Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29112 del 05/12/2017


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Cassazione civile, sez. I, 05/12/2017, (ud. 12/07/2017, dep.05/12/2017),  n. 29112

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Damonte Costruzioni S.p.a. in liquidazione e concordato preventivo convenne in giudizio l'(OMISSIS) S.r.l. e l'(OMISSIS) S.p.a., per sentir dichiarare, ai sensi dell’art. 2901 c.c., l’inefficacia dell’atto per notaio G. del 9 gennaio 2001, con cui la prima aveva ceduto alla seconda il ramo di azienda relativo all’esecuzione di lavori di appalto pubblici e privati in Italia.

Si costituì l'(OMISSIS) S.p.a. e resistette alla domanda, chiedendone il rigetto.

1.1. Con sentenza del 24 novembre 2004, il Tribunale di Roma accolse la domanda.

2. L’impugnazione proposta dall'(OMISSIS) S.p.a. nei confronti della Damonte e del curatore del fallimento dell'(OMISSIS) S.r.l. (dichiarato nel corso del giudizio di primo grado) è stata rigettata dalla Corte d’appello di Roma con sentenza del 15 settembre 2011.

A fondamento della decisione, la Corte ha innanzitutto rigettato l’istanza d’interruzione del giudizio per effetto dell’omologazione del concordato fallimentare proposto dall'(OMISSIS) S.r.l. e della conseguente chiusura del fallimento, in quanto l’evento interruttivo, riguardante una parte dichiarata contumace, non era stato notificato nè certificato nelle forme prescritte dall’art. 300 c.p.c..

Ha escluso inoltre che la dichiarazione di fallimento dell'(OMISSIS) S.r.l. comportasse l’improcedibilità della domanda, osservando che l’azione revocatoria proposta dal singolo creditore può essere validamente proseguita anche a seguito della dichiarazione di fallimento del debitore, in quanto la legittimazione del curatore non ha carattere esclusivo, con la conseguenza che, in caso di mancata costituzione del curatore, il creditore può ottenere la dichiarazione d’inefficacia dell’atto di disposizione e soddisfarsi sul bene, il quale non è entrato a far parte della massa, in quanto ceduto a terzi; in proposito, ha ritenuto non provato il difetto di legittimazione del creditore, non essendo stato dimostrato che il curatore del fallimento avesse proposto un’autonoma azione revocatoria.

In ordine all’esistenza del credito posto a fondamento della domanda, la Corte, premesso che doveva ritenersi sufficiente una mera ragione di credito, anche non giudizialmente accertata, ha rilevato che il credito fatto valere dall’attrice aveva ad oggetto il corrispettivo dovuto per il trasferimento di un complesso aziendale ceduto con atto dell’8 ottobre 1997, integrato con atto del 31 marzo 1998, precisando che lo stesso era stato accertato con decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Savona il 2 aprile 2001, e confermato in sede di opposizione con sentenza del 3 marzo 2004, non impugnata a seguito dell’intervenuta dichiarazione di fallimento dell'(OMISSIS) S.r.l.; ha ritenuto irrilevante, al riguardo, la circostanza che la domanda di ammissione del credito al passivo del fallimento fosse stata rigettata, in quanto le relative sentenze erano state impugnate ed il giudizio era ancora pendente. Ha ritenuto altresì ininfluente il lodo arbitrale emesso tra le parti il 10 dicembre 2001, con cui erano stati accertati crediti vantati dell'(OMISSIS) S.r.l. nei confronti della Damonte per effetto dello stesso atto di cessione, non essendo stata accertata l’inesistenza del credito di quest’ultima, ma solo l’esistenza di crediti dell'(OMISSIS) per importi inferiori, e non essendo stata disposta alcuna compensazione.

Quanto al pregiudizio derivante dall’atto impugnato, precisato che a tal fine doveva considerarsi sufficiente una maggiore difficoltà ed incertezza nell’esazione coattiva del credito, e quindi anche una mera variazione qualitativa del patrimonio della debitrice, la Corte ha osservato che quest’ultima non aveva dimostrato che, nonostante l’atto di disposizione, il quale aveva comportato la trasformazione in denaro del complesso aziendale ceduto, il suo patrimonio avesse conservato caratteristiche tali da garantire il soddisfacimento delle ragioni del creditore. Ha rilevato che dai bilanci prodotti emergeva una precaria situazione economica, rispetto alla quale dovevano considerarsi inadeguati il corrispettivo percepito dell'(OMISSIS) per la cessione, l’accollo delle passività da parte della cessionaria e l’ulteriore corrispettivo dovuto in percentuale sul fatturato futuro. Ha aggiunto che l’inesistenza del rischio non era comprovata nè dalle azioni esecutive intraprese dall’appellante prima dell’emissione del decreto ingiuntivo, non essendo stato dimostrato che riguardassero il credito in questione, nè dall’entità delle commesse escluse dalla cessione, non essendo certo che costituissero il ramo più cospicuo del patrimonio, nè infine da affidamenti bancari e disponibilità liquide, la cui esistenza era smentita dai bilanci.

La Corte ha ritenuto infine accertata la scientia damni, reputando a tal fine sufficiente la conoscenza dell’esistenza del credito da parte del debitore e la conoscenza del pregiudizio da parte del terzo, in quanto l’atto di disposizione era successivo al sorgere del credito. Ha rilevato infatti che all’epoca della cessione la cedente e la cessionaria avevano lo stesso amministratore unico, il quale non poteva non essere a conoscenza degli effetti negativi dell’atto sul patrimonio della debitrice, ritenendo irrilevante sia la circostanza che, per motivi di opportunità, in rappresentanza dell'(OMISSIS) S.r.l. avesse partecipato alla cessione un semplice delegato, sia la circostanza, fatta valere per la prima volta in appello, che l'(OMISSIS) S.p.a. si fosse accollata le passività, non risultando che le stesse comprendessero il credito in questione.

3. Avverso la predetta sentenza l'(OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi. La Damonte Costruzioni ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione circa un punto decisivo della controversia, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso l’improcedibilità della domanda ed il difetto di legittimazione dell’attrice, rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio. Afferma infatti che, per effetto della dichiarazione di fallimento dell'(OMISSIS) S.r.l., la legittimazione alla prosecuzione del giudizio spettava esclusivamente al curatore, non avendo la creditrice interesse all’azione revocatoria, che, in quanto preordinata all’esercizio dell’azione esecutiva, non avrebbe potuto esplicare la sua funzione, a causa del divieto previsto dal R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 51. Contesta che il curatore avesse manifestato disinteresse verso l’atto di disposizione, rilevando che nei confronti dello stesso era stata proposta azione revocatoria fallimentare, ancora pendente dinanzi alla Corte d’appello, come confermato sia dalla mancata costituzione del curatore nel presente giudizio, sia dalla condotta processuale dell’attrice, che in ordine alla predetta eccezione si era limitata a rimettersi alla decisione della Corte d’appello. Nega infine che nelle more del giudizio sia stata disposta la chiusura del fallimento dell'(OMISSIS) S.r.l., assumendo che la società fallita è stata ammessa al concordato fallimentare con assuntore, omologato dal Tribunale di Roma con sentenza del 26 maggio 2008, ed aggiungendo che nel corso dell’esecuzione del concordato è stato proposto ricorso per cassazione avverso il provvedimento emesso il 6 novembre 2008, con cui è stato liquidato il compenso in favore del commissario giudiziale nominato nell’ambito della procedura di amministrazione controllata che aveva preceduto la dichiarazione di fallimento dell'(OMISSIS) S.r.l..

1.1. Il motivo è infondato.

Nel rigettare l’eccezione d’improcedibilità della domanda, la sentenza impugnata ha infatti richiamato l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la dichiarazione di fallimento del debitore non impedisce la valida prosecuzione da parte del singolo creditore dell’azione revocatoria ordinaria da lui promossa in epoca anteriore all’apertura della procedura concorsuale, in quanto la legittimazione all’esercizio dell’azione, attribuita al curatore dalla L. Fall., art. 66, in qualità di sostituto processuale della massa dei creditori, non ha carattere esclusivo, con la conseguenza che, in caso di fallimento del debitore sopravvenuto dopo la sentenza di primo grado, ove il curatore non si sia costituito nel giudizio d’appello, il creditore può comunque ottenere la declaratoria d’inefficacia dell’atto di disposizione patrimoniale e soddisfare il proprio credito mediante l’espropriazione forzata del bene che ha costituito oggetto della pronuncia, il quale non è entrato a far parte della massa, in quanto ceduto a terzi (cfr. Cass., Sez. 3, 28/02/2008, n. 5272; 19/05/2006, n. 11763).

Tale orientamento, tutt’altro che pacifico (cfr. in proposito Cass., Sez. 3, 19/08/2003, n. 12114; 6/08/2002, n. 11760; Cass., Sez. 1, 25/07/ 2002, n. 10921), è stato peraltro oggetto di parziale rimeditazione ad opera di una successiva pronuncia, anch’essa citata dalla sentenza impugnata, con cui le Sezioni Unite, a composizione del contrasto di giurisprudenza, hanno posto in risalto la finalità tipica ed essenziale dell’azione revocatoria, consistente nel consentire il soddisfacimento del creditore sul cespite patrimoniale del quale il debitore si sia spogliato, desumendone che il subingresso del curatore nel giudizio promosso in epoca anteriore alla dichiarazione di fallimento ne esclude la prosecuzione da parte del singolo creditore, in quanto quest’ultimo non ha un interesse attuale e concreto a coltivarla in parallelo all’azione del fallimento, dal momento che il bene, in caso di accoglimento della domanda, è ormai destinato al soddisfacimento dell’intera massa dei creditori, onde esso dovrà essere appreso a fini esecutivi dal curatore ed il singolo creditore potrà fruire del ricavato dell’esecuzione soltanto secondo le regole del riparto concorsuale (cfr. Cass., Sez. Un., 17/12/2008, n. 29420). Pur avendo precisato che il concorso tra la legittimazione del curatore e quella del singolo creditore non dà luogo a due azioni diverse, in quanto si tratta pur sempre dell’unica azione originaria, nella quale il curatore subentra avvalendosi di una speciale legittimazione sostitutiva rispetto a quella del singolo creditore, la predetta pronuncia ha tuttavia lasciato deliberatamente impregiudicate le questioni, che assumono rilievo nel presente giudizio, dell’eventuale persistenza della legittimazione e dell’interesse del singolo creditore in caso d’inerzia degli organi della procedura concorsuale nell’esercizio dell’azione, nonchè dell’eventuale possibilità di ripresa dell’azione individuale in caso di chiusura del fallimento senza che siano stati compiuti atti esecutivi sul cespite interessato dall’atto revocato: in proposito, come correttamente rilevato dalla Corte distrettuale, le Sezioni Unite si sono infatti limitate a ribadire l’essenzialità dell’interesse ad agire, affermando che lo stesso deve rimanere attuale e concreto sino al momento della decisione.

La prima delle predette questioni è stata tuttavia affrontata in una coeva pronuncia, con la quale è stato affermato il principio secondo cui il sopravvenuto fallimento del debitore non determina l’improcedibilità dell’azione revocatoria ordinaria promossa da un singolo creditore al fine di far dichiarare a sè inopponibile un atto di disposizione compiuto dal debitore sul proprio patrimonio, a meno che il curatore del fallimento non manifesti la volontà di subentrare in detta azione, ovvero risulti aver intrapreso, con riguardo a quel medesimo atto di disposizione, altra analoga azione a norma della L. Fall., art. 66. E’ stato infatti chiarito che in tal caso la prosecuzione del giudizio non trova ostacolo nè nel divieto di azioni esecutive individuali, stabilito dalla L. Fall., art. 51, nè nei principi che regolano il concorso dei creditori, enunciati dal successivo art. 52: la circostanza che il curatore, almeno per il momento, non abbia inteso impugnare nell’interesse della massa l’atto di disposizione compiuto dal debitore sul proprio patrimonio, esclude infatti qualsiasi interferenza con lo svolgimento della procedura concorsuale, dal momento che il bene oggetto di quell’atto non appare destinato ad essere acquisito al fallimento, e non è quindi prevedibile che sia assoggettato ad alcuna attività esecutiva nell’ambito del fallimento (cfr. Cass., Sez. Un., 17/12/2008, n. 29421).

1.2. A tale principio si è sostanzialmente attenuta la sentenza impugnata, la quale, pur ignorando il predetto precedente, ha ritenuto necessario, ai fini della dichiarazione d’improcedibilità della domanda, accertare se il curatore del fallimento dell'(OMISSIS) S.r.l. avesse manifestato interesse per la dichiarazione d’inefficacia della cessione dalla stessa stipulata con l'(OMISSIS) S.p.a.: tale verifica ha peraltro sortito esito negativo, avendo l’appellante omesso di fornire la prova della circostanza, fatta valere nel corso del giudizio, che il curatore si era nel frattempo attivato mediante la proposizione di un’autonoma azione revocatoria.

Nel contestare tale conclusione, la ricorrente non è in grado d’indicare elementi di prova eventualmente trascurati dalla Corte territoriale, ma si limita ad insistere sul valore sintomatico della mancata costituzione in giudizio del curatore e della condotta processuale tenuta dall’appellata, senza tener conto del carattere ambivalente di entrambi i comportamenti, interpretabili anche in senso esattamente opposto a quello da essa voluto, soprattutto alla luce dei diversi orientamenti manifestatisi in giurisprudenza con riguardo alla questione in esame. Inammissibile, ai sensi dell’art. 372 c.p.c., risulta poi la produzione, avvenuta nella presente fase, delle comparse conclusionali depositate nel giudizio di appello avente ad oggetto la predetta azione, trattandosi di documenti non riguardanti la nullità della sentenza impugnata o l’ammissibilità del ricorso o del controricorso, ma la legittimazione dell’attrice alla prosecuzione del giudizio, la cui contestazione in grado di appello avrebbe imposto all’interessata di fornire la relativa prova nella medesima fase.

In quanto non validamente censurato, il ritenuto disinteresse degli organi del fallimento dall'(OMISSIS) S.r.l. nei confronti dell’azione revocatoria intentata dalla Damonte Costruzioni comporta infine l’irrilevanza della questione concernente il venir meno della legittimazione del curatore a causa dell’intervenuta chiusura del fallimento, anch’essa peraltro ritenuta non provata dalla sentenza impugnata, che proprio per tale motivo ha rigettato l’istanza d’interruzione del giudizio di appello.

2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione circa un punto decisivo della controversia, censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto sussistenti i presupposti della revocatoria.

Premesso infatti che l’istanza d’insinuazione al passivo e quella d’insinuazione tardiva proposte dall’attrice nel fallimento dell'(OMISSIS) S.r.l. sono state entrambe rigettate, con sentenze avverso le quali pende il giudizio d’appello, osserva che la Corte di merito avrebbe dovuto ritenere inefficaci il decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Savona e la sentenza pronunciata nel giudizio di opposizione, in quanto inopponibili al fallimento, e comunque superati dalle sentenze di rigetto delle istanze d’insinuazione. Precisato inoltre che il carattere litigioso del credito ne esclude la configurabilità come credito eventuale, ai fini della legittimazione all’esercizio dell’azione revocatoria, sostiene che, anche in caso di accoglimento della stessa, la tutela del credito resterebbe subordinata al suo accertamento nei confronti del fallimento o assoggettata alla falcidia concordataria. Nel ritenere ininfluente il lodo arbitrale pronunciato tra l'(OMISSIS) S.r.l. e la Damonte, la sentenza impugnata non ha infine considerato che lo stesso ha accertato l’inesistenza o comunque l’estinzione del credito dell’attrice, azzerato dai maggiori debiti di quest’ultima, derivanti dai residui anticipi per le cessioni di credito previste dal medesimo titolo contrattuale e e dai relativi interessi.

Ad avviso della ricorrente, la cessione del ramo di azienda non ha arrecato alcun pregiudizio alle ragioni dei creditori dell'(OMISSIS) S.r.l., avendo avuto luogo contro il pagamento di un corrispettivo di Lire 700.000.000 ed avendo comportato il subingresso di essa ricorrente in tutti i rapporti relativi alle commesse cedute, nonchè la cogestione di parte delle stesse, con il diritto della cedente al rimborso dei costi sostenuti e ad una percentuale sul fatturato, poi risultata non dovuta a causa dell’eccedenza dei costi sull’importo dei lavori effettuati. Nel dare atto della precaria situazione economica della cedente, la Corte di merito non ha tenuto conto dell’attivo patrimoniale e delle disponibilità finanziarie risultanti a favore della stessa all’epoca della cessione (pressochè integralmente dissipate negli anni successivi, a causa dell’assoggettamento ad amministrazione controllata), nè dell’incertezza del credito dell’attrice, non riportato nella situazione patrimoniale al 5 ottobre 2001, nè infine dello scopo del trasferimento del ramo d’azienda, consistente nella scissione dell’attività svolta in Italia da quella svolta all’estero.

Secondo la ricorrente, l’identità dell’amministratore dell'(OMISSIS) S.p.a. e dell'(OMISSIS) S.r.l. non poteva considerarsi idonea ad evidenziare la conoscenza del danno arrecato alle ragioni dei creditori, non avendo egli sottoscritto l’atto di cessione, al quale era intervenuto il socio di maggioranza della società cedente, e dovendo comunque ritenersi che la predetta conoscenza fosse esclusa dall’insussistenza del pregiudizio.

2.1. Il motivo è in parte infondato, in parte inammissibile.

L’affermata sufficienza della prova del credito allegato a sostegno della domanda, fornita dall’attrice mediante la produzione del decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Savona e dalla sentenza di rigetto della relativa opposizione, trova infatti conforto nel richiamo al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, ribadito anche di recente, secondo cui, ai fini dell’esercizio della revocatoria ordinaria, non assumono rilievo gli ordinari criteri di certezza, liquidità ed esigibilità del credito, ma basta anche una mera ragione o aspettativa, in quanto l’art. 2901 c.c., ha accolto una nozione ampia di credito, con la conseguenza che anche un credito eventuale, come quello litigioso, sia che derivi da una fonte contrattuale oggetto di contestazione in un separato giudizio, sia che tragga origine da un fatto illecito, è idoneo a giustificare il riconoscimento della qualità di creditore che legittima l’esperimento di detta azione (cfr. Cass., Sez. 3, 22/03/2016, n. 5619; 10/02/2016, n. 2673; 9/02/2012, n. 1893).

E’ pur vero che in tal caso la sentenza di accoglimento dell’azione revocatoria non può essere portata ad esecuzione fino a quando l’esistenza del credito non sia accertata con efficacia di giudicato o quanto meno con un provvedimento avente efficacia esecutiva (cfr. Cass., Sez. 3, 7/05/2014, n. 9855); a ciò occorre aggiungere che, nella specie, l’eseguibilità del decreto ingiuntivo e della sentenza di rigetto dell’opposizione era preclusa dalla dichiarazione di fallimento della debitrice, intervenuta nel corso del giudizio di primo grado, che escludeva l’operatività della disciplina dettata dalla L. Fall., art. 95, comma 3 (nel testo, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, anteriore alle modificazioni introdotte dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, art. 81, ed oggi sostituito dall’art. 96, comma 2, n. 3), imponendo all’attrice di far valere il credito nelle forme di cui della L. Fall., artt. 93 e segg. (cfr. Cass., Sez. 1, 12/02/2013, n. 6401; 13/08/2008, n. 21565; 1/04/2005, n. 6918). Correttamente, peraltro, la sentenza impugnata ha negato qualsiasi rilievo alla circostanza che le istanze d’insinuazione proposte dalla creditrice fossero state rigettate, dal momento che le relative sentenze erano state impugnate ed i giudizi d’impugnazione erano ancora pendenti alla data della decisione; la questione deve d’altronde ritenersi ormai superata per effetto dell’accertamento definitivo del credito, conseguente all’accoglimento delle impugnazioni con sentenza n. 26/2012 della Corte d’appello di Roma, la cui produzione deve ritenersi ammissibile anche in questa fase, avuto riguardo alla rilevabilità d’ufficio, anche in sede di legittimità, del giudicato formatosi in epoca successiva alla chiusura del giudizio di merito (cfr. Cass., Sez. 6, 1/06/2015, n. 11365; Cass., Sez. 1, 23/12/2010, n. 26041; Cass., Sez. 3, 5/03/2009, n. 5360).

Nel ribadire l’insussistenza del predetto credito, in quanto estinto per compensazione con i propri maggiori crediti accertati dal lodo arbitrale prodotto in giudizio, la ricorrente contesta l’accertamento compiuto al riguardo dalla sentenza impugnata, senza essere in grado d’indicare le lacune argomentative o le carenze logiche del ragionamento della stessa seguito, ma limitandosi ad insistere nella propria tesi, in tal modo dimostrando di voler sollecitare una nuova valutazione dei fatti, non consentito a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di verificare la correttezza giuridica e la coerenza logica delle argomentazioni svolte a fondamento della decisione (cfr. Cass., Sez. 2, 12/01/2010, n. 327; Cass., Sez. 1, 8/03/2007, n. 5337; 8/09/2003, n. 13071).

2.2. Per analoghe ragioni, non possono trovare ingresso, in questa sede, le censure proposte dalla ricorrente avverso l’accertamento del pregiudizio arrecato dall’atto di disposizione patrimoniale impugnato e della conoscenza di tale pregiudizio da parte della società acquirente.

In ordine alla prima questione, d’altronde, la sentenza impugnata si è correttamente attenuta al principio, costantemente ribadito da questa Corte, secondo cui, ai fini dell’azione revocatoria ordinaria, non è richiesta la totale compromissione della consistenza patrimoniale del debitore, ma soltanto il compimento di un atto che renda più incerto o difficile il soddisfacimento del credito, potendo tale atto tradursi non solo in una variazione quantitativa del patrimonio del debitore, ma anche in una modificazione qualitativa dello stesso, ivi compresa, come nella specie, la sostituzione di beni mobili o immobili con il denaro derivante dal trasferimento a terzi, la quale comporta di per sè una rilevante modifica qualitativa della garanzia patrimoniale, in considerazione della maggiore facilità di cessione del denaro (cfr. Cass., Sez. 2, 3/02/2015, n. 1902; Cass., Sez. 3, 9/02/2012, n. 1896; 29/03/2007, n. 7767). L’incidenza di tale modificazione sulla garanzia patrimoniale della creditrice è stata convenientemente motivata dalla Corte distrettuale, la quale ha dato ampiamente atto della precarietà della situazione economico-patrimoniale emergente dai bilanci dell'(OMISSIS) S.r.l. e della mancata dimostrazione della disponibilità da parte della stessa di affidamenti bancari e risorse liquide, nonchè della residua consistenza delle sue attività, correttamente escludendo, a fronte di tale quadro complessivo, l’idoneità del corrispettivo pattuito per la cessione a rappresentare un’adeguata garanzia per le ragioni della creditrice.

2.3. Quanto infine alla scientia damni, accertata in via presuntiva sulla base della coincidenza della persona dell’amministratore unico delle società stipulanti, le considerazioni svolte al riguardo dalla Corte di merito non possono ritenersi inficiate dalle critiche della ricorrente, la quale, nel porre in risalto l’avvenuta sottoscrizione dell’atto di cessione da parte del socio di maggioranza dell'(OMISSIS) S.r.l., intervenuto in rappresentanza della società per delega dell’amministratore unico, non tiene conto delle ragioni di tale intervento, opportunamente evidenziate dalla Corte di merito, e della contestuale partecipazione all’atto del predetto amministratore, in rappresentanza dell'(OMISSIS) S.p.a., che, consentendo di attribuire una portata meramente formale alla predetta sostituzione e di ricondurre ad un’unica regia l’intera operazione, fa apparire pienamente giustificata la conclusione cui è pervenuta la sentenza impugnata, secondo cui il legale rappresentante di entrambe le società non poteva non essere a conoscenza degli effetti negativi dell’atto sul patrimonio della debitrice.

3. Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore della controricorrente, che si liquidano come dal dispositivo. La mancata costituzione in giudizio del curatore esclude invece la necessità di provvedere al regolamento delle spese processuali nei rapporti con il fallimento.

PQM

rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 12 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2017

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