Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29101 del 18/12/2020

Cassazione civile sez. II, 18/12/2020, (ud. 15/10/2019, dep. 18/12/2020), n.29101

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21173/2016 proposto da:

M.R.N., rappresentata e difesa dall’Avvocato MANUELA

MINCIULLO, ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv.

Carmela Giuffrida, in ROMA, V.le BRUNO BUOZZI 53;

– ricorrente –

contro

D.G.G., D.R., e D.M.A.,

tutti n.q. di eredi di D.E., rappresentati e difesi

dall’Avvocato MICHELE M. MINISSALE, ed elettivamente domiciliati

presso lo studio dell’Avv. Barbara Cufari, in ROMA, C.so VITTORIO

EMANUELE II 308;

– controricorrenti –

e contro

G.A., e D.A., (questi n.q. di erede di

B.N.);

– intimati –

avverso la sentenza n. 24/2016 della CORTE d’APPELLO di MESSINA

pubblicata il 19.01.2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/10/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione, notificato in data 10.5.1977, D.E. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Patti D.M., G.A. e M.R.N. esponendo che, con scrittura privata del 20.9.1962, B.A., quale procuratore generale del padre, D.M., gli aveva promesso in vendita terreni e fabbricati siti in (OMISSIS), di cui solo alcuni gli erano stati trasferiti con rogito del 12.3.1963, mentre il fabbricato, sito in (OMISSIS) non gli era stato trasferito e in data 15.2.1977 D.M. l’aveva venduto alle nuore G.A. e M.R.N.. L’attore chiedeva: a) in via principale, che il Tribunale dichiarasse la simulazione del contratto di compravendita stipulato in data 15.2.1977, trattandosi di contratto non realmente voluto dalle parti e posto in essere da D.M. al solo scopo di sottrarsi agli obblighi derivanti dalla scrittura privata del 20.9.1962; b) in via subordinata, che detto contratto fosse dichiarato nullo ai sensi dell’art. 1345 c.c., in quanto concluso per motivi illeciti o dichiarato inefficace nei suoi confronti, ai sensi dell’art. 2901 c.c., perchè stipulato in pregiudizio delle sue ragioni; c) in ogni caso che, ai sensi dell’art. 2932 c.c., fosse pronunciata sentenza che disponesse il trasferimento, in suo favore, della proprietà dei beni di cui alla citata scrittura privata, per i quali non era ancora intervenuto il contratto definitivo di compravendita; d) in ogni caso, che fosse ordinato a D.M. di immettere l’attore nel possesso della porzione di fondo sita in contrada (OMISSIS), che era stata venduta con l’atto notarile del 12.3.1963; e) in ogni caso, che fosse disposta la restituzione di alcuni beni mobili, di cui assumeva di essere stato illegittimamente spossessato da parte di D.M..

Si costituiva in giudizio D.M., il quale deduceva che sia la scrittura privata che il successivo atto pubblico erano il frutto di un accordo fraudolento posto in essere dall’attore e da B.A. al fine di spogliarlo di tutti i suoi beni; eccepiva che le pretese vantate dall’attore nei suoi confronti erano prescritte. Chiedeva che le domande dell’attore fossero rigettate e, in via riconvenzionale, che fosse dichiarata nulla la vendita stipulata in data 12.3.1962 in quanto frutto dell’accordo fraudolento attuato dal B. e dall’attore ai suoi danni.

Si costituiva in giudizio B.N., quale erede universale del marito D.M., nelle more deceduto.

Con la sentenza parziale n. 293/2003 il Tribunale di Patti, dichiarata la contumacia di G.A. e M.R.N., dichiarava la piena validità ed efficacia della scrittura privata del 20.9.1962 e dell’atto pubblico di compravendita del 12.3.1963; accoglieva la domanda ex art. 2932 c.c., pronunciando il trasferimento in proprietà della casa sita in (OMISSIS) in favore dell’attore; condannava B.N., quale erede del convenuto D.M., al rilascio in favore di D.E. della porzione di fondo sita in contrada (OMISSIS); condannava la B., quale erede di D.M., alla restituzione, in favore dell’attore, a far data dal 10.5.1977, dei frutti percepiti e percipiendi dalla suddetta porzione di fondo, nella misura da quantificarsi a mezzo di successiva CTU; dichiarava prescritte le domande spiegate dall’attore per la restituzione dei beni mobili; disponeva la rimessione della causa in istruttoria per l’espletamento di CTU volta a quantificare i frutti della suddetta porzione di fondo.

Avverso detta sentenza proponeva appello la B., lamentando l’erroneità della statuizione nella parte in cui aveva rigettato l’eccezione di prescrizione, sollevata in opposizione alla domanda ex art. 2932 c.c.; contestando la pronuncia per ultrapetizione, in quanto il Tribunale aveva dichiarato nullo il contratto di vendita per simulazione relativa, mentre l’attore aveva proposto domanda di nullità per simulazione assoluta; censurando le pronunce con cui era stata condannata al rilascio del fondo e alla restituzione dei frutti.

Si costituivano in giudizio D.G.G., D.M.A. e D.R., tutti eredi di D.E., resistendo all’appello.

Si costituiva altresì M.R.N., la quale aderiva al gravame proposto dalla B., proponendo anche appello incidentale.

Con sentenza n. 521/2007 del 5.11.2007, la Corte di Appello di Messina dichiarava inammissibili sia l’appello principale sia l’appello incidentale, compensando le spese di lite.

Proponeva ricorso per cassazione la M. lamentando l’erroneità della statuizione della Corte di merito che aveva ritenuto tardiva l’impugnazione incidentale, e inammissibile poichè inficiata dalla inammissibilità dell’impugnazione principale.

Si costituiva D.A., quale erede della B., aderendo al ricorso per cassazione proposto dalla M..

Con sentenza n. 16140/2011 del 10.6.2011, la Suprema Corte accoglieva il ricorso cassando la sentenza e rinviando davanti alla Corte di Appello di Messina, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.

Con sentenza n. 24/2016, depositata in data 19.1.2016, la Corte di Appello di Messina rigettava l’appello proposto dalla M. e compensava le spese di lite del giudizio di legittimità e, in ragione di metà, le spese processuali del giudizio di rinvio, ponendo la metà non compensata a carico dell’appellante. In particolare, con riferimento al rigetto dell’eccezione di prescrizione, la Corte di merito rilevava che la dichiarazione resa dalla teste E.P. fosse per molte parti diretta, avendo ad oggetti fatti al cui accadimento la teste aveva assistito di persona. Inoltre, quella deposizione non era l’unico elemento sul quale era stata fondata la decisione di rigetto dell’eccezione di prescrizione della domanda ex art. 2932 c.c., essendo stato provato che D.E. era rimasto nel possesso ininterrotto e pacifico della casa di (OMISSIS) promessagli in vendita dal padre e poi da questi venduta alle nuore, per cui bene era stato individuato un idoneo fatto interruttivo della prescrizione e cioè il ricorso possessorio intrapreso dalla G. e dalla M., una volta stipulata la contestata vendita. Anche il secondo motivo veniva rigettato in quanto la dichiarazione di nullità per simulazione relativa copriva ogni aspetto della formulazione usata dall’attore.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione M.R.N. sulla base di quattro motivi, illustrati da memoria. Resistono D.G., R. e M.A. con controricorso e memoria. Gli intimati G.A. e D.A. non si sono costituiti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, la ricorrente lamenta la “Violazione e falsa applicazione del disposto dell’art. 116 c.p.c., in tema di valutazione delle prove per erroneo apprezzamento delle risultanze della deposizione resa dalla teste E.P. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Violazione e falsa applicazione del disposto dell’art. 2944 c.c., in tema di interruzione della prescrizione per effetto di riconoscimento del diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, là dove erroneamente la Corte di merito ha ritenuto dimostrato, grazie alla deposizione della teste E.P. (considerala come deposizione testimoniale diretta e non de relato), il riconoscimento da parte di D.M. del diritto di D.E. all’adempimento degli obblighi nascenti dalla scrittura privata del 20.9.1962; ed ha affermato la sussistenza del riconoscimento del diritto di D.E. in assenza di una dichiarazione di volontà o di un comportamento concludente proveniente dal soggetto passivo del diritto.

1.1. – Il motivo non è fondato.

1.2. – La Corte distrettuale ha ritenuto che “una lettura attenta, libera e completa della dichiarazione testimoniale (de qua) consente di concludere che non si tratti di una deposizione de relato generica, imprecisa e non collocata in un tempo esatto e che avrebbe ad oggetto semplici impressioni peraltro riconducibili ad un soggetto diverso dal dichiarante, bensì che essa sia per molte parti diretta, collocabile facilmente nel tempo e nello spazio, avente ad oggetto fatti al cui accadimento la teste ha assistito senza sotterfugi o artifici, e non già mere impressioni ricavate dal marito” (sentenza impugnata, pagg. 9 e 10).

1.3. – Trattasi all’evidenza di una valutazione di fatto che (in quanto congruamente motivata e coerente al contesto dell’ampio quadro probatorio acquisito) è censurabile in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (peraltro, entro i limiti del paradigma previsto dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Infatti, l’apprezzamento del giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una argomentazione, tratta dalla analisi di fonti di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex plurimis, Cass. n. 9275 del 2018; Cass. n. 5939 del 2018; Cass. n. 16056 del 2016; Cass. n. 15927 del 2016). Sono infatti riservate al Giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta tra le risultanze probatorie di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonchè la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento, per cui è insindacabile, in sede di legittimità, il “peso probatorio” di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale il Giudice di secondo grado sia pervenuto a un giudizio logicamente motivato, diverso da quello formulato dal primo Giudice (Cass. n. 1359 del 2014; Cass. n. 16716 del 2013).

1.4. – Quanto al profilo della dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 2944 c.c., anch’esso dedotto nel motivo, ne va rilevata la infondatezza in quanto questa Corte ha affermato che “a norma dell’art. 2944 c.c., la prescrizione è interrotta dal riconoscimento del diritto, da parte di colui contro il quale il diritto stesso può essere fatto valere. Occorre pertanto che il riconoscimento provenga dal soggetto che abbia poteri dispositivi del diritto e non già da un terzo, che non sia stato autorizzato dal primo a rendere tale riconoscimento: riconoscimento che deve essere univoco ed incompatibile con la volontà di negare il diritto stesso” (Cass. n. 13184 del 2015).

Sicchè “il riconoscimento dell’altrui diritto non ha natura negoziale, ma costituisce un atto giuridico in senso stretto di carattere non recettizio, che non richiede in chi lo compie una specifica intenzione ricognitiva, occorrendo solo che esso rechi, anche implicitamente, la manifestazione della consapevolezza dell’esistenza del debito e riveli il carattere della volontarietà” (Cass. n. 9097 del 2018). Laddove, “il riconoscimento del diritto “può quindi anche essere tacito e rinvenibile in un comportamento obiettivamente incompatibile con la volontà di disconoscere la pretesa del creditore” (Cass. n. 7820 del 2017.

Giova aggiungere che anche la valutazione dell’idoneità di un atto ad interrompere la prescrizione costituisce apprezzamento di fatto rimesso al giudice di merito e, come tale, è insindacabile in sede di legittimità se immune da vizi logici ed errori giuridici (Cass. n. 13184 del 2015, conf. Cass. n. 7820 del 2017; Cass. n. 23821 del 2010, Cass. n. 24555 del 2010).

1.5. – E’ allora facile rilevare che le censure formulate nel primo motivo in esame si sostanziano, altresì, nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto emerse nel corso del procedimento, cosi mostrando la ricorrente di anelare ad una impropria trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dalla Corte di merito non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata; quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità (Cass. n. 5939 del 2018).

Compito della Cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudice del merito (cfr. Cass. n. 3267 del 2008), dovendo invece il giudice di legittimità limitarsi a controllare se costui abbia dato conto delle ragioni della sua decisione e se il ragionamento probatorio, da esso reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile (cfr. Cass. n. 9275 del 2018).

2. – Con il secondo motivo, la ricorrente censura un “Error in procedendo per violazione del disposto dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’affermata nullità per simulazione relativa dell’atto di vendita del 15.2.1977”, poichè la pronuncia di simulazione relativa emessa in primo grado e confermata in appello non trova corrispondenza con la domanda spiegata da D.E.. La ricorrente richiama la giurisprudenza di legittimità, secondo la quale il riconoscimento della simulazione relativa comporta l’accertamento con efficacia di giudicato di fatti nuovi e differenti dalla mera nullità di un contratto voluto dalle parti solo in apparenza e la diversità delle due azioni esclude che il Giudice possa esercitare il suo potere di qualificare la domanda senza incorrere nella violazione dell’art. 112 c.p.c..

2.1. – Il motivo non è fondato.

2.2. – Questa Corte (Cass. n. 8645 del 2018) ha rilevato che il principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato riguarda il petitum, che va determinato con riferimento a quello che viene domandato sia in via principale che in via subordinata, in relazione al bene della vita che l’attore intende conseguire, ed alle eccezioni che in proposito siano state sollevate dal convenuto (Cass. n. 6757 del 2011, conf. Cass. n. 19424 del 2013); nondimeno il limite che ne discende per il giudice, che non può perciò andare ultra petita et alligata partium, non è disgiungibile dal dovere che compete ad esso di decidere la domanda, in applicazione del principio iura novit curia (Cass. n. 25410 del 2010), di talchè, fermo il vincolo della domanda come delle eccezioni, che gli preclude di mutare i fatti costitutivi della pretesa così come i fatti estintivi di essa, il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato “non osta a che il giudice (come nella specie) renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti” (Cass. n. 2209 del 2016); nè osta alla facoltà che il giudice pur sempre compete di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in lite, nonchè all’azione esercitata in causa, ricercando le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame, e ponendo a fondamento della sua decisione principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti (Cass. n. 12943 del 2012).

Laddove, peraltro, la corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, che vincola il giudice ex art. 112 c.p.c., riguarda il petitum che va determinato con riferimento a quello che viene domandato nel contraddittorio sia in via principale che in via subordinata, in relazione al bene della vita che l’attore intende conseguire, ed alle eccezioni che, in proposito, siano state sollevate dal convenuto; ma non concerne le ipotesi in cui il giudice, espressamente o implicitamente, dia al rapporto controverso o ai fatti che siano stati allegati quali causa petendi dell’esperita azione, una qualificazione giuridica diversa da quella prospettata dalle parti (Cass. n. 11289 del 2018).

2.2. – Alla luce di tali principi, la Corte di merito ha correttamente affermato che, se è vero che la giurisprudenza ha ravvisato una ipotesi di violazione del disposto dell’art. 112 c.p.c., nella decisione che abbia accolto la domanda di simulazione relativa originariamente proposta quale simulazione assoluta per diversià di petium e causa petendi, non può non rilevarsi che, nella fattispecie, quella domanda era stata variegata e variamente articolata poichè si era chiesta la nullità e/o inefficacia di quella vendita ed anche la sua revoca ex art. 2901 c.c., sì che la dichiarazione di nullità per simulazione relativa e non assoluta, quale donazione tra padre e figlio priva dei necessari requisiti di forma, veniva a coprire ogni aspetto della formulazione senza avere introdotto fatti nuovi diversi da quelli posti a base della domanda poi accolta con tale argomentazione dal giudice (sentenza impugnata, pagg. 10 e 11).

3. – Con il terzo motivo, la ricorrente deduce la “Violazione e falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 2932 c.c. e art. 2652 c.c., n. 2, in relazione all’accoglimento della domanda ex art. 2932 c.c., spiegata da D.E. con riferimento alla casa sita in (OMISSIS) (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, poichè la Corte di Appello avrebbe violato sia l’art. 2932 c.c., avendo ritenuto, erroneamente, che fosse possibile l’esecuzione specifica del contratto; sia l’art. 2652 c.c., n. 2, ritenendo erroneamente che potesse rimanere pregiudicato dalla formulazione della domanda avente ad oggetto l’esecuzione specifica del contratto il diritto di proprietà, acquistato da G.A. e M.R.N. sulla casa di (OMISSIS) in forza dell’atto notarile del 15.2.1977, trascritto anteriormente alla trascrizione della domanda giudiziale.

3.1. – Il motivo è inammissibile.

3.2. – Con l’atto di appello la ricorrente aveva proposto i due motivi di appello oggetto del presente giudizio (v. sentenza impugnata, pag. 8), mentre non risulta avesse impugnato il punto della sentenza di primo grado relativo al trasferimento del bene in capo all’attore ai sensi dell’art. 2932 c.c., che solo oggi risulta dedotto come terzo motivo di ricorso in cassazione.

Costituisce principio consolidato quello secondo cui i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel giudizio d’appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass. n. 907 del 2018).

4. – Con il quarto motivo, la ricorrente lamenta la “Violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, poichè la Corte territoriale avrebbe violato l’art. 91 c.p.c., avendo addossato la metà delle spese di lite del giudizio di rinvio alla ricorrente che, dovendo risultare vittoriosa rispetto all’impugnazione proposta avverso la sentenza del Tribunale, avrebbe dovuto veder riconosciuto il suo diritto a conseguire la rifusione di tutte le spese di lite.

4.1. – Il motivo non è fondato.

4.2. – In materia di spese processuali, l’identificazione della parte soccombente è rimessa al potere decisionale del giudice del merito, insindacabile in sede di legittimità, con l’unico limite di violazione del principio per cui le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa (Cass. n. 13229 del 2011).

Peraltro, nessuna norma prevede, per il caso di soccombenza reciproca delle parti, un criterio di valutazione della prevalenza della soccombenza dell’una o dell’altra basato sul numero delle domande accolte o respinte per ciascuna di esse, dovendo essere valutato l’oggetto della lite nel suo complesso (Cass. n. 1703 del 2013). Nè il criterio della soccombenza si fraziona a seconda dell’esito delle varie fasi del giudizio, ma va riferito unitariamente all’esito finale della lite, senza che rilevi che in qualche grado o fase del giudizio la parte poi definitivamente soccombente abbia conseguito un esito ad essa favorevole (Cass. n. 6369 del 2013; Cass. n. 18503 del 2014).

5. – Il ricorso va dunque rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa la dichiarazione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento in favore dei controricorrenti delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 2.500,00 di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma 1-bis dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, della Corte Suprema di Cassazione, il 15 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2020

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