunciato dall’arresto di questa Corte n. 1464/2012 riguarderebbe esclusivamente il caso, soggetto alla disciplina dell’art. 2033 c.c., in cui il datore di lavoro corrisponda una retribuzione superiore al dovuto per suo errore e non anche l’ipotesi di riforma o di cassazione della sentenza di condanna, disciplinata, invece, dall’art. 336 c.p.c.;

che, pertanto, essendo condivisibile la proposta del relatore, il secondo motivo del ricorso deve essere accolto con ordinanza in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c. restando assorbito il primo, in quanto le statuizioni in fatto tanto sulla irrilevanza del documento prodotto dal lavoratore che sull’avvenuto versamento all’erario delle ritenute operate in busta paga erano funzionali alla statuizione cassata in punto di diritto;

che la causa deve essere rinviata alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione perchè applichi il principio qui ribadito all’esito del preliminare accertamento dell’importo netto corrisposto alla lavoratrice in esecuzione della statuizione riformata;

che il giudice del rinvio provvederà, altresì, alla disciplina delle spese del presente grado.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbito il primo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia-anche per le spese- alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 5 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2019

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