Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29108 del 18/12/2020

Cassazione civile sez. un., 18/12/2020, (ud. 15/12/2020, dep. 18/12/2020), n.29108

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Primo Presidente f.f. –

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente di Sez. –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente di Sez. –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al N.R.G. 8485/2020 proposto da:

G.P., GA.Ma., F.G.,

P.E., e B.N., tutti quali ex soci della società Bocinsky

di G.P. & C. s.n.c.., rappresentati e difesi

dall’Avvocato Roberta Alessandrini, con domicilio eletto presso lo

studio dell’Avvocato Elena Bartolomeo, in Roma, via Miglianico n.

69/C;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI, in persona del

Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura

generale dello Stato e domiciliato presso gli Uffici di questa in

Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza del Tribunale superiore delle acque

pubbliche n. 210/2019, depositata il 12 novembre 2019.

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 15

dicembre 2020 dal Consigliere Dott. Alberto Giusti;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. VISONA’ Stefano, che ha concluso per l’accoglimento

del ricorso;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato Andrea Del Vecchio, per delega.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Con ricorso notificato il 17 dicembre 2015, G.P., Ga.Ma., F.G., P.E. e B.N., nella qualità di ex soci della cessata società Bocinsky di G.P. & C. s.n.c., convennero in giudizio dinanzi al Tribunale regionale delle acque pubbliche presso la Corte d’appello di Roma il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, per sentirlo condannare al risarcimento dei danni patiti dalla società a seguito della esondazione del fiume (OMISSIS) nell’aprile 1992 per complessivi Euro 21.242, già al netto dei contributi percepiti dalla Regione negli anni tra il 1994 e il 1998, oltre interessi e rivalutazione monetaria.

Costituitosi il Ministero con preliminare eccezione di prescrizione del credito e richiesta di reiezione nel merito dell’avversa domanda, l’adito Tribunale regionale rigettò quest’ultima con sentenza pubblicata in data 17 ottobre 2017, rilevando la carenza di legittimazione attiva in capo ai ricorrenti, per avere costoro agito per un credito sociale in tempo di gran lunga successivo alla cessazione della società, cancellatasi dal registro delle imprese nel marzo 1997. Osservò il TRAP che 1″estinzione della società conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese aveva fatto venir meno quella che, all’epoca dell’estinzione, era una mera pretesa patrimoniale generica, la quale non aveva ancora avuto modo di assurgere a diritto risarcitorio perfetto, non essendo stato ancora avviato il giudizio teso a conseguire il ristoro eventualmente dovuto.

2. – Con sentenza non definitiva depositata in data 23 gennaio 2019, il Tribunale superiore delle acque pubbliche ha dichiarato la nullità della sentenza di primo grado per violazione dell’art. 101 c.p.c., comma 2, per avere posto a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio senza averla prima sottoposta alla discussione delle parti, e ha disposto per l’ulteriore corso come da separata ordinanza.

2.1. – Poi, con sentenza pubblicata il 12 novembre 2019, definitivamente pronunciando sull’appello, il Tribunale superiore ha rigettato la domanda proposta.

Il TSAP ha richiamato il principio secondo cui l’estinzione di una società di persone conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese determina un fenomeno di tipo successorio in virtù del quale sono trasferiti ai soci esclusivamente le obbligazioni ancora inadempiute ed i beni o i diritti non compresi nel bilancio finale di liquidazione, con esclusione, invece, delle mere pretese, ancorchè azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi necessitanti dell’accertamento giudiziale non concluso, il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente, quindi, di ritenere che la società vi abbia implicitamente rinunciato, con la conseguenza che gli ex soci non hanno la legittimazione a farli valere in giudizio.

Ha proseguito il Tribunale superiore osservando che nella specie, se è vero che la cancellazione si è avuta in tempo effettivamente remoto e di gran lunga anteriore alla conclusione di un procedimento penale non ancora formalizzato nei confronti di persone individuate, nondimeno l’entità dei danni era tale che, a prescindere dalla concreta identificazione dei singoli responsabili, era ben possibile comprendere nel bilancio di liquidazione della società anche il relativo credito risarcitorio, sia pure nei confronti di persone ancora da indentificare, viepiù una volta che quello era stato quantificato almeno in sede di erogazione di provvidenze pubbliche, corrisposte in misura percentuale rispetto ad un totale ben maggiore.

Secondo il TSAP, la mancata contemplazione, in tale contesto, di detta posta equivale a volontaria dimissione di quel credito, con conseguente esclusione della legittimazione ad agire per il suo recupero in capo a coloro che la qualità di soci avevano posseduto al momento dello scioglimento.

3. – Per la cassazione della sentenza del TSAP, pubblicata in data 12 novembre 2019 e notificata il 7 gennaio 2020, G.P., Ga.Ma., F.G., P.E. e B.N. hanno proposto ricorso, con atto notificato il 21 febbraio 2020, sulla base di un motivo.

Ha resistito, con controricorso, l’intimato Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.

In prossimità dell’udienza i ricorrenti hanno depositato una memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con l’unico motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 2312 e 2495 c.c.) i ricorrenti censurano che il Tribunale superiore abbia erroneamente desunto la rinuncia implicita della s.n.c. Bocinsky al credito risarcitorio oggetto di causa dalla cancellazione della società dal registro delle imprese, pur non essendo assolutamente conoscibile dagli amministratori della società, all’epoca della cancellazione, l’esistenza del suddetto credito. Ad avviso dei ricorrenti, nel caso di specie la scelta della cancellazione della società dal registro delle imprese non sarebbe ragionevolmente interpretabile quale rinuncia al diritto di credito o alla pretesa risarcitoria, atteso che la s.n.c. Bocinsky è stata cancellata dal registro delle imprese, senza passare attraverso la fase delle liquidazione, il 4 marzo 1997, con denuncia di cessazione di fine attività il (OMISSIS), quando non era affatto conoscibile, usando l’ordinaria diligenza, che l’esondazione del fiume Tronto, avvenuta nel 1992, e i conseguenti danni, oggetto del presente giudizio, fossero in rapporto causale con le carenze di progettazione e di manutenzione delle opere idrauliche del fiume Tronto imputabili all’ing. M. e, quindi, al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Deducono al riguardo i ricorrenti che la responsabilità per le suddette carenze, che ha determinato l’insorgenza del credito risarcitorio in questione, è stata accertata mediante un processo penale per inondazione colposa, iniziato con decreto di rinvio a giudizio del GUP presso il Tribunale di Ascoli Piceno del 21 dicembre 2000 e terminato con sentenza della Corte d’appello di Perugia dell’11 febbraio 2008, confermata dalla Corte di cassazione, successivamente all’adozione di una legge statale (la L. 23 dicembre 1992, n. 505) e di una Legge della Regione Marche (la L.R. 28 giugno 1993, n. 17), le quali, nel riconoscere provvidenze ai soggetti danneggiati da detta alluvione, si sono riferite a calamità ed elementi straordinari.

2. – Il motivo è fondato.

3. – E’ acquisito nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui, in caso di cancellazione di una società di persone dal registro delle imprese, i singoli soci non sono legittimati all’esercizio di azioni giudiziarie la cui titolarità sarebbe spettata alla società prima della cancellazione ma che essa ha scelto di non esperire, sciogliendosi e facendosi cancellare dal registro, atteso che, in tal modo, la società ha posto in essere un comportamento inequivocabilmente inteso a rinunciare a quelle azioni, facendo così venir meno l’oggetto stesso di una trasmissione successoria ai soci (Cass., Sez. I, 16 luglio 2010, n. 16758).

Su questa base, è stato chiarito che non si verifica la successione dei soci nella titolarità di mere pretese, ancorchè azionate o azionabili in giudizio, e di crediti ancora incerti o illiquidi che, ove non compresi nel bilancio finale di liquidazione, devono ritenersi rinunciati dalla società a favore della conclusione del procedimento estintivo, con la conseguenza che gli ex soci non hanno la legittimazione a farli valere in giudizio (Cass., Sez. I, 15 novembre 2016, n. 23269; Cass., Sez. I, 19 luglio 2018, n. 19302).

Più in generale, qualora all’estinzione della società, conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno successorio, in virtù del quale si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o di comunione indivisa, i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, ma non anche le mere pretese, ancorchè azionate o azionabili in giudizio, nè i diritti di credito ancora incerti o illiquidi la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato (Cass., Sez. Un., 12 marzo 2013, n. 6072).

4. – Con la sentenza qui impugnata, il Tribunale superiore ha rilevato che l’esistenza di un credito di natura risarcitoria a seguito della esondazione del fiume (OMISSIS) era sicuramente configurabile al momento della cancellazione della società, tenuto conto dell’erogazione di un contributo pubblico a fronte dei danni derivanti dall’esondazione, e che tanto fonda una presunzione di rinuncia al credito potenziale in conseguenza della cancellazione della società, senza la preventiva instaurazione, da parte della medesima società, di azioni giudiziali per l’accertamento del credito e senza l’iscrizione in bilancio del credito stesso.

Secondo il TSAP, l’azione giudiziale ben avrebbe potuto essere intrapresa dall’organo amministrativo in carica e comunque il credito avrebbe potuto essere indicato nell’atto di scioglimento, attesi i caratteri di notorietà dell’entità dei danni complessivamente arrecati dall’ingente evento calamitoso, della pendenza di un procedimento penale e del contesto di elargizione di provvidenze, di cui la stessa società aveva beneficiato nella consapevolezza della parzialità del ristoro del danno e quindi nella doverosa raffigurazione della persistenza di un credito.

5. – E’ esatta la premessa in diritto enunciata dalla sentenza impugnata: il mancato espletamento, da parte della società, dell’attività volta ad ottenere la condanna del soggetto responsabile al risarcimento del danno consente di ritenere che la società abbia rinunciato al credito risarcitorio, con esclusione della successione dei soci; la scelta della società di cancellarsi dal registro, senza prima intraprendere alcuna attività giudiziale volta a far accertare il credito risarcitorio e ad ottenere la conseguente pronuncia di condanna, può ragionevolmente essere interpretata come un’univoca manifestazione di volontà di rinunciare a quel credito (incerto o comunque illiquido) a favore di una più rapida conclusione del provvedimento estintivo.

6. – Ritiene tuttavia il Collegio che, in presenza di un credito risarcitorio da illecito extracontrattuale, in tanto un’interpretazione abdicativa della cancellazione appare giustificata, in quanto la società fosse in grado, al tempo della cancellazione, con l’uso dell’ordinaria diligenza, di avere conoscenza non solo del danno, ma anche dell’illecito e della derivazione causale dell’uno dall’altro.

Poichè, dunque, la presunzione di una volontà dismissiva non può prescindere dalla conoscenza o dalla conoscibilità dell’esistenza del diritto rinunciato, nel caso di specie occorreva, per ritenere configurabile la rinuncia al credito risarcitorio, che la società avesse reale e concreta percezione o fosse in grado di conoscere con l’ordinaria diligenza che il pregiudizio sofferto, derivante dall’esondazione del fiume, era la conseguenza, non di una mera calamità naturale dovuta ad eccezionali precipitazioni, ma di un fatto illecito addebitabile alla colpa del terzo.

7. – Invece, la sentenza impugnata ha ritenuto sufficiente, ai fini della configurabilità dell’implicita rinuncia della società e del conseguente difetto di legittimazione degli ex soci a fare valere in giudizio il credito della società estinta, l’esistenza e la notorietà dei danni derivanti dall’evento calamitoso e il mero avvio di un’indagine penale.

8. – Sennonchè, così decidendo, il Tribunale superiore non ha considerato che, al momento della cancellazione della società Bocinsky dal registro delle imprese, avvenuta nel marzo 1997, non era conoscibile, usando l’ordinaria diligenza, che l’esondazione del fiume (OMISSIS), avvenuta nel 1992, e i conseguenti danni, fossero in rapporto di derivazione causale con le carenze di progettazione e di manutenzione delle opere idrauliche del fiume imputabili al funzionario del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, giacchè il decreto di rinvio a giudizio dell’ing. M. è stato emesso soltanto nel dicembre 2000 e il processo penale si è concluso con sentenza della Corte d’appello di Perugia dell’11 febbraio 2008, confermata in Cassazione. In altri termini, il TSAP non ha tenuto conto della circostanza che, al momento della cancellazione dal registro, la società era, bensì, in grado di aver percezione dei pregiudizi economici e patrimoniali subiti in conseguenza dell’evento alluvionale, ma non poteva avere reale consapevolezza della derivazione di quei pregiudizi da un illecito imputabile all’apparato della P.A..

9. – Nel caso di specie occorre altresì soffermarsi sullo iato temporale tra cancellazione ed estinzione della società.

Invero, applicandosi il principio enunciato da Cass., Sez. Un., 22 febbraio 2010, n. 4060, l’effetto estintivo della società di persone si è avuto dal 1 gennaio 2004, ancorchè la cancellazione sia intervenuta in un momento precedente (nel marzo 1997).

Si è infatti chiarito (cfr., altresì, Cass., Sez. Un., 12 marzo 2013, n. 6072, cit.):

– che l’effetto estintivo è destinato ad operare in coincidenza con la cancellazione, se questa abbia avuto luogo in epoca successiva al 1 gennaio 2004, data di entrata in vigore della riforma del diritto societario attuata dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, o a partire da quella data se si tratti di cancellazione intervenuta in un momento precedente;

che per ragioni di ordine sistematico, desunte anche da disposto del novellato L. Fall., art. 10, la stessa regola è applicabile anche alla cancellazione volontaria delle società di persone dal registro, quantunque tali società non siano direttamente interessate dalla nuova disposizione dell’art. 2495 c.c. e sia rimasto per esse in vigore l’invariato disposto dell’art. 2312 c.c. (integrato, per le società in accomandita semplice, dal successivo art. 2324);

che la situazione delle società di persone si differenzia da quella delle società di capitali, a tal riguardo, solo in quanto l’iscrizione nel registro delle imprese dell’atto che le cancella ha valore di pubblicità meramente dichiarativa, superabile con prova contraria; tale prova contraria non potrebbe vertere sul solo dato statico della pendenza di rapporti non ancora definiti facenti capo alla società, perchè ciò condurrebbe in sostanza ad un risultato corrispondente alla situazione preesistente alla riforma societaria; per superare la presunzione di estinzione occorre, invece, la prova di un fatto dinamico: cioè che la società abbia continuato in realtà ad operare – e dunque ad esistere – pur dopo l’avvenuta cancellazione dal registro.

9.1. – Anche tenendo conto del diaframma temporale tra cancellazione ed estinzione della società e, quindi, della possibilità, per la s.n.c. Bocinsky, sino al 2004, di agire in giudizio per far valere il diritto al risarcimento del danno, la conclusione non muta: il diritto al risarcimento del danno non può dirsi rinunciato volontariamente solo perchè, quando ormai vi era stato il rinvio a giudizio del funzionario ministeriale (nel 2000), la società – cancellata ma non ancora estinta – non si è attivata per proporre in giudizio, come soggetto a sè stante, la domanda risarcitoria.

Infatti, anche dopo avere appreso del rinvio a giudizio, i soci della società cancellata ben possono aver voluto attendere l’esito del processo penale, prima di agire per il risarcimento del danno, senza che in ciò possa ravvisarsi una volontà degli stessi, quali legali rappresentanti dell’ente collettivo, di rinunciare ad ogni diritto.

Va inoltre considerato che l’estinzione è effetto legale che si ricollega ad un fatto – la cancellazione – verificatosi in precedenza, sicchè la presenza o meno della volontà abdicativa va apprezzata con riferimento alle condizioni e alle circostanze esistenti, non alla data (2004) della produzione dell’effetto, ma al momento (1997) della cancellazione stessa.

10. – Una volontà abdicativa del diritto al risarcimento del danno neppure può essere nella specie desunta dalla mancata iscrizione del relativo credito nel bilancio finale di liquidazione.

Poichè, infatti, la cancellazione della società Bocinsky ha avuto luogo senza passare attraverso la fase della liquidazione, non appare possibile, in assenza di bilancio di liquidazione, far leva sul dato della mancata iscrizione del credito risarcitorio nel detto bilancio finale per distinguere tra i diritti trasferiti ai soci e quelli destinati all’estinzione (cfr. Cass., Sez. I, 25 ottobre 2016, n. 21517).

11. – La sentenza impugnata è cassata.

La causa deve essere rinviata al Tribunale superiore delle acque pubbliche, che la deciderà in diversa composizione.

Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, al Tribunale superiore delle acque pubbliche, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2020

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