Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29108 del 13/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 13/11/2018, (ud. 20/06/2018, dep. 13/11/2018), n.29108

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI Maria Giulia – rel. Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 22807 del ruolo generale dell’anno

2011, proposto da:

GEF Automobili s.r.l., già Monticar s.r.l., in persona del legale

rappresentante pro tempore S.F., nonchè

S.F. in proprio, rappresentati e difesi, giusta procura speciale in

calce al ricorso, dall’avv.to Giorgio Pistoni e dall’avv.to Filippo

Giuseppe Capuzzi, elettivamente domiciliati presso lo studio del

secondo difensore, in Roma, alla Via Romeo Romei n. 23;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, n.

40/63/2011, depositata in data 22 febbraio 2011, non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20 giugno 2018 dal Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati

Viscido di Nocera.

Fatto

RILEVATO

Che:

-con sentenza n. 40/63/2011, depositata in data 22 febbraio 2011, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, previa riunione, dichiarava inammissibili gli appelli proposti da GEF Automobili s.r.l., già Monticar s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore S.F. nonchè da S.F. in proprio nei confronti dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, avverso la sentenza n. 36/07/2009 della Commissione tributaria provinciale di Brescia che aveva rigettato il ricorso proposto dalla società contribuente avverso l’avviso di accertamento con il quale l’Ufficio di Montichiari aveva contestato a quest’ultima, per l’anno 2005, un maggiore reddito d’impresa, ai fini Irpeg, Irap e Iva, recuperando a tassazione costi ritenuti indeducibili e ricavi non dichiarati;

– la CTR, in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che: 1) ai sensi degli art. 358 c.p.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 60, l’appello della GEF Automobili s.r.l. – che era la riproposizione di un identico previo appello notificato dalla medesima società il 29.07.2009, dichiarato inammissibile con sentenza n. 121/2010 del 12.1.2010 – benchè proposto prima della declaratoria di inammissibilità della precedente impugnazione, era tardivo e, dunque, inammissibile in quanto, in mancanza di notificazione della sentenza di primo grado, era stato notificato in data 11.1.2010, oltre il termine breve decorrente dalla data di proposizione della prima impugnazione, equivalendo essa alla conoscenza legale della sentenza da parte dell’impugnante; 2) l’appello proposto da S.F. in proprio era inammissibile in quanto l’appellante non era stato parte nel giudizio di primo grado e, comunque, non aveva interesse ad impugnare, considerando che alcuna conseguenza negativa poteva derivargli dalla sentenza della CTP, non avente efficacia di giudicato in sede civile e penale;

– avverso la sentenza della CTR, GEF Automobili s.r.l., già Monticar s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore S.F. nonchè da S.F. in proprio, propongono ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui resiste, con controricorso, l’Agenzia delle entrate;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375, comma 2, e dell’art. 380-bis.1 c.pc., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

– con il primo motivo, i ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360 c.p.c, comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 51 e 60, in combinato disposto con gli artt. 358,326 e 327 c.p.c., per avere la CTR erroneamente ritenuto l’appello proposto dalla società GEF Automobili s.r.l., già Monticar s.r.l., quale riproposizione di un precedente appello non ancora dichiarato inammissibile al momento della proposizione del secondo – tardivo e dunque inammissibile, in quanto, in mancanza della notificazione della sentenza impugnata, era stato notificato in data 11.01.2010, oltre il termine breve decorrente dalla data del 29.07.2009 di notifica della prima impugnazione, equivalendo essa alla conoscenza legale della sentenza da parte dell’impugnante, senza considerare che alla data della notifica della seconda impugnazione, non era ancora decorso il termine annuale per proporre gravame decorrente dalla pubblicazione della sentenza;

– il motivo è infondato;

– questa Corte, con orientamento consolidato, ha più volte ribadito che “il principio di consumazione dell’impugnazione non esclude che, fino a quando non intervenga una declaratoria di inammissibilità, possa essere proposto un secondo atto di appello, immune dai vizi del precedente e destinato a sostituirlo, sempre che la seconda impugnazione risulti tempestiva, dovendo la tempestività valutarsi, anche in caso di mancata notificazione della sentenza, non in relazione al termine annuale, bensì in relazione al termine breve decorrente dalla data di proposizione della prima impugnazione, equivalendo essa alla conoscenza legale della sentenza da parte dell’impugnante” (Cass. nn. 21717 del 2012; n. 9265 del 2010; 835 del 2006; 20912 del 2005; Cass. n. 9569 del 2000). La proposizione della prima impugnazione equivale infatti alla conoscenza legale, con lo stesso grado di certezza formale, della sentenza da parte dell’impugnante (Cass. 12238; 5548, 1162 e 5548/1998; 5573 e 1441/1997; 11176/1993). Tali principi sono stati ritenuti applicabili anche al contenzioso tributario (Sez. 6-5, Ordinanza n. 10145 del 2015; n. 11762 del 2012; Cass. 11994 del 2006), posto che la lettera del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 60, riproduce quella dell’omologo art. 358 c.p.c. (“l’appello dichiarato inammissibile…”), così come la norma di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 50 (“il termine è di sessanta giorni decorrente dalla sua notificazione..”) ha contenuto analogo a quella dell’art. 326 c.p.c. (“i termini…decorrono dalla notificazione della sentenza”). Nè si riscontrano specificità del contenzioso tributario tali da indurre, sul punto, ad una diversa soluzione. Non si ritiene, in proposito che alcun rilievo possa conferirsi alla circostanza che nel giudizio tributario la difesa tecnica possa essere svolta anche da “altre categorie professionali”; e ciò in quanto l’applicabilità delle norme di rito, secondo l’interpretazione fornita da questa Corte, conforme peraltro ai principi del giusto processo, non può ritenersi subordinata alla conoscenza che della stessa abbia il professionista abilitato liberamente scelto dal contribuente;

– con ordinanza interlocutoria n. 9782/15 questa Corte ha osservato che “pressochè tutta la dottrina” critica il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale “la notificazione dell’impugnazione inammissibile o improcedibile è equipollente alla notificazione della sentenza e la conseguenza, cui esso conduce, di fare decorrere il termine breve per l’impugnazione anche se la sentenza non sia stata notificata.”; nel rimettere la causa al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite Civili, a sostegno di una possibile riconsiderazione dell’orientamento giurisprudenziale tradizionale, il Collegio rimettente adduceva le seguenti argomentazioni: a) ai fini del decorso dei termini di impugnazione, la notificazione della sentenza non avrebbe equipollenti; b) la conoscenza effettiva della sentenza che la parte ottenga in un modo che non sia quello della notificazione o della pubblicazione dovrebbe rimanere irrilevante; c) la recente riduzione da un anno a sei mesi del c.d. termine lungo (di decadenza) per proporre le impugnazioni avrebbe fatto venir meno il “temuto pregiudizio per la celerità dei procedimento”, derivante dal negare la decorrenza del termine per impugnare coincidente con la notifica della prima impugnazione;

– le Sezioni unite della Corte di cassazione, con sentenza del 9 giugno 2016, n. 12084 ha confermato l’orientamento tradizionale evidenziando come 1) “sia l’impulso acceleratorio impresso al processo con la proposizione del gravame, il fattore che giustifica la decorrenza del termine breve per impugnare in capo a chi propone l’impugnazione”; 2) il principio di parità delle armi, da intendere nell’accezione costituzionalizzata dall’art. 111 Cost., contribuisce a rafforzare la tesi tradizionale, avuto riguardo, nel fare riferimento è all’art. 333 c.p.c., alle sperequazioni che si creerebbero in danno degli appellati, costretti a reagire sollecitamente alla prima impugnazione e poi esposti ai ripensamenti e alle riproposizioni dei gravami nel termine lungo; 3) la tesi tradizionale, essendo portatrice di un’opportuna tensione verso la ragionevole durata del processo, assicura il rispetto dei principi del giusto processo, anche sotto tale ulteriore accezione; 4) a sostegno della tesi tradizionale militano anche ragioni di certezza del diritto, avendo queste Sezioni Unite (Cass. civ., sez. un., 18 maggio 2011, n. 10864) elaborato una sorta di principio di precauzione, affermando che “dinanzi a due possibili interpretazioni alternative della norma processuale, ciascuna compatibile con la lettera della legge, le ragioni di economico funzionamento del sistema giudiziario devono indurre l’interprete a preferire quella consolidatasi nel tempo, a meno che il mutamento dell’ambiente processuale o l’emersione di valori prima trascurati non ne giustifichino l’abbandono e consentano, pertanto, l’adozione dell’esegesi da ultimo formatasi.”;

– nella specie, il giudice a quo, facendo buon governo dei principi di cui sopra, ha correttamente dichiarato inammissibile l’appello notificato dalla società contribuente in data 11.01.2010, oltre il termine breve decorrente, in mancanza di notificazione della sentenza impugnata, dalla notifica del primo appello in data 29.07.2009;

– con secondo motivo, con riguardo alla pronuncia della CTR di inammissibilità dell’appello proposto da S.F. in proprio, è denunciata la erronea negazione in capo a quest’ultimo della legittimazione ad impugnare la sentenza di primo grado, in quanto, ancorchè lo stesso non sia stato parte del giudizio di prime cure e la sentenza della CTP non abbia efficacia di giudicato nel processo penale e in quello civile, “l’illegittimo provvedimento che avvalorasse l’accertamento fiscale impugnato costituirebbe il necessario presupposto dell’accertamento della responsabilità in sede penale… soprattutto in relazione alla contestazione dell’ipotesi prevista dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2 (…)”;

– il motivo, per la sua generica formulazione, si espone ad un profilo di inammissibilità, avendo questa Corte più volte ribadito il principio secondo cui “il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. Ne consegue che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c.” (ex plurimis, Cass. n. 19959 del 2014; Cass. n. 22766 del 2016;8585 del 2012; n. 10667 del 2008);

– in ogni caso, nel merito, la censura è infondata;

– la giurisprudenza di legittimità (Sez. 1, 14 maggio 1975, n. 1863; Sez. 2, 30 ottobre 1986, n. 6376; Sez. lav., 6 luglio 1998, n. 6562; Sez. Un., 28 novembre 2001, n. 15145; Sez. 1, 16 giugno 2006, n. 13954; Sez. 1, Sentenza n. 27239 del 2008) ha più volte ribadito che la condizione prima della legittimazione all’impugnazione è costituita dalla qualità di parte del giudizio conclusosi con la decisione impugnata. E parti sono coloro tra i quali risulta emesso il provvedimento giurisdizionale: poichè infatti tra quei soggetti la sentenza (o il decreto) fa stato, un soggetto diverso, ancorchè sia l’effettivo titolare del rapporto sostanziale (erroneamente dibattuto tra le parti predette), non ha legittimazione nè interesse all’impugnazione, perchè la sentenza (o il decreto) è, nei suoi confronti, res inter alios acta, costui, essendo solo terzo rispetto alla pronuncia, può fare valere il suo diritto con l’intervento nel giudizio di gravame, ai sensi dell’art. 344 c.p.c., con l’opposizione di cui all’art. 404 c.p.c., o con l’esercizio dell’actio nullitatis (Cass., Sez. 2, 23 luglio 1994, n. 6886);

– nella specie, il giudice di appello, facendo applicazione dei suddetti principi, ha correttamente dichiarato inammissibile l’appello proposto da S.F. in proprio, in quanto non rivestente la qualità di parte nel giudizio conclusosi con la sentenza impugnata;

– con il terzo motivo, i ricorrenti, denunciando l’omessa pronuncia della CTR “con riferimento al merito della impugnazione dichiarata inammissibile”, ribadiscono i motivi di appello di nullità e/o inesistenza della sentenza di primo grado impugnata per mancanza di motivazione nonchè degli altri motivi indicati nel ricorso di primo grado e riportati nell’atto di appello;

– la censura si profila inammissibile, difettando, in base ai principi sopra richiamati con riguardo al secondo motivo, i caratteri della tassatività e della specificità e, quindi, una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato possa rientrare nelle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c.;

– in conclusione, il ricorso va rigettato; le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo;

P.Q.M.

la Corte:

rigetta il ricorso; condanna la GEF Automobili s.r.l., già Monticar s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore S.F., nonchè S.F. in proprio, al pagamento in favore dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 5.600,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 20 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2018

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