Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29125 del 13/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 13/11/2018, (ud. 21/06/2018, dep. 13/11/2018), n.29125

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino L. – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. FANTICINI Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23818-2011 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

R.T.;

– intimata –

e da:

R.T., elettivamente domiciliata in; ROMA PIAZZA BAINSIZZA

3, presso lo studio dell’avvocato BARCELLONA GIANDOMENICO, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente incidentale –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 367 del 2010 della COMM. TRIB.REG. SEZ. DIST.

di LATINA, depositata il 30/06/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/06/2018 dal. Consigliere Dott. GIOVANNI FANTICINI.

Fatto

RILEVATO

CHE:

– R.T. impugnava l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) notificato il 17 febbraio 2006 col quale l’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Formia, sulla scorta dei dati forniti nel processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza e delle movimentazioni bancarie ivi indicate, aveva rideterminato il reddito di impresa e accertato maggiori imponibili IVA e IRAP; in particolare, l’Ufficio aveva individuato lo svolgimento dell’ulteriore attività, oltre a quella di mediazione immobiliare, di affittacamere e gestore di case ed appartamenti per vacanze;

– il ricorso avverso il predetto avviso veniva parzialmente accolto dalla C.T.P. di Latina con la sentenza n. 201/07/2007 del 24 ottobre 2008;

– investita dell’appello, la C.T.R. di Roma – Sezione distaccata di Latina, con la sentenza n. 367/40/10 del 30 giugno 2010, rigettava l’impugnazione della R. e accoglieva parzialmente quella dell’Agenzia delle Entrate, determinando il reddito imponibile in Euro 100.000,00;

– avverso la menzionata sentenza l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, basato su due motivi;

– anche R.T. impugna la sentenza proponendo ricorso incidentale, affidato a quattro motivi;

– la controricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Col primo motivo del ricorso principale l’Agenzia delle Entrate deduce la violazione e falsa applicazione deL D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 (nella formulazione ratione temporis applicabile), D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51 e art. 2697 c.c. per avere la C.T.R. ritenuto superata la presunzione legale di riferibilità dei movimenti bancari ad operazioni imponibili in base ad elementi inconsistenti (“prassi di affari”) e alle stesse dichiarazioni della contribuente (considerata dal giudice d’appello quale soggetto svolgente attività d’impresa).

Il motivo è fondato.

Nel confermare la decisione di primo grado, la Commissione Tributaria Regionale ha affermato che “i dati contabili emergenti dal PVC della G. di F. difettano di sufficiente chiarezza soprattutto nella parte in cui sia le operazioni in entrata sia quelle in uscita sul conto corrente vengono ascritte a ricavi derivanti dall’esercizio di attività di impresa” e che “l’unico dato contabile certo è quello dei ricavi esposti nella dichiarazione”; la stessa C.T.R. ribadiva la ripartizione, effettuata “in via equitativa” dalla C.T.P., dei maggiori ricavi accertati per l’attività di affittacamere tra la R. (30%) e i singoli proprietari degli immobili (70%).

Le asserzioni dei giudici di merito – che vanificano la presunzione ex lege sollevando la contribuente dall’onere della prova in virtù di apodittiche e generiche argomentazioni fondate sulla dichiarazione fiscale (inveritiera) della R. e su ipotetiche (ma non descritte nè specificate) prassi commerciali – si pongono in contrasto con un consolidato orientamento di legittimità: “In tema di accertamento delle imposte sui redditi e dell’IVA, tutti i movimenti sui conti bancari del contribuente, siano essi accrediti che addebiti, si presumono, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32,comma 1, n. 2 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2, riferiti all’attività economica del contribuente, i primi quali ricavi e i secondi quali corrispettivi versati per l’acquisto di beni e servizi reimpiegati nella produzione, spettando all’interessato fornire la prova contraria che i singoli movimenti non si riferiscono ad operazioni imponibili” (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 26111 del 30/12/2015, Rv. 638173-01, ha cassato la sentenza impugnata che, operando una riduzione “in via equitativa” dell’imponibile accertato in base alle movimentazioni bancarie non giustificate dal contribuente, aveva introdotto un elemento di determinazione non fondato su specifica prova contraria); “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, al fine di superare la presunzione posta a carico del contribuente dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, (in virtù della quale i prelevamenti ed i versamenti operati su conto corrente bancario vanno imputati a ricavi conseguiti nell’esercizio dell’attività d’impresa), non è sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell’affluire di somme sul proprio conto corrente, ma è necessario che il contribuente fornisca la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni, ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività” (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 4829 del 11/03/2015, Rv. 635057-01); “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, prevede una presunzione legale in base alla quale sia i prelevamenti che i versamenti operati su conti correnti bancari vanno imputati a ricavi ed a fronte della quale il contribuente, in mancanza di espresso divieto normativo e per il principio di libertà dei mezzi di prova, può fornire la prova contraria anche attraverso presunzioni semplici, da sottoporre comunque ad attenta verifica da parte del giudice, il quale è tenuto ad individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio (purchè grave, preciso e concordante) ai movimenti bancari contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell’ammontare e nel contesto complessivo, senza ricorrere ad affermazioni apodittiche, generiche, sommarie o cumulative” (Cass., Sez. 6-5, Ordinanza n. 11102 del 05/05/2017, Rv. 643970-01).

2. Il secondo motivo del ricorso principale – con cui l’Agenzia lamenta la violazione dell’art. 113 c.p.c., in quanto applicato dal giudice tributario al di fuori delle ipotesi previste – resta assorbito.

3. I motivi del ricorso incidentale sono inammissibili o, comunque, infondati.

Col primo motivo – con cui si deduce la violazione o la falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. – la ricorrente non mira affatto a denunciare un’erronea applicazione delle norme processuali sull’istruttoria, bensì ad ottenere un riesame della causa nel merito, precluso alla Corte di legittimità (ex multis, Cass., Sez. 6-5, Ordinanza n. 9097 del 07/04/2017, Rv. 643792-01, e Cass., Sez. 5, Sentenza n. 25332 del 28/11/2014, Rv. 633335-01): ne sono sicuri indici alcuni passaggi dell’atto, coi quali si afferma che la motivazione sarebbe erronea per aver mancato di (o errato nel) considerare il materiale probatorio e, segnatamente, “elementi probatori dissonanti”. In proposito, si deve ribadire il principio secondo cui “è inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito” (da ultimo, Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 8758 del 04/04/2017, Rv. 643690-01).

Il secondo motivo censura la decisione della C.T.R. per violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 342 c.p.c. perchè il giudice di merito avrebbe erroneamente interpretato come motivo di appello un passaggio dell’atto di impugnazione dell’Agenzia delle Entrate (non riportato) che, ad avviso della controricorrente, aveva finalità puramente descrittive.

Si rileva che “L’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza di esso. Pertanto, ove il ricorrente censuri la statuizione di inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di appello, ha l’onere di specificare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione del giudice di appello e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto a quel giudice, e non può limitarsi a rinviare all’atto di appello, ma deve riportarne il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità” (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 22880 del 29/09/2017, Rv. 645637-01).

Col terzo e il quarto motivo si deduce il vizio della motivazione della sentenza impugnata, in quanto apparente e/o insufficiente.

Contrariamente a quanto asserito dalla controricorrente, la motivazione della sentenza d’appello non è apparente, bensì svolta per relationem alla decisione di primo grado.

La doglianza di insufficienza svolta dalla R. avrebbe richiesto, innanzitutto, l’illustrazione nell’atto introduttivo della pronuncia del primo giudice (quantomeno nei suoi contenuti essenziali) e, poi, una specifica censura alle argomentazioni addotte da quest’ultimo a sostegno della propria decisione.

Al contrario, il ricorso non riporta il contenuto della sentenza di primo grado e la censura mossa alla decisione della C.T.R. è generica.

4. Conseguono a quanto esposto la declaratoria di inammissibilità del ricorso incidentale e l’accoglimento del primo motivo del ricorso principale.

In conclusione, la sentenza impugnata è cassata con rinvio alla C.T.R. di Roma, in diversa composizione, la quale esaminerà la fattispecie alla luce delle indicazioni fornite da questa Corte di legittimità.

La liquidazione delle spese è rimessa al giudice del rinvio.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso incidentale;

accoglie il primo motivo del ricorso principale e dichiara assorbito il secondo;

cassa la decisione impugnata con rinvio alla C.T.R. di Roma, in diversa composizione, anche per la statuizione sulle spese.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta Sezione Civile, il 21 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2018

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