Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29125 del 18/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 18/12/2020, (ud. 05/11/2020, dep. 18/12/2020), n.29125

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 35935 del ruolo generale dell’anno

2018, proposto da:

P.D., (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso

dall’avvocato Attilio Cotroneo, (C.F.: (OMISSIS));

– ricorrente –

nei confronti di:

RETE FERROVIARIA ITALIANA – R.F.I. S.p.A., (C.F.: (OMISSIS)), in

persona del legale rappresentante pro tempore rappresentato e difeso

dall’avvocato Leonardo Alesii, (C.F.: (OMISSIS));

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Reggio

Calabria n. 368/2018, pubblicata in data 6 giugno 2018;

udita la relazione sulla causa svolta nella camera di consiglio in

data 5 novembre 2020 dal consigliere Augusto Tatangelo.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Nel corso di un procedimento esecutivo di espropriazione preso terzi promosso da P.D. nei confronti di R.F.I S.p.A., quest’ultima ha proposto opposizione all’esecuzione ed ottenuto la sospensione del processo esecutivo ai sensi dell’art. 624 c.p.c., provvedendo ad instaurare il giudizio di merito relativo all’opposizione. Dopo alcuni anni, il creditore ha riassunto la procedura esecutiva e la società debitrice ha eccepito l’avvenuta decadenza dello stesso dalla relativa facoltà, ai sensi dell’art. 627 c.p.c.. Il giudice dell’esecuzione ha rigettato l’eccezione della debitrice ed ha di conseguenza definito il processo esecutivo con l’assegnazione delle somme pignorate.

La debitrice ha proposto reclamo ai sensi dell’art. 630 c.p.c., avverso il provvedimento con il quale era stata rigettata la sua eccezione.

Il reclamo è stato accolto dal Tribunale di Reggio Calabria, con compensazione delle spese di lite.

La Corte di Appello di Reggio Calabria, in riforma della decisione di primo grado, lo ha invece rigettato, con compensazione delle spese di lite.

Ricorre il P., sulla base di tre motivi.

Resiste con controricorso R.F.I. S.p.A..

E’ stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375,376, e 380 bis c.p.c., in quanto il relatore ha ritenuto che il ricorso fosse destinato ad essere dichiarato manifestamente infondato.

E’ stata quindi fissata con decreto l’adunanza della Corte, e il decreto è stato notificato alle parti con l’indicazione della proposta.

Il ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 2.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “Violazione e falsa applicazione degli artt. 91, e 92 c.p.c.”.

Secondo il ricorrente, la decisione con la quale la corte di appello ha disposto la compensazione delle spese processuali sarebbe illegittima, in quanto non sussistevano giusti motivi per farlo, nè ricorreva una ipotesi di parziale reciproca soccombenza.

Il motivo è manifestamente infondato.

Il giudizio di primo grado ha avuto inizio nel 1998, onde è applicabile nella fattispecie la formulazione dell’art. 92 c.p.c., anteriore alla modifica introdotta dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a), in base alla quale, secondo il costante indirizzo di questa Corte, “il provvedimento di compensazione parziale o totale delle spese “per giusti motivi” deve trovare un adeguato supporto motivazionale, anche se, a tal fine, non è necessaria l’adozione di motivazioni specificamente riferite a detto provvedimento purchè, tuttavia, le ragioni giustificatrici dello stesso siano chiaramente e inequivocamente desumibili dal complesso della motivazione adottata a sostegno della statuizione di merito (o di rito); ne consegue che deve ritenersi assolto l’obbligo del giudice anche allorchè le argomentazioni svolte per la statuizione di merito (o di rito) contengano in sè considerazioni giuridiche o di fatto idonee a giustificare la regolazione delle spese adottata, come – a titolo meramente esemplificativo – nel caso in cui si dà atto, nella motivazione del provvedimento, di oscillazioni giurisprudenziali sulla questione decisiva, ovvero di oggettive difficoltà di accertamenti in fatto, idonee a incidere sulla esatta conoscibilità a priori delle rispettive ragioni delle parti, o di una palese sproporzione tra l’interesse concreto realizzato dalla parte vittoriosa e il costo delle attività processuali richieste, ovvero, ancora, di un comportamento processuale ingiustificatamente restio a proposte conciliative plausibili in relazione alle concrete risultanze processuali” (Cass., Sez. U, Sentenza n. 20598 del 30/07/2008, Rv. 604398 – 01; conf.: Sez. U, Sentenza n. 20599 del 30/07/2008, Rv. 604584 – 01; Sez. L, Sentenza n. 3715 del 16/02/2009, Rv. 606802 – 01; Sez. L, Sentenza n. 6970 del 23/03/2009, Rv. 607425 – 01; Sez. L, Sentenza n. 17868 del 31/07/2009, Rv. 609582 – 01; Sez. 6 L, Ordinanza n. 24531 del 02/12/2010, Rv. 615379 – 01; Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 316 del 12/01/2012, Rv. 620852 01; Sez. 2, Sentenza n. 7763 del 17/05/2012, Rv. 622415 01; Sez. 6 – L, Ordinanza n. 1997 del 04/02/2015, Rv. 634612 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 17816 del 03/07/2019, Rv. 654447 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 20457 del 06/10/2011, Rv. 619315 – 01, in cui è altresì chiarito che “in tema di compensazione delle spese processuali ex art. 92 c.p.c., – nel testo applicabile “ratione temporis”, anteriore a quello introdotto dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, – poichè il sindacato della S.C. è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare, in tutto o in parte, le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso di altre giuste ragioni, che il giudice di merito non ha obbligo di specificare, senza che la relativa statuizione sia censurabile in cassazione, poichè il riferimento a “giusti motivi” di compensazione denota che il giudice ha tenuto conto della fattispecie concreta nel suo complesso, quale evincibile dalle statuizioni relative ai punti della controversia”).

La corte di appello ha disposto la compensazione delle spese di lite (“anche” del grado di appello, implicitamente così dovendo ritenersi avere inteso statuirne la compensazione integrale per entrambi i gradi di merito) “stante la particolarità della materia trattata ed in considerazione del parziale accoglimento dei motivi di gravame”.

Orbene, va in primo luogo sottolineato che il riferimento operato dalla corte territoriale al “parziale accoglimento dei motivi di gravame”, unitamente alla “particolarità della materia trattata” non può certo essere inteso come un richiamo alla parziale soccombenza reciproca delle parti, ma intende esclusivamente dare conto di uno degli elementi che hanno indotto il collegio a ritenere sussistenti i giusti motivi necessari ai fini della compensazione delle spese, nonostante l’integrale rigetto della domanda proposta (circostanza sulla quale non possono sorgere dubbi, nonostante le contrarie argomentazioni della controricorrente: nella specie infatti il reclamo da questa proposto risulta integralmente rigettato).

Gli indicati “giusti motivi” emergono del resto chiaramente dall’esposizione che la corte stessa ha operato nella complessiva motivazione della sua decisione sul gravame.

In tale articolata motivazione, essa si sofferma a lungo sulla fattispecie processuale nel contesto della quale è sorta la controversia. In particolare, dà conto della peculiare modalità di proposizione dell’eccezione di estinzione del processo esecutivo da parte della debitrice (definita “poco ortodossa”), che aveva determinato una oggettiva difficoltà da parte dello stesso giudice dell’esecuzione nella valutazione della stessa, nonchè del carattere implicito del provvedimento sull’eccezione di estinzione adottato dallo stesso giudice dell’esecuzione e dell’irrilevanza dell’avvenuta contestuale assegnazione delle somme pignorate (precisando che era proprio in relazione a tali questioni che erano state avanzate specifiche eccezioni dal creditore, eccezioni tutte ritenute infondate). La corte dà peraltro anche conto dell’oggettiva incertezza in relazione alla situazione processuale (relativa al giudizio di opposizione) che legittimava la riassunzione del processo esecutivo.

Emerge infatti dalla sentenza impugnata che in realtà non erano stati dedotti in giudizio sufficienti elementi per comprendere se il processo sul merito dell’opposizione fosse stato effettivamente riassunto, se esso fosse ancora pendente e che esito avesse avuto, di talchè solo in considerazione della sussistenza dell’onere a carico del soggetto che eccepisce l’estinzione di dimostrarne tutti i fatti costitutivi della relativa fattispecie (onere non adempiuto, dal momento che nessuna delle parti aveva documentato l’esito del giudizio di opposizione) doveva pervenirsi al rigetto del reclamo (e non alla dichiarazione di inammissibilità di esso per carenza di interesse, come in realtà sostenuto dal creditore in sede di gravame nell’unico motivo accolto), in una situazione in realtà effettivamente molto peculiare, dal momento che, laddove il giudizio di merito sull’opposizione fosse stato ancora pendente (senza che fosse intervenuta una sentenza di rigetto), fermo restando che non poteva dirsi verificata l’estinzione del processo esecutivo, la riassunzione non sarebbe stata comunque possibile (e in proposito è appena il caso di osservare che neanche nel ricorso vi è assoluta chiarezza in ordine a tale situazione: il ricorrente nel descrivere lo svolgimento del processo si limita ad affermare che il giudizio di opposizione non era stato riassunto dall’opponente, ma non censura la decisione impugnata nella parte in cui afferma esplicitamente il contrario, alla pag. 2, righi 14/15, nè dà conto in qualche modo dell’esito preciso di detto giudizio).

Deve considerarsi che, in realtà, l’esame di gran parte delle indicate questioni processuali e, in particolare, il rilievo dell’infondatezza delle eccezioni e della maggioranza dei motivi di gravame formulati dal creditore reclamato non hanno alcuna utilità ai fini della decisione del reclamo, per la quale sarebbe stata assorbente la stringata argomentazione posta a base dell’accoglimento del quarto motivo di appello. Ciò non può che rafforzare l’evidenza che si tratta di considerazioni utili a sostegno della ritenuta particolarità della fattispecie oggetto di decisione: tali considerazioni costituiscono, in definitiva, l’effettiva e sostanziale motivazione in ordine all’esistenza di giusti motivi di compensazione delle spese processuali.

Sotto questo profilo, dunque, non può che concludersi che il riferimento alla “particolarità della materia trattata”, unitamente a quello al “parziale accoglimento dei motivi di gravame”, nella formula utilizzata dalla corte di appello a sostegno della ritenuta sussistenza dei giusti motivi di compensazione delle spese processuali, trova ampio, adeguato e ragionevole riscontro nel complesso dell’intera motivazione della sentenza impugnata.

Non trattandosi di motivazione apparente, nè insanabilmente contraddittoria sul piano logico, tale motivazione non può in alcun modo ritenersi censurabile nella presente sede.

2. Con il secondo motivo si denunzia “Violazione e falsa applicazione degli artt. 627, e 630 c.p.c., nonchè dell’art. 12 delle Preleggi”.

Con il terzo motivo si denunzia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 630 c.p.c., comma 3”.

Il secondo ed il terzo motivo del ricorso riguardano nella sostanza il merito della controversia e, precisamente, i motivi di gravame che la corte di appello ha ritenuto infondati. Possono essere esaminati congiuntamente, in quanto essi pongono analoghe questioni.

Va premesso che, sotto il profilo del merito, le censure in esame risulterebbero ovviamente inammissibili, in quanto, come già chiarito, il P. risulta integralmente vittorioso nel giudizio di reclamo.

Esse possono essere prese in considerazione esclusivamente come indiretto sostegno alla censura di cui al primo motivo di ricorso, e cioè quali contestazioni della adeguatezza della motivazione espressa dalla corte di appello in relazione alla ritenuta sussistenza dei giusti motivi di compensazione delle spese processuali anche in ragione del “parziale accoglimento dei motivi di gravame”.

In tale ottica, peraltro, trattandosi della contestazione di una valutazione discrezionale del giudice del merito che, come già chiarito, può trovare ingresso nel giudizio di legittimità esclusivamente in caso di motivazione del tutto illogica, tautologica, inesistente o meramente apparente (cfr. espressamente, in proposito, la già richiamata Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 17816 del 03/07/2019, Rv. 654447 – 01), deve ritenersi che le suddette censure potrebbero essere accolte solo laddove si ritenessero le argomentazioni della corte territoriale sugli indicati motivi di gravame manifestamente erronee.

Al contrario, invece, si tratta di argomentazioni che questa Corte ritiene ampiamente condivisibili: è infatti evidente che dedurre la decadenza della controparte dal potere di compiere un atto (nella specie quello di riassunzione del processo esecutivo sospeso) per il quale è espressamente previsto un termine perentorio di preclusione, scaduto il quale si determina l’estinzione del processo, al tempo stesso opponendosi alla prosecuzione di quel processo, equivale ad eccepire l’estinzione del processo (e non certo a proporre, come sostiene il ricorrente, una “eccezione totalmente differente”); ed è altrettanto evidente, d’altronde, che nel momento in cui la predetta eccezione viene disattesa dal giudice, il quale dispone quindi la prosecuzione del processo (ponendo in essere l’atto successivo della sequenza procedimentale), non può che determinarsi la situazione del rigetto dell’eccezione di estinzione che legittima la parte che l’aveva avanzata a proporre il reclamo ai sensi dell’art. 630 c.p.c..

4. Il ricorso è rigettato.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La corte:

rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore della società controricorrente, liquidandole in complessivi Euro 1.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali ed accessori di legge.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2020

 

 

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