Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2912 del 10/02/2010

Cassazione civile sez. trib., 10/02/2010, (ud. 16/11/2009, dep. 10/02/2010), n.2912

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. MAGNO Giuseppe Vito Antonio – Consigliere –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – Consigliere –

Dott. MELONCELLI Achille – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Ministero dell’economia e delle finanze, di seguito “Ministero”, in

persona del Ministro in carica, e dall’Agenzia delle entrate, di

seguito “Agenzia”, in persona del Direttore in carica, rappresentati

e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale sono

domiciliati in Roma, Via dei Portoghesi 12;

– ricorrenti –

contro

la Fondazione Cassa di risparmio di Pesaro, di seguito “Fondazione”,

in persona del legale rappresentante in carica, signor S.

G., rappresentata e difesa dagli avv. Russo Corvace Giuseppe

e Giuseppe Pizzonia, presso il quale e’ elettivamente domiciliata in

Via G. Nicotera 31, Roma;

– intimata e controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale (CTR) di

Ancona 7 febbraio 2003, n. 12/9/03, depositata il 7 marzo 2003;

udita la relazione sulla causa svolta nell’udienza pubblica del 16

novembre 2009 dal Cons. Dott. Meloncelli Achille;

udito l’avv. Paolo Gentili per le ricorrenti autorita’ tributarie;

udito l’avv. Giuseppe Pizzonia per la Fondazione resistente;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale FEDELI

Massimo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Gli atti introduttivi del giudizio di legittimita’.

1.1.1. Il ricorso delle autorita’ tributarie.

Il 27 giugno 2003 e’ notificato alla Fondazione un ricorso delle sopra indicate autorita’ tributarie per la cassazione della sentenza descritta in epigrafe, che ha respinto l’appello dell’Ufficio di Pesaro dell’Agenzia contro la sentenza della Commissione tributaria provinciale (CTP) di Pesaro n. 16/04/2001, che aveva accolto il ricorso della Fondazione contro il diniego n. (OMISSIS) di esenzione dall’irpeg 1997.

1.1.2. Il ricorso per Cassazione delle autorita’ tributarie e’ sostenuto con tre motivi d’impugnazione e si conclude con la richiesta che sia cassata la sentenza impugnata, con ogni conseguente statuizione, anche in ordine alle spese processuali.

1.2. Il controricorso della Fondazione.

Il 17 settembre 2003 e’ notificato alle ricorrenti autorita’ tributarie il controricorso della Fondazione, che conclude per l’inammissibilita’ e/o per il rigetto del ricorso.

1.3. Le memorie.

La Fondazione deposita una memoria.

2. I fatti di causa.

I fatti di causa sono i seguenti:

a) la Fondazione chiede, ai sensi della L. 29 dicembre 1962, n. 1745, art. 10 bis, alla competente Direzione regionale delle entrate di essere esonerata dalla ritenuta alla fonte, a titolo di acconto, sui dividendi 1997 distribuiti dalle partecipate Banca delle Marche spa e Montani Antaldi srl;

b) l’Ufficio distrettuale delle imposte dirette di Pesaro nega l’esenzione, perche’ le Fondazioni Cassa di risparmio non rientrerebbero tra i soggetti parzialmente esenti da Irpeg D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, ex art. 6, con conseguente non esentabilita’ dalla ritenuta alla fonte;

c) il ricorso della Fondazione e’ accolto dalla CTP di Pesaro;

d) l’appello dell’Ufficio e’, poi, respinto dalla CTR con la sentenza ora impugnata per Cassazione.

3. La motivazione della sentenza impugnata.

La sentenza della CTR, oggetto del ricorso per Cassazione, e’, limitatamente ai capi della sentenza impugnati in sede di legittimita’, cosi’ motivata:

a) la CTR osserva preliminarmente di essersi “gia’ pronunciata… con sentenza n. 97/9/99… del 2.7.1999, allorquando, esaminando la medesima questione riguardante la Fondazione Cassa di Risparmio di Ascoli Piceno, venne accolta la tesi della stessa Fondazione, confutando il parere n. 103/95 espresso sul punto dal Consiglio di Stato in data 24.10.1995 sul quale si basava la Circolare ministeriale n. 238 del Servizio 6^ – Div. 13^ in data 4.12.96, ambedue richiamate nell’appello dell’ufficio. Si confermano nel merito le motivazioni che questa Sezione pose alla base della sentenza favorevole alla Fondazione”;

b) la CTR aggiunge, poi, che “nel caso di specie esistono almeno altri tre validi motivi che avvalorano quella decisione e sono:

1. il fatto che sullo stesso argomento oggi in trattazione, ancorche’ riferito al provvedimento di diniego dell’esenzione dalla ritenuta alla fonte per i dividendi dell’anno 1996, sia intervenuto giudicato, il che comporta che se le sentenze passate in giudicato riconoscono all’odierna appellata l’esenzione dalla ritenuta alla fonte sui dividendi, per effetto dell’estensione del giudicato, l’Ufficio non puo’ piu’ esercitare alcuna forma di sindacato relativamente al presente rapporto…;

2. l’emanazione del D.Lgs. 17 maggio 1999, n. 153…ha natura interpretativa rispetto alla Legge madre…. quindi… alle fondazioni si applica il regime previsto dal D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6. Da cio’ emerge come l’agevolazione prevista dall’art. 6 non sia stata introdotta ex novo dal D.Lgs in esame, che ha solo chiarito qualcosa che gia’ spettava alle Fondazioni;

3. la sentenza della Sezione 5^ della Corte di Cassazione n. 6607 pronunciata il 9.5.2002 che sancisce definitivamente… il diritto della Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro ad usufruire del beneficio della riduzione dell’aliquota IRPEG previsto dal D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6…”.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

4. La pregiudiziale questione dell’inammissibilita’ del ricorso del Ministero.

In via preliminare dev’essere dichiarata l’inammissibilita’ del ricorso per Cassazione del Ministero, perche’ tale organo non e’ stato parte del giudizio d’appello.

5. La pregiudiziale questione della carenza di legittimazione attiva dell’Agenzia.

5.1. La resistente Fondazione eccepisce in via pregiudiziale la carenza di legittimazione attiva dell’Agenzia, la quale deriverebbe dal fatto che “non c’e’ alcuna norma che, per il giudizio di cassazione, conferisce la legittimazione a stare in giudizio all’Agenzia centrale, in luogo dell’Ufficio periferico, parte istituzionale nel processo tributario. Su queste basi, pare corretto concludere nel senso che ne’ il Ministero ne’ l’Agenzia tout court sono legittimate a stare in giudizio, ma il solo Ufficio periferico dell’Agenzia stessa, valendo anche nel giudizio per Cassazione le regole ordinarie del processo tributario. Con conseguente inammissibilita’ del ricorso di controparte, anche in considerazione del fatto che il Ministero non ha piu’ titolo per stare in giudizio”.

5.2. L’eccezione e’ infondata, perche’, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte «in tema di contenzioso tributario, a seguito della istituzione – nell’ambito della riforma del ministero delle finanze e dell’amministrazione fiscale, operata dal capo 2^ del titolo 5^ del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300 – delle agenzie fiscali, le quali gestiscono le funzioni gia’ esercitate dai vari dipartimenti ed uffici del ministero, l’Agenzia delle Entrate e i relativi uffici periferici – al pari delle altre agenzie fiscali per i rapporti di rispettiva competenza – hanno la medesima legittimazione processuale che in passato spettava al Ministero delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore, e ai relativi uffici periferici, rispettivamente nel giudizio di cassazione e nelle precedenti fasi, dinanzi alle commissioni tributarie, e quella legittimazione esercitano a mezzo del Direttore pro tempore, che ne ha la rappresentanza legale. Ne consegue che resta inequivocabilmente esclusa la legittimazione processuale degli uffici periferici delle Agenzie relativamente al giudizio di cassazione” (Corte di Cassazione 1 ottobre 2004, n. 19698, preceduta da Corte di Cassazione: 21 giugno 2004, n. 11551; 11 agosto 2004, n. 15528; 3 settembre 2004, n. 17844).

6. La pregiudiziale questione del difetto di rappresentanza in giudizio dell’Agenzia.

6.1. La resistente Fondazione sostiene che l’Agenzia sarebbe priva di rappresentanza processuale, perche’ essa non sarebbe rappresentata ex lege dall’Avvocatura dello Stato; infatti, data la facoltativita’ del patrocinio dell’Avvocatura, prevista dal D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, art. 72 non risulterebbe che all’Agenzia sia stato specificamente conferito alcun incarico o mandato di rappresentanza in giudizio dell’Avvocatura dello Stato.

6.2. L’eccezione e’ infondata, perche’, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, “nell’ipotesi di rappresentanza processuale facoltativa degli enti pubblici da parte dell’Avvocatura dello Stato, non e’ necessario che l’ente rilasci una specifica procura all’Avvocatura medesima per il singolo giudizio, risultando applicabile anche a tale ipotesi, a norma del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 45 la disposizione del R.D. cit, art. 1, comma 2 secondo cui gli avvocati dello Stato esercitano le loro funzioni innanzi a tutte le giurisdizioni ed in qualunque sede senza bisogno di mandato. (Fattispecie relativa ad agenzia fiscale, in rapporto alla quale il patrocinio facoltativo dell’Avvocatura dello Stato e’ previsto dal D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, art. 72)” (Corte di Cassazione, Sezioni unite, 15 novembre 2005, n. 23020).

7. L’eccezione pregiudiziale d’improcedibilita’ del ricorso.

7.1. La posizione assunta dalla Fondazione.

Secondo la Fondazione resistente il ricorso dell’Agenzia sarebbe improcedibile per violazione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, perche’ essa non avrebbe allegato al suo ricorso i documenti e gli atti processuali necessari alla Corte per verificare se la sentenza d’appello sia valida e se il ricorso sia fondato.

7.2. La valutazione della Corte dell’eccezione d’improcedibilita’.

L’eccezione e’ priva di fondamento, perche’, come si vedra’ dall’esame dei singoli motivi di ricorso, le censure proposte dall’Agenzia possono essere valutate senza la consultazione di documenti da depositare ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, i quali sono, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte documenti, diversi da quelli contenuti nel fascicolo d’ufficio, che sono oggetto della richiesta di trasmissione da rivolgere, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 3 alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata. In questo senso v. da ultimo, per tutte, la sentenza delle Sezioni unite 14 ottobre 2009, n. 21747, che, pur riferendosi a fattispecie del tutto diversa, afferma che l’onere di depositare documenti ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, opera quando non si possa considerare “sufficiente,… la mera allegazione dell’intero fascicolo di parte del giudizio di merito”, per ritenere fondato il motivo di ricorso.

Piu’ in generale, la sufficienza documentale del ricorso per Cassazione puo’ articolarsi secondo tre livelli diversi, che sono dati dal ricorso in se’, dal ricorso integrato documentalmente dal fascicolo d’ufficio ex art. 369 c.p.c., comma 3 e, infine, dal ricorso integrato documentalmente dal fascicolo d’ufficio ex art. 369 c.p.c., comma 3 e dai documenti ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4. Lo si desume dalle sentenze di questa Corte, nelle quali si afferma che la mancata trasmissione del fascicolo d’ufficio o, addirittura, la mancata richiesta della trasmissione del fascicolo d’ufficio o il mancato deposito di tale richiesta, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 3 “non determina l’improcedibilita’ del ricorso nell’ipotesi in cui, nonostante l’indisponibilita’ dell’anzidetto fascicolo, risultino certi i termini della controversia, sulla base degli atti di parte… e delle rispettive produzioni” (Corte di Cassazione:

Sezioni unite, 21 settembre 2006, n. 20504, e Sezioni unite 24 novembre 1994, n. 764).

Alle precedenti, e di per se’ decisive considerazioni, si puo’ aggiungere la constatazione che, nel caso in esame, l’eccezione e’ sollevata in termini generici, perche’ non si dice alcunche’ sui documenti che, secondo la resistente Societa’, l’Agenzia porrebbe a fondamento del suo ricorso, senza, tuttavia, depositarli. Ne deriva, sotto questo profilo, l’impossibilita’ di valutare l’(in)fondatezza dell’ipotesi formulata.

8. L’esame del merito del ricorso.

La reiezione delle eccezioni della Societa’ resistente apre la strada all’esame nel merito del ricorso dell’Agenzia.

9. Il primo motivo d’impugnazione.

9.1. La censura proposta con il primo motivo d’impugnazione.

9.1.1. La rubrica del primo motivo d’impugnazione.

Il primo motivo d’impugnazione e’ preannunciato dalla seguente rubrica: “Nullita’ della sentenza per omesso esame ed omessa pronuncia su punti decisivi della controversia; violazione dell’art. 112 c.p.c.; difetto assoluto di motivazione; in relazione al D.Lgs. n 546 del 1992, art. 62 e all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5“.

9.1.2. La motivazione addotta a sostegno del primo motivo d’impugnazione.

Secondo l’Agenzia «il giudice d’appello ha del tutto omesso di prendere in considerazione i motivi di impugnazione proposti dalla Direzione Regionale delle Entrate per le Marche con particolare riferimento al difetto di legittimazione passiva. Come gia’ evidenziato, la Direzione Regionale, subentrata alle competenze gia’ spettanti al soppresso Ispettorato Compartimentale, non ha il potere di emanare atti impositivi o di decidere su istanze di esenzione dal versamento di ritenute alla fonte; tale competenza appartiene agli Uffici territorialmente competenti (nella specie Ufficio Distrettuale delle II. DD. di Pesaro). Competono alle Direzioni Regionali delle Entrate esclusivamente compiti di istruttoria e controllo, sicche’ deve ritenersi che la D.R.E. per le Marche non dovesse essere coinvolta nella presente controversia. Sul punto la Commissione Regionale ha omesso qualsiasi esame e pronuncia”.

9.1.3. La norma di diritto indicata dal ricorrente.

9.2. La valutazione della Corte del primo motivo d’impugnazione.

Il motivo e’ redatto senza che sia stato adempiuto l’onere di autosufficienza del ricorso per Cassazione. Infatti, la ricorrente Agenzia non riproduce testualmente, nel suo atto d’impugnazione, quelle parti degli atti processuali, nelle quali sarebbero contenute le censure dell’ipotizzata omessa pronuncia, cosicche’ questa Corte, che non puo’ accedere agli atti di causa, non e’ posta in grado di valutare la fondatezza della censura.

9.2.3. Valutazione conclusiva sul primo motivo d’impugnazione.

Il primo motivo e’, in conclusione, inammissibile per mancanza di autosufficienza.

10. Il secondo motivo d’impugnazione.

10.1. La censura proposta con il secondo motivo d’impugnazione.

10.1.1. La rubrica del secondo motivo d’impugnazione.

Il secondo motivo d’impugnazione e’ posto sotto la seguente rubrica:

“Violazione dell’art. 112 c.p.c. sotto diverso profilo; erronea individuazione del thema decidendum; difetto assoluto di motivazione su punti decisivi della controversia prospettati dalle parti; in relazione al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62 e art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3,4 e 5” 1.2. La motivazione addotta a sostegno del secondo motivo d’impugnazione.

Secondo l’Agenzia “dalla lettura della sentenza impugnata emerge in tutta chiarezza che il giudice d’appello ha esaminato la fattispecie soltanto sotto il profilo della spettanza del beneficio dell’aliquota ridotta Irpeg previsto dal D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6 senza minimamente esaminare la spettanza del diverso beneficio dell’esenzione dall’obbligo di versare le ritenute alla fonte sui dividendi previsto dalla L. n. 1745 del 1962, art. 10 bis costituente l’oggetto della controversia. Ne consegue che la sentenza impugnata non appare idonea ne’ a dar contezza dei termini della controversia decisa, ne’ a far ritenere che il Collegio abbia effettivamente preso in esame tutti i punti sottoposti al suo vaglio con l’atto di impugnazione.. Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata”.

10.2. La valutazione della Corte del secondo motivo d’impugnazione.

Il secondo motivo d’impugnazione e’ inammissibile per mancanza di autosufficienza per le stesse ragioni esposte a proposito del primo motivo.

11. Il terzo motivo d’impugnazione.

11.1. La censura proposta con il terzo motivo d’impugnazione.

11.1.1 La rubrica del terzo motivo d’impugnazione.

Il terzo motivo d’impugnazione e’ presentato sotto la seguente rubrica: “Violazione e falsa applicazione della L. n. 1745 del 1962, art. 10 bis e dell’art. 14 disp. gen.; violazione e falsa applicazione dell’art. 2967 c.c.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi prospettati dalle parti; in relazione al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62 e all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”.

11.1.2. La motivazione addotta a sostegno del terzo motivo d’impugnazione.

La ricorrente oppugna specificamente le quattro argomentazioni in cui si articola la motivazione della sentenza d’appello, tanto che il terzo motivo puo’ considerarsi in realta’ suddiviso in quattro submotivi.

11.1.2.1. Primo submotivo: la contestazione dell’argomento della sentenza d’appello qui riprodotto nel par. 3.a).

Secondo la ricorrente Agenzia la questione da esaminare “attiene alla spettanza o meno dell’esonero dalla ritenuta di acconto sui dividendi, ai sensi della L. n. 1745 del 1962, art. 10 bis per le Fondazioni bancarie istituite dopo lo scorporo dell’impresa bancaria e dell’attivita’ creditizia”. La sentenza d’appello, in quanto “si e’ limitata a richiamarsi alla motivazione su cui aveva fondato la propria sentenza n. 97/9/99, pronunciata il 2.7.1999 ed intervenuta in un giudizio in cui era parte la Fondazione Cassa di Risparmio di Ascoli Piceno, senza esplicitare le relative argomentazioni”, sarebbe viziata per difetto assoluto e comunque insufficienza della motivazione su punti decisivi della controversia e merita di essere annullata.

Non puo’ il collegio giudicante limitarsi a richiamare, senza renderla esplicita, la motivazione di una propria sentenza precedentemente pubblicata, intervenuta a dirimere un diverso rapporto tributario e, tanto piu’, se tale rapporto, ancorche’ involgente una questione di diritto similare, aveva come soggetto passivo un diverso contribuente.

11.2.1.2. Secondo submotivo: la contestazione dell’argomento della sentenza d’appello qui riprodotta nel par. 3.b).

Secondo l’Agenzia ricorrente sarebbe destituito di qualsiasi fondamento il fatto che si sia formato “il giudicato sulla medesima questione attinente ad un diverso periodo d’imposta (1966)”, perche’ non solo “non risulta sussistere alcuna prova del formarsi di tale giudicato (al riguardo non viene neppure richiamata nei suoi estremi identificativi la sentenza che sarebbe passata in giudicato), sicche’ l’affermazione del giudicato risulta essere del tutto apodittica ed immotivata”, ma la tesi della CTR “urta contro il principio…

dell’autonomia di ciascun periodo d’imposta, ognuno dei quali involge un autonomo rapporto”.

11.2.1.3. Terzo submotivo: la contestazione dell’argomento della sentenza d’appello qui riprodotta nel par. 3.b).2.

L’Agenzia ricorrente sostiene, con riguardo alla natura interpretativa del D.Lgs. 17 maggio 1999, n. 153, che la CTR avrebbe errato nel ritenere “che alla Fondazione… spettasse l’invocato esonero, evidentemente sul presupposto che gli scopi e le attivita’ socialmente utili dovevano essere considerati come aventi carattere di prevalenza rispetto ad altre attivita’ di natura commerciale, E’ di tutta evidenza, infatti, che la riconduzione della fondazione bancaria in questione fra i soggetti considerati nel D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6, comma 1 deve ritenersi erronea, non potendosi condividere l’interpretazione della normativa richiamata su cui si e’ mosso il precedente giudice. Come fatto palese dalla formulazione letterale e dalla costruzione sintattico – grammaticale della disposizione in parola…, la mancanza di un fine di lucro deve intendersi riferita agli istituti di istruzione, di studio e di sperimentazione, e non pure alle fondazioni… che, insieme a corpi scientifici, accademie e associazioni (storiche, letterarie, scientifiche), sono state individuate dalla legge attraverso la comune caratteristica degli scopi esclusivamente culturali perseguiti dai detti soggetti”.

11.2.1.4. Quarto submotivo: la contestazione dell’argomento della sentenza d’appello qui riprodotta nel par. 3.b).3.

Con riguardo, poi, al richiamo alla sentenza della Corte di cassazione 9 maggio 2002, n. 6607, la ricorrente Agenzia osserva che tale pronuncia “e’ intervenuta in controversia relativa a diversa fattispecie (semiesenzione dal pagamento dell’Irpeg ai sensi del D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6)”, mentre, vertendo la presente controversia in tema di esonero dall’obbligo di effettuare la ritenuta di acconto in capo alla Fondazione, dovrebbe applicarsi il principio fatto valere nella sentenza della Corte di Cassazione 20 novembre 2001, n. 14574, la quale, “intervenuta in fattispecie identica, ha evidenziato… come nelle fondazioni cd. bancarie coesistano “quanto meno in via paritaria rispetto agli scopi di utilita’ sociale, anche scopi commerciali”.

11.3. La valutazione della Corte del terzo motivo d’impugnazione.

11.3.1. La valutazione della Corte della contestazione dell’argomento della sentenza d’appello qui riprodotta nel par. 3.a) (primo submotivo del terzo motivo d’impugnazione).

L’Agenzia ricorrente indica, come norma fondante il suo primo submotivo del terzo motivo d’impugnazione, quella secondo cui “la sentenza d’appello dev’essere autonomamente motivata rispetto alla sentenza appellata”.

Il primo submotivo e’ fondato, perche’ secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, “e’ legittima la motivazione per relationem della sentenza pronunciata in sede di gravame, purche’ il giudice d’appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, in modo che il percorso argomentativo desumibile attraverso la parte motiva delle due sentenze risulti appagante e corretto. Deve viceversa essere cassata la sentenza d’appello allorquando la laconicita’ della motivazione adottata, formulata in termini di mera adesione, non consenta in alcun modo di ritenere che all’affermazione di condivisione del giudizio di primo grado il giudice di appello sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame” (Corte di Cassazione 11 giugno 2008, n. 15483; v., anche, Corte di Cassazione 16 gennaio 2009, n. 979). Il principio della sufficienza della motivazione per relationem di una sentenza, affermato nella sentenza appena riprodotta con riguardo al rapporto tra sentenza di secondo grado e sentenza di primo grado, vale in generale per qualsiasi rapporto tra sentenza richiamante e sentenza richiamata. Ne deriva che, poiche’ nella sentenza impugnata nell’attuale giudizio di legittimita’ e’ inserita soltanto una clausola generica di adesione del giudice d’appello alla motivazione di un’altra sentenza della stessa CTR, la sua motivazione per relationem e’ palesemente insufficiente.

11.3.2. La valutazione della Corte della contestazione dell’argomento della sentenza d’appello qui riprodotta nel par. 3.b).1 (secondo submotivo del terzo motivo d’impugnazione).

Il secondo submotivo e’ manifestamente fondato, perche’, in materia d’imposte dirette, non e’ consentito estendere genericamente il giudicato formatosi sul rapporto relativo ad un anno a quello relativo ad un altro anno, senza una specifica analisi e una specifica dimostrazione dei presupposti identitari per tale estensione. Vale, in proposito, il principio di diritto fissato dalla sentenza 18 giugno 2007, n. 14087, di questa Corte, secondo cui, «affinche’ una lite possa dirsi coperta dall’efficacia di giudicato di una precedente sentenza resa tra le stesse parti e’ necessario che il giudizio introdotto per secondo investa il medesimo rapporto giuridico che ha gia’ formato oggetto del primo; in difetto di tale presupposto, nulla rileva la circostanza che la seconda lite richieda accertamenti di fatto gia’ compiuti nel corso della prima, in quanto l’efficacia oggettiva del giudicato non puo’ mai investire singole questioni di fatto o di diritto”.

Nel caso di specie, da un lato, si desume dall’ultima riga del frontespizio della sentenza d’appello che il rapporto giuridico controverso e’ quello relativo alle imposte sui redditi del 1997, e, dall’altro, che nella stessa sentenza si estende al 1997 il giudicato che si sarebbe formato sul “provvedimento di diniego dell’esenzione dalla ritenuta alla fonte per i dividendi dell’anno 1996” pagina 4, righe 7 – 8, della sentenza d’appello). Nulla si dice, dunque, della sentenza che sarebbe passata in giudicato e nulla si indica intorno alla struttura dei due rapporti collegati in giudicato.

Sul punto la sentenza d’appello e’, in conclusione, palesemente illegittima.

11.3.3. La valutazione della Corte della contestazione dell’argomento della sentenza d’appello qui riprodotta nel par. 3.b).2 (Terzo submotivo del terzo motivo d’impugnazione).

La L. 29 dicembre 1962, n. 1745, art. 10 bis, comma 1 nel testo aggiunto dal D.L. 21 febbraio 1967, n. 22, conv. in L. 21 aprile 1967, n. 209, prevede che “Gli utili spettanti a… fondazioni, esenti dall’imposta sulle societa’, che hanno esclusivamente scopo di beneficenza, educazione, istruzione, studio e ricerca scientifica sono esonerati dalla ritenuta prevista dall’art. 10 della presente legge,…”.

La L. 29 dicembre 1962, n. 1745, art. 10 nel testo sostituito dalla L. 21 aprile 1967, n. 209, art. 1 e’ cosi’ formulato: “Sugli utili…

spettanti ad organizzazioni di persone o di beni non soggette all’imposta sulle societa’ ed a soggetti tassabili in base al bilancio esenti dall’imposta sulle societa’ si applica, in luogo della ritenuta a titolo di acconto prevista dall’art. 1, una ritenuta a titolo di imposta nella misura del trenta per cento”.

Se ne deduce che il presupposto per l’esonero di una fondazione dalla ritenuta sugli utili e’ che essa abbia scopo di beneficenza, educazione, istruzione, studio e ricerca scientifica, cioe’ che essa sia un soggetto della specie del genere che e’ destinatario del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 6 nel testo introdotto dapprima dal D.L. 28 aprile 1993, n. 131, art. 66, comma 6 (non convertito), dal D.L. 30 giugno 1993, n. 213, art. 66, comma 8 (non convertito), e, infine, dal D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 66, comma 8 convertito in L. 29 ottobre 1993, n. 427, secondo il quale “L’imposta sul reddito delle persone giuridiche e’ ridotta alla meta’ nei confronti dei seguenti soggetti:… b)… fondazioni aventi scopi esclusivamente culturali;…”.

Con riguardo alle fondazioni bancarie, la giurisprudenza di legittimita’, dopo un primo orientamento favorevole al loro inserimento nel genere delle fondazioni aventi scopi esclusivamente culturali (Corte di Cassazione: 9 maggio 2002, n. 6607; 17 dicembre 2003, n. 19365), si e’ stabilizzata sulle posizioni espresse nelle seguenti sentenze:

a) “In tema di IRPEG, il riconoscimento in favore delle fondazioni bancarie dell’esenzione dalla ritenuta d’acconto sui dividendi da partecipazioni azionarie, prevista dalla L. 29 dicembre 1962, n. 1745, art. 10 bis, (introdotto dal D.L. 21 febbraio 1967, n. 22, art. 6 convertito in L. 21 aprile 1967, n. 209), e’ subordinato alla prova, posta a carico del soggetto che invoca l’agevolazione, dell’effettivo perseguimento in via esclusiva di scopi di beneficenza, educazione, studio e ricerca scientifica, rispetto ai quali la gestione di partecipazioni nelle imprese bancarie assuma un ruolo non prevalente e comunque strumentale alla provvista delle necessarie risorse economiche. In tale prospettiva, non puo’ attribuirsi portata determinante alle trasformazioni disposte dalla L. 30 luglio 1990, n. 218 e dal D.Lgs. 20 novembre 1990, n. 356, tenuto conto del perdurare nel nuovo regime di un collegamento genetico e funzionale tra fondazioni ed imprese bancarie, dovendosi invece conferire rilievo, indipendentemente dal possesso di partecipazioni azionarie di controllo (anche per il tramite di societa’ finanziarie), all’eventuale stipulazione di patti parasociali idonei a consentire, anche congiuntamente ad altri soggetti, l’esercizio di un’influenza sulla gestione dell’impresa bancaria, nonche’ allo svolgimento di attivita’ economica, anche non caratterizzata da scopo di lucro. L’accertamento di tali elementi, che consentono di qualificare l’attivita’ della fondazione come esercizio d’impresa, conformemente alla nozione elaborata dalla giurisprudenza comunitaria, impone al giudice di disapplicare l’art. 10 bis cit., ponendosi l’agevolazione da esso prevista come misura fiscale selettiva che, in quanto potenzialmente idonea ad influire sugli scambi e ad alterare la concorrenza, viene a configurarsi come aiuto di Stato, incompatibile con il mercato comune” Corte di cassazione, SU, 29 dicembre 2006, n. 27619);

b) “In tema di IRPEG, ai fini del riconoscimento in favore delle fondazioni bancarie del beneficio della riduzione a meta’ dell’aliquota, prevista dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 6 e’ necessario che tale agevolazione non venga in concreto ad assumere la valenza di un aiuto di Stato, lesivo del principio comunitario di concorrenza: a tal fine, occorre accertare che l’attivita’ della fondazione non presenti i connotati dell’azione imprenditoriale, i quali possono sussistere anche in mancanza del fine di lucro e pur nella dimostrata destinazione dei profitti, in parte o nel loro intero ammontare, al raggiungimento di scopi di utilita’ sociale, restando escluso il carattere d’impresa commerciale solo dalla previsione, statutaria o legale, dell’esclusivita’ dei predetti scopi, e dalla dimostrazione che tali attivita’ siano state effettivamente svolte e che la fondazione non abbia alcuna possibilita’ d’influire, quale azionista maggioritario o non maggioritario o in virtu’ di accordi parasociali o di patti di sindacato, sulla gestione della banca conferitaria o di altre imprese da essa partecipate” (Corte di Cassazione 12 marzo 2007, n. 5740).

c) “in tema di IRPEG, il diniego dell’Amministrazione finanziaria di riconoscere ad una fondazione bancaria l’esenzione dalla ritenuta d’acconto sui dividendi da partecipazioni azionarie, prevista dalla L. 29 dicembre 1962, n. 1745, art. 10 bis (introdotto dal D.L. 21 febbraio 1967, n. 22, art. 6, convertito in L. 21 aprile 1967, n. 209), ancorche’ fondato sull’astratta impossibilita’ di annoverare l’ente tra i soggetti dediti in via esclusiva al perseguimento di scopi di beneficenza, educazione, studio e ricerca scientifica, non dispensa la fondazione dall’onere di allegare e provare, in sede d’impugnazione, che i compiti culturali ed assistenziali da essa svolti in concreto hanno carattere preminente rispetto alla gestione della partecipazione nell’impresa bancaria: il carattere impugnatorio del giudizio che s’instaura nell’ipotesi di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19, lett. h non fa venir meno, infatti, l’onere di allegare e provare i presupposti dell’agevolazione” (Corte di Cassazione 11 giugno 2007, n. 13559).

In conclusione, vige la seguente norma giuridica: “Le esenzioni tributarie previste dalla L. 29 dicembre 1962, n. 1745, art. 10 bis, comma 1 nel testo aggiunto dal D.L. 21 febbraio 1967, n. 22, conv. in L. 21 aprile 1967, n. 209, e dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 6 sono riconosciute alla Fondazione che provi l’effettivo perseguimento in via esclusiva di scopi di beneficenza, educazione, studio e ricerca scientifica e la sua estraneita’ alla gestione della banca conferitaria o di altre imprese da essa partecipate”.

Poiche’ nel caso di specie non risulta che la Fondazione abbia mai fornito la prova dei fatti indicati nella norma giuridica da applicare, essa non ha diritto alle esenzioni tributarie previste dalle disposizioni normative indicate nel capoverso precedente.

In conclusione, il terzo submotivo del terzo motivo d’impugnazione e’ fondato.

11.3.4. La valutazione della Corte della contestazione dell’argomento della sentenza d’appello qui riprodotta nel par. 3.b).3 (Quarto submotivo del terzo motivo d’impugnazione).

Il quarto submotivo risulta fondato per le stesse ragioni che si sono addotte poc’anzi a sostegno del riconoscimento della fondatezza del terzo submotivo.

11.4. La valutazione conclusiva del terzo motivo d’impugnazione.

Le precedenti considerazioni conducono a riconoscere la fondatezza del terzo motivo d’impugnazione.

12. Conclusioni.

12.1. Sui ricorsi.

Riconosciuta l’inammissibilita’ del ricorso del Ministero, le considerazioni svolte portano ad accogliere il ricorso dell’Agenzia e a cassare la sentenza impugnata.

Inoltre, poiche’ per la risoluzione della controversia non si richiede alcun altro accertamento di fatto, la causa puo’ essere decisa nel merito, ex art. 384 c.p.c. con il rigetto del ricorso introduttivo della Fondazione.

12.2. Sulle spese processuali.

Quanto al ricorso del Ministero, le ragioni della sua inammissibilita’ risiedono nell’evoluzione della normativa sull’organizzazione dell’amministrazione finanziaria a cavaliere del 2000 e sulle connesse incertezze applicative, onde si giustifica la compensazione delle relative spese processuali.

Quanto alla controversia tra l’Agenzia e la Fondazione, e’ notorio il travaglio interpretativo della normativa sulle esenzioni tributarie a favore elle Fondazioni bancarie, cosicche’ appare ragionevole compensare tra le parti le spese processuali dell’intero giudizio.

P.Q.M.

LA CORTE Dichiara inammissibile il ricorso del Ministero, compensando le relative spese di giudizio, accoglie il ricorso dell’Agenzia, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della Fondazione e compensa tra le parti le spese processuali dell’intero giudizio.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2010

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