Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29100 del 13/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 13/11/2018, (ud. 20/06/2018, dep. 13/11/2018), n.29100

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 26049/2011 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

R.O., nella qualità di erede di P.S.,

deceduto il 10/10/2010, elettivamente domiciliato in Roma, via

Tacito n. 74, presso lo studio dell’avv. Maria Teresa Persico,

rappresentato e difeso dall’avv. Enzo Di Carlo, giusta procura

speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Sicilia – Sezione staccata di Catania n. 330/34/10, depositata il 23

luglio 2010;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20 giugno

2018 dal Consigliere Giacomo Maria Nonno.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. con sentenza n. 330/34/10 del 23/07/2010, la CTR della Sicilia Sezione staccata di Catania accoglieva parzialmente l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della CTP di Catania n. 515/02/06, che aveva a sua volta accolto parzialmente l’impugnazione di P.S. nei confronti di un avviso di accertamento con il quale, con riferimento all’annualità d’imposta 1998, l’Amministrazione finanziaria procedeva alla ripresa a tassazione di ricavi per omessa fatturazione di prestazioni corrispettive, indebita detrazione di IVA e omessa applicazione di ritenute alla fonte in relazione a compensi ricevuti, con le conseguenti statuizioni a fini IRPEF, IRAP e IVA;

1.1. come si evince dalla sentenza della CTR e dagli atti delle parti: a) il contribuente svolgeva l’attività di commercio all’ingrosso di carburanti e lubrificanti, regolando i propri rapporti con i gestori attraverso contratti dei quali l’Ufficio contestava la qualificazione giuridica in termini di comodato; b) la CTP accoglieva parzialmente il ricorso del contribuente, limitando gli effetti dell’accertamento al solo recupero all’imposizione delle ritenute alla fonte non versate (ripresa avverso la quale il contribuente prestava acquiescenza) e non riconoscendo le ulteriori riprese; c) avverso la sentenza della CTP l’Agenzia delle entrate proponevano appello;

1.2. la CTR motivava il parziale accoglimento dell’appello evidenziando che, per quanto ancora interessa in questa sede: a) con riferimento alla ripresa di omessa fatturazione di contratti a prestazioni corrispettive, i contratti stipulati tra il P. ed i gestori dovevano essere considerati contratti di comodato – secondo la previsione di legge – ed il comodato è, per sua natura, sempre gratuito; b) con riferimento al recupero di IVA portata indebitamente in detrazione, “le rilevate “anomalie” in vero non appaiono tali, mentre le dichiarazione di terzi, ancorchè dagli stessi sottoscritte, equivalgono ad una prova testimoniale, inammissibile nel giudizio tributario, ma che comunque non è utilizzabile per violazione del principio del contraddittorio”;

2. avverso la sentenza della CTR l’Agenzia delle entrate proponeva ricorso per cassazione, affidato a tre motivi;

3. R.O., nella qualità di unico erede di P.S., resisteva con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. vanno esaminate in primo luogo le eccezioni pregiudiziali formulate dal controricorrente, che si duole: a) dell’inesistenza della notificazione del ricorso, che avrebbe dovuto essere notificato all’erede del P., avendo il R. comunicato all’Agenzia delle entrate il decesso dell’originario contribuente e la sua qualità di unico erede; b) della tardività della notifica del ricorso; c) della inammissibilità del ricorso in quanto notificato a procuratore non legittimato in ragione del venir meno della procura;

1.1. con riferimento alle eccezioni sub a) e c), posto che non può parlarsi di inesistenza della notificazione del ricorso – soprattutto alla luce di Cass. S.U. n. 14916 del 20/07/2016, che limita le ipotesi di inesistenza alla totale mancanza materiale dell’atto e a quelle in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione – basterà evidenziare, indipendentemente dalla fondatezza nel merito dei rilievi, che colui che afferma essere il legittimo controricorrente si è regolarmente costituito in giudizio con controricorso, così sanando ogni eventuale vizio di nullità della notificazione, che ha raggiunto lo scopo ai sensi dell’art. 156, comma 2, c.p.c. (cfr. Cass. n. 7703 del 28/03/2018; Cass. n. 5663 del 09/03/2018; Cass. n. 24450 del 17/10/2017; Cass. n. 4667 del 23/02/2017; Cass. S.U. n. 14916 del 20/07/2016; Cass. n. 15236 del 03/07/2014);

1.2. con riferimento al rilievo sub b), secondo l’orientamento di questa Corte, “in tema di impugnazioni, al termine annuale di decadenza dal gravame, di cui all’art. 327 c.p.c., comma 1, la sospensione dei termini processuali nel periodo feriale si applica non tenendo conto nel computo dei giorni compresi tra il primo agosto e il quindici settembre dell’anno di pubblicazione della sentenza impugnata, a meno che la data di deposito non cada proprio durante lo stesso periodo feriale, nel qual caso, in base al principio secondo cui “dies a quo non computatur in termine”, esso decorre dal 16 settembre; inoltre poichè il periodo feriale è da ritenersi, ai fini “de quibus”, “neutro”, e deve poter essere rispettato interamente, si verifica il doppio computo del periodo feriale nell’ipotesi in cui dopo una prima sospensione il termine iniziale non sia decorso interamente al sopraggiungere del nuovo periodo feriale” (Cass. n. 3787 del 15/02/2018; Cass. n. 24816 del 24/11/2005);

con specifico riferimento al caso di specie, è stato poi evidenziato che “il termine annuale di decadenza dall’impugnazione ex art. 327 c.p.c. (nella formulazione applicabile “ratione temporis”), il cui decorso sia iniziato prima della sospensione per il periodo feriale, deve prolungarsi di quarantasei giorni per effetto della sospensione medesima (non dovendosi tener conto del periodo compreso tra il 1 agosto e il 15 settembre) ed è suscettibile di un ulteriore analogo prolungamento quando l’ultimo giorno di detta proroga venga a cadere dopo l’inizio del nuovo periodo feriale dell’anno successivo” (Cass. n. 16549 del 28/09/2012; si veda anche Cass. n. 22699 del 04/10/2013);

1.3. nel caso di specie, il termine lungo per l’impugnazione della sentenza, decorrente dal 23/07/2010, andava a scadere, considerando il periodo feriale, il. 07/09/2011 e, quindi, applicando un ulteriore periodo feriale, la scadenza è da individuare al 23/10/2011, che, cadendo di domenica, comporta il differimento al successivo giorno 24/10/2011;

1.4. ne consegue la tempestività del ricorso, notificato appunto in data 24/10/2011;

2. sempre in via pregiudiziale, il controricorrente chiede la dichiarazione di interruzione del processo ex D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 40 e art. 299 c.p.c. in ragione dell’avvenuto decesso del controricorrente, in data 10/10/2010;

2.1. l’istanza non può essere accolta, atteso che “nel giudizio di cassazione, dominato dall’impulso d’ufficio, non trova applicazione l’istituto della interruzione del processo per uno degli eventi previsti dagli artt. 299 c.p.c. e ss., sicchè, una volta instaurato il contraddittorio con la notifica del ricorso, la morte dell’intimato non produce l’interruzione del processo neppure se intervenuta prima della notifica del ricorso presso il difensore costituito nel giudizio di merito, dalla cui relata non emerga il decesso del patrocinato” (Cass. n. 24635 del 03/12/2015; Cass. n. 1257 del 23/01/2006);

2.2. nel caso di specie l’erede del controricorrente, costituitosi in giudizio con controricorso, ha dedotto che il proprio dante causa è deceduto in data 10/10/2010, prima della notificazione del ricorso per cassazione; tuttavia dalla relata di notifica effettuata sia nei confronti del difensore costituito che personalmente alla parte deceduta non si evince l’intervenuto decesso;

3. con il primo motivo di ricorso, relativo alla omessa fatturazione con riferimento ai contratti stipulati con i gestori, l’Agenzia delle entrate deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1363,1456 e 1803 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziando la violazione dei canoni ermeneutici da parte della CTR, che ha erroneamente qualificato il contratto tra i gestori e il controricorrente come contratto di comodato, anzichè come contratto a prestazioni corrispettive, come più corretto in relazione alla presenza di una clausola risolutiva ex art. 1456 c.c., applicabile solo ai contratti sinallagmatici;

4. il motivo è inammissibile;

4.1. costituisce principio consolidato quello per il quale “la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale (nella specie, del contratto individuale di lavoro), non può limitarsi a richiamare genericamente le regole di cui agli artt. 1362 c.c. e ss., avendo l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati ed il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, e dovendo i rilievi contenuti nel ricorso essere accompagnati, in ossequio al principio di autosufficienza, dalla trascrizione delle clausole individuative dell’effettiva volontà delle parti, al fine di consentire alla Corte di verificare l’erronea applicazione della disciplina normativa” (Cass. n. 25728 del 15/11/2013; Cass. n. 15798 del 28/07/2005);

4.2. nel caso di specie, la ricorrente, pur richiamando gli artt. 1362 e 1363 c.c. ed assumendo la violazione del canone di interpretazione del contratto secondo la volontà delle parti, non ha trascritto, ai fini dell’autosufficienza, le clausole contrattuali interessate, nè ha allegato i contratti cui si fa riferimento, così impedendo a questa Corte ogni verifica in ordine all’erroneità della applicazione della disciplina legislativa;

5. con il secondo motivo di ricorso, relativo alla indebita detrazione dell’IVA, si deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d) e D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, nonchè dell’art. 2229 c.c. (rectius art. 2929 c.c.), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziandosi che il divieto di ammissione della prova testimoniale nel giudizio tributario non comporta l’inutilizzabilità, tout court, delle dichiarazioni provenienti da terzo, che possono essere valutate alla stregua di elementi indiziari;

6. con il terzo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate contesta omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, evidenziando che la CTR si è limitata ad affermare che le rilevanti anomalie evidenziate dall’Ufficio in ordine alla mancata detrazione dell’IVA, in realtà, non sussistono, senza dare conto dell’iter motivazionale che ha condotto a tale affermazione;

7. i due motivi possono essere esaminati congiuntamente, riguardando la medesima ripresa, e sono inammissibili per difetto di autosufficienza;

7.1. con riferimento al secondo motivo, la ricorrente si duole del mancato valore indiziario attribuito alle dichiarazioni provenienti da terzo, ma non riproduce, nè allega gli atti da cui tali dichiarazioni risultano, impedendo così a questa Corte di valutare l’effettiva pregnanza di tali dichiarazioni e la loro idoneità a supportare l’accertamento analitico-induttivo posto in essere dall’Amministrazione finanziaria;

7.2. con riferimento, invece, al terzo motivo l’Agenzia delle entrate omette di indicare, trascrivendo o allegando l’avviso di accertamento o il processo verbale di constatazione, quali siano le rilevanti anomalie che supportano l’accertamento dell’Ufficio, sicchè il motivo è inidoneo a validamente contrastare il giudizio di irrilevanza formulato dalla CTR, risolvendosi anch’esso in una petizione di principio;

8. in conclusione, il ricorso va rigettato e la ricorrente va condannata al pagamento, in favore della controricorrente delle spese del giudizio, che si liquidano come in dispositivo avuto conto di un valore della lite dichiarato di Euro 812.342,73.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida in Euro 10.000,00, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15% e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 20 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2018

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