Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 291 del 09/01/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 291 Anno 2014
Presidente: MIANI CANEVARI FABRIZIO
Relatore: PAGETTA ANTONELLA

SENTENZA

sul ricorso 608-2012 proposto da:
IREN S.P.A. – (già IRIDE S.P.A.) C.F. 07129470014, in
persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI RIPETTA 22,
presso lo studio dell’avvocato VESCI GERARDO, che la
rappresenta e difende unitamente agli avvocati BONINI
2013

ATTILIO e ZAMBON FABIOLA, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2880
contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE,
C.F. 80078750587, in persona del suo Presidente e

Data pubblicazione: 09/01/2014

t

legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale
mandatario

della

Cartolarizzazione

S.C.C.I.
dei

S.P.A.
Crediti

Società

di
C.F.

I.N.P.S.

05870001004, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA
..573.! C 67c—cM
Centrale
(DELLA
l’Avvocatura
FREZZA
17
.

avvocati

D’ALOISIO CARLA, SGROI ANTONINO, MARITATO LELIO, giusta
delega in atti;
– controricorrenti nonchè contro

EQUITALIA NOMOS S.P.A.;
– intimata –

avverso la sentenza n. 761/2011 della CORTE D’APPELLO
di TORINO, depositata il 27/06/2011 r.g.n. 36/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 15/10/2013 dal Consigliere Dott. ANTONELLA
PAGETTA;
udito l’Avvocato D’AMOLI CLAUDIO per delega VESCI
GERARDO;
udito l’Avvocato D’ALOISIO CARLO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI, che ha concluso per
il rigetto.

dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli

Fatto e diritto
La Iride s.p.a. ( già AEM. S.p.a. ) proponeva opposizione avverso la cartella esattoriale con la quale le
era intimato il pagamento della somma di € 250.044,21 a titolo di contributi per cigs , cigo ed indennità
di malattia dei lavoratori dipendenti per il periodo agosto/ottobre 2006, somme aggiuntive ed interessi
di mora . Il Tribunale accoglieva la opposizione . La Corte di appello di Torino pronunziando
sull’appello dell’INPS, riconosceva fondata la pretesa dell’ente previdenziale concernente i contributi

titolo della somma di € 204.883, 38 , oltre interessi successivi.
La Corte territoriale respingeva le preliminari eccezioni della società appellata, riproposte in seconde
cure, sulla base dei seguenti rilievi: la deduzione di irregolarità formali della cartella, configurandosi
come opposizione agli atti esecutivi comportava che il ricorso dovesse essere presentato nel termine di
venti giorni dalla notifica della cartella, ai sensi dell’art. 2 d.l. n.35 del 2005 conv. in L n. 80 del 2005,
termine che non era stato rispettato dall’opponente ; la eccezione di prescrizione era infondata in
quanto la notifica della cartella era stata effettuata nel rispetto del termine quinquennale di cui all’art. 3,
commi 9 e 10 L. n. 335 del 1995 .
Quanto al merito della pretesa contributiva dell’INPS la Corte territoriale confermava la decisione di
primo grado con riferimento ai contributi per indennità di malattia, sulla base dell’art. 20 d.l. n. 112 del
2008 , conv. in L. n. 133 del 2008 che, interpretando autenticamente l’art. 6 L n. 138 del 1943, ha
stabilito che tale norma si interpreta nel senso che i datori di lavoro che hanno corrisposto per legge o
per contratto collettivo, anche di diritto comune, il trattamento economico di malattia, con conseguente
esonero dell’INPS dall’erogazione della predetta indennità, non sono tenuti al versamento della relativa
contribuzione all’istituto medesimo, rilevando che, per come pacifico, la società si era accollato il
trattamento di malattia a favore dei dipendenti.
Con specifico riferimento alle questioni riproposte con il presente ricorso, attinenti alla pretesa
dell’INPS relativa ai contributi Cigs e Cigo, la Corte territoriale, premesso che l’art. 3, comma 1 d. lgs.
C.P.S. n. 869 del 1947 come modificato dall’art. 1 L. n. 464 del 1972 e poi sostituito dall’art. 4 della L.
n. 270 del 1988, aveva escluso dall’applicazione delle norme sulla cassa integrazione tutta una serie di
imprese e, fra queste, “le imprese industriali degli enti pubblici, anche se municipalizzate dallo Stato”
riteneva che la società Iride non rientrasse nel novero delle imprese sottratte all’obbligo contributivo
relativo alla cigs e alla cigo. Affermava, in dichiarata adesione ai principi espressi da questa Corte con la
sentenza n. 14847 del 2009,principi ritenuti applicabili anche alla fattispecie in esame nonostante la
modifica del quadro normativo di riferimento in tema di gestione dei servizi pubblici da parte degli enti
locali, che al fine dall’esonero contributivo non era dirimente la influenza dominante sugli assetti
organizzative e sulle finalità societarie da parte di un pubblico potere- nel caso di specie il Comune di

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dovuti per cigs e cigo e in parziale riforma della decisione, condannava la Iride s.p.a. al pagamento a tale

Torino- e osservava che anche all’esito della ricognizione del mutato quadro normativo di riferimento,
la mera partecipazione azionaria e l’esperibilità da parte dell’ente locale del controllo sulla società per
azioni, gestore di un servizio pubblico, non comportava l’acquisto da parte di questa , della “natura
pubblica” necessaria ai fini dell’esonero dell’obbligo contributivo relativo alla cassa integrazione.
Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso la Iren s.p.a ( già Iride s.p.a.) sulla base di quattro
motivi. Ha preliminarmente eccepito la violazione dell’art. 132 cod. proc. civ. e quindi la nullità della
sentenza della Corte di appello per essere la motivazione stata riferita a una società diversa, la Iride
Energia s.p.a con oggetto sociale e capitali diversi rispetto a Iride spa .
L’INPS in proprio ed anche quale procuratore della S.C.C.I. s.p.a ha depositato controricorso.
Equitalia Nomos s.p.a. è rimasta intimata.
La società ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cpc
Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente ha preliminarmente eccepito la violazione dell’art. 132
cod. proc. civ. e quindi la nullità della sentenza della Corte di appello per essere la motivazione stata
riferita a una società la Iride Energia s.pa con oggetto sociale e capitali diversi rispetto a Iride s.p.a .
La eccezione è infondata.. Nella sentenze impugnata si legge :” Per ciascuna delle due fattispecie
(contributi dovuti per Cigs e Cigo e contributi dovuti per indennità di malattia, n.d.r.) questa Corte si
è già più volte espressa, per cui si richiamano quelle decisioni e si riportano, di seguito le relative
motivazioni, trattandosi, a prescindere dal quantum debeatur, di identiche questioni in linea di diritto …
Per quanto riguarda i contributi a titolo di Cigs e Cigo , questa Corte si è espressa anche al riguardo più
volte, si indica per tutte la sentenza n. 636/10 ( proc. n. 454 /2010 tra INPS e Iride Servizi e Iride spa
— udienza del 17.6.2010), nella quale ( appellante era l’INPS , come nel caso oggi in esame ) si legge
quanto segue ….”( pagg. 11 e sgg sentenza impugnata) Dopo avere riprodotto le motivazioni della
sentenza di riferimento la decisione impugnata così prosegue : ” Come si è detto la fattispecie è
identica e la situazione della s.p.a. Iride è in tutto sovrapponibile a quella della s.p.a .Iride Energia
anche per quanto concerne gli assetti societari e la natura giuridica..” ( v. pag 18 sentenza) Alla luce
di quanto ora rilevato è del tutto evidente che il riferimento a Iride Energia s.p.a non nasce,come
assume parte ricorrente da un errore del giudice di appello, ma è frutto del consapevole richiamo ad
altra decisione, nella quale era parte la Iride Energia s.p.a, decisione che affrontava le medesime
questioni di diritto.
Con il secondo motivo ha dedotto violazione e falsa applicazione dell’art. 3 comma 2 del DL CPS n.
896 del 1947, dell’art. 2 L. n. 1115 del 1968, dell’art. 1 L. n. 464 del 1982, dell’art. 1 L. n. 164 del 1975,
dell’art. 4 della L. n. 270 del 1988 , dell’art. 22 L. n. 142 del 1990. dell’art. 113 T.U. d. lgs n. 267 del
2000, dell’art. 35 L. n. 448 del 2001 uu2 DEI, 1947 , dell’art. 2 comma 2 d. lgs n. 158 del 1995, dell’art.
3 comma 28 d. lgs n. 163 del 2006, dell’art. 2 d. lgs n. 333 del 2003, dell’art. 20 comma 2 L: n. 133 del
2008 e dell’art. 2359 nonché motivazione insufficiente illogica e contraddittoria su un punto decisivo
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._

della controversia . Ha eccepito che

la giurisprudenza di legittimità richiamata nella sentenza

impugnata faceva riferimento ad un diverso contesto normativo il quale aveva subito rilevanti
modifiche in ragione della legge n. 448 del 2001 e del d.lgs. n. 333 del 2003, di attuazione della
direttiva 2000/52/111/CE. Ricorda, in particolare, che, ai sensi dell’art. 35 della suddetta legge n.
448 del 2001, l’unica forma gestionale dei servizi pubblici locali, che ha sostituito le precedenti, è
la società di capitali partecipata ed è pertanto questa che deve essere qualificata come l’ente
2003, definisce “impresa pubblica” ogni impresa nei cui confronti i poteri pubblici esercitino,
direttamente o indirettamente una situazione di controllo. Irrilevante sostiene è poi la circostanza

valorizzata dalla Corte di appello – che il capitale di Iride spa è detenuto da altra spa in quanto nessuna
norma di legge e tantomeno l’art. 35 cit impongono una partecipazione soltanto diretta dell’Ente
territoriale nella società di capitali dovendosi anzi evidenziare che l’art 35 dispone la derivazione ex art.
2112 cod. civ. di rami di azienda dalla originaria spa in cui l’azienda municipalizzata ex art. 22 L, n., 142
del 1990 si è trasformata e di cui i comuni conservano la maggioranza azionaria in altre società di
capitali dalla prima controllate.
In conclusione si sostiene , ciò che qualifica sul piano sostanziale il soggetto cui spetta la titolarità della
impresa e che ne determina la gestione è la posizione di controllo da parte dell’Ente pubblico

Tale posizione di controllo sarebbe configurabile nel caso di specie; in conseguenza la società
ricorrente, costituisce impresa pubblica, per un servizio pubblico, sottoposta al regime pubblicistico
di legge, presentando elementi che la differenziano dalla società per azioni di diritto comune. In
questa prospettiva si deduce il vizio di motivazione della sentenza impugnata per non avere
consideato adeguatamente le differenze strutturali di essa ricorrente rispetto allo schema generale
delle società per azioni di diritto comune
Con il terzo motivo ha dedotto violazione e falsa applicazione dell’art. 16, commi 1 e 2 della L n. 223
del 1991 nonché motivazione insufficiente illogica e contraddittoria su un punto decisivo della
controversia. Osserva che l’accoglimento del primo motivo comporta anche il rigetto della pretesa
relativa alla contribuzione di mobilità dovuta ai sensi dell’art. 16 L n. 223 del 1991.
Con il quarto motivo ha dedotto vio1a7ione e falsa applicazione dell’art. 3 comma 1 del d. lgs C.P.S. n.
869 del 1947 sostenendo, in sintesi, l’errore della decisione impugnata per non avere esteso ad essa
società l’esonero dalla contribuzione già riconosciuto dall’INPS all”Azienda

Energetica

Municipalizzata trasformatasi successivamente in società per azioni. ai sensi dell’art. 22 L n. 142
del 1990.
I motivi secondo , terzo e quarto devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro
connessione. Gli stessi non sono fondati e devono essere rigettati.
3

strumentale dell’ente locale per l’esercizio dei pubblici servizi e che l’art. 2 del d.lgs. n. 333 del

Questa Corte, con le sentenze n. 19087, n. 20818, n. 20819, n. 22318, del 2013, ha già avuto modo
di pronunciarsi con riguardo ad analoga fattispecie, confermando, con articolate motivazioni,
l’orientamento secondo cui la società partecipata non può identificarsi con “le imprese industriali
degli enti pubblici, trattandosi di società di natura essenzialmente privata nella quale
l’amministrazione pubblica esercita il controllo esclusivamente attraverso gli strumenti di diritto
privato, dovendosi altresì escludere, in mancanza di una disciplina derogatoria rispetto a quella
da parte dell’ente pubblico sia idonea a determinare la natura dell’organismo attraverso cui la
gestione del servizio pubblico viene attuata”.
Questa Corte ha, quindi, affermato, che la forma societaria di diritto privato è per l’ente locale la
modalità di gestione degli impianti consentita dalla legge e prescelta dall’ente stesso per la duttilità
dello strumento giuridico, in cui il perseguimento dell’obiettivo pubblico è caratterizzato
dall’accettazione delle regole del diritto privato. Quindi le società per azione a partecipazione
pubblica vanno escluse dal concetto di “imprese pubbliche” (citate sentenze Cassazione) A tale
orientamento, che si condivide, questa Corte intende dare continuità, anche in ragione delle
argomentazioni di seguito illustrate, che pongono in evidenza come l’evoluzione della normativa
comunitaria e nazionale promuova forme e strumenti di natura essenzialmente non autoritativa per
la gestione dei servizi pubblici locali (rispetto alla quale, peraltro, si sta progressivamente
sviluppando una attività, a carattere strumentale, di costumer care) e di attività di impresa
dell’amministrazione pubblica.
Storicamente, può ricordarsi che il fenomeno delle società a partecipazione pubblica ha visto lo
Stato assumere la veste di imprenditore, in particolare, o a partire dagli anni trenta del novecento,
per poi passare negli anni ’90 alla privatizzazione formale di enti pubblici sino a pervenire a
fenomeni di esternalizzazione di attività dell’amministrazione, al fine di renderne meno farraginosa
l’azione amministrativa (cfr., Cass., S.U., ordinanza n. 19667 del 2003).
Come si vedrà, certo non è senza rilievo l’oggetto di servizio pubblico locale dell’attività esercitata
mediante società di diritto privato, e la partecipazione pubblica alle stesse, preoccupandosi,
tuttavia, il legislatore comunitario e quello nazionale che non vengano lese le dinamiche della
concorrenza nel mercato e per il mercato, introducendo misure cd. antitrust, misure legislative di
promozione, che mirano ad aprire un mercato o a consolidarne l’apertura, eliminando barriere
all’entrata, riducendo o eliminando vincoli al libero esplicarsi della capacità imprenditoriale e della
competizione tra imprese, in generale i vincoli alle modalità di esercizio delle attività economiche;
misure per favorire l’apertura del mercato alla concorrenza. garantendo i mercati ed i soggetti che in
essi operano (cfr. Corte cost., sentenza n. 430 del 2007).
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propria dello schema societario, che la mera partecipazione — per maggioranza , ma non totalitaria,

Ciò tuttavia, come già affermato dalla giurisprudenza di legittimità sopra richiamata, non è
dirimente ai fini previdenziali in esame, atteso che proprio il passaggio della gestione dei servizi
pubblici locali da soggetti pubblici (quali le aziende municipalizzate) a soggetti privati, anche se
partecipati, incide sulla disciplina dei rapporti di lavoro in modo significativo, e fa venir meno le
condizioni a cui il legislatore ha connesso l’esclusione dal pagamento della contribuzione in
questione.. Tenuto conto della ratio decidendi della pronuncia della Corte d’Appello e dei motivi di
soffermarsi sul rilievo che assume l’esercizio di un pubblico servizio locale da parte di società per
azioni partecipata, come avviene nel caso di specie, per le ragioni sopra esposte.
A sostegno delle proprie tesi difensive, la ricorrente ha fatto riferimento alla disciplina della
gestione dei servizi pubblici locali, all’impresa pubblica, alle peculiarità del proprio modello
societario. Tali modelli, così come le cd. imprese strumentali, presentano molteplici peculiarità e
pongono diverse problematiche proprio con riguardo agli effetti della partecipazione pubblica, ma
a fini diversi da quelli della contribuzione previdenziale, per la quale permane l’esclusivo rilievo del
carattere privato della società, come si vedrà dalla ricognizione normativa che segue.
L’assetto originario dei servizi pubblici locali è stato delineato dall’art. 22 della legge 142 del
1990, poi confluito negli arti 112 e 113 del d.lgs. n. 267 del 2000, recante il Testo unico delle leggi
sull’ordinamento degli enti locali.
L’art. 112 del T.U. afferma che gli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, provvedono
alla gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto la produzione di beni ed attività rivolte
alla realizzazione di fini sociali, nonché a promuovere lo sviluppo economico e civile delle
comunità locali. L’art. 113, così come formulato originariamente, prevedeva, indipendentemente
dalla rilevanza economica o meno dei servizi, la possibilità per gli enti locali sia di ricorrere alla
gestione in economia sia di affidare la gestione dei servizi pubblici locali in concessione anche a
società per azioni a prevalente capitale pubblico. Successivamente l’art. 35 della legge n. 448 del
2001 sostituiva l’art. 113 ed introducendo l’art. 113-bis, provvedendo in tal modo a distinguere le
formule da adottare per la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza industriale da quelle per la
gestione dei servizi pubblici locali privi di rilevanza industriale.
Tale riforma era stata resa necessaria al fine di assicurare l’apertura del mercato dei servizi pubblici
di rilevanza industriale, ed il rispetto dei principi comunitari della libera circolazione delle merci,
della libera prestazione dei servizi e soprattutto della libera concorrenza; infatti, il novellato art. 113
affidava la gestione dei servizi di rilevanza industriale esclusivamente a società di capitali,
abrogando la gestione in economia che restava invece possibile per i servizi pubblici privi di
rilevanza industriale. Tale novella veniva seguita da altri interventi legislativi, con una nuova
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ricorso, un compiuto vaglio di questi ultimi in relazione alla normativa di riferimento, richiede di

formulazione dell’art. 113 del d.lgs. 267 del 2000 ad opera dell’art. 14 del d.l. 269 del 2003 e
dell’art. 4 della legge n. 350 del 2003.
Dette norme sostituivano il criterio della rilevanza industriale con quello della rilevanza
economica. In proposito si può ricordare quanto affermato dalla Corte costituzionale con la
sentenza n. 325 del 2010 e cioè che in àmbito comunitario non viene mai utilizzata l’espressione
«servizio pubblico locale di rilevanza economica», ma solo quella di «servizio di interesse
funzionamento dell’Unione europea (TFUE).
Detti articoli non fissano le condizioni di uso di tale ultima espressione, ma, in base alle
interpretazioni elaborate al riguardo dalla giurisprudenza comunitaria (ex multis, Corte di giustizia
UE, 18 giugno 1998, C-35/96, Commissione c. Italia) e dalla Commissione europea, emerge con
chiarezza che la nozione comunitaria di SIEG, ove limitata all’ambito locale, e quella interna di
SPL di rilevanza economica hanno «contenuto omologo» (Corte costituzionale, sentenza n. 272 del
2004).. Entrambe le suddette nozioni, interna e comunitaria, fanno riferimento infatti ad un servizio
che: a) è reso mediante un’attività economica (in forma di impresa pubblica o privata), intesa in
senso ampio, come qualsiasi attività che consista nell’offrire beni o servizi su un determinato
mercato; b) fornisce prestazioni considerate necessarie (dirette, cioè, a realizzare anche “fini
sociali”) nei confronti di una indifferenziata generalità di cittadini, a prescindere dalle loro
particolari condizioni..
Le due nozioni, inoltre, assolvono l’analoga funzione di identificare i servizi la cui gestione deve
avvenire di regola, al fine di tutelare la concorrenza, mediante affidamento a terzi secondo
procedure competitive ad evidenza pubblica (citata sentenza Corte cost. n. 325 del 2010).
Può osservarsi come la normativa comunitaria ammette la gestione diretta del SPL da parte
dell’autorità pubblica nel caso in cui lo Stato nazionale ritenga che l’applicazione delle regole di
concorrenza (e, quindi, anche della regola della necessità dell’affidamento a terzi mediante una gara
ad evidenza pubblica) ostacoli, in diritto od in fatto, la «speciale missione» dell’ente pubblico (art.
106 TFUE).. Successivamente al richiamato intervento del Giudice delle Leggi, è poi intervenuto
l’art. 23-bis del d.l. 112 del 2008, convertito dalla legge n.133 del 2008. La disciplina dettata da
tale norma si caratterizzava per il fatto che fissava una normativa generale di settore, volta a
restringere, rispetto al livello minimo stabilito dalle regole concorrenziali comunitarie, le ipotesi di
affidamento diretto e, in particolare, di gestione in house dei servizi pubblici locali di rilevanza
economica, consentite solo in casi eccezionali ed al ricorrere di specifiche condizioni, la cui
regolamentazione veniva, peraltro, demandata ad un regolamento governativo, poi adottato con il
d.P.R. 7 settembre 2010 n. 168.
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economico generale» (SIEG), rinvenibile, in particolare, negli artt. 14 e 106 del Trattato sul

Tale disciplina superava il vaglio di legittimità costituzionale (sentenza Corte cost. n. 325 del 2010),
ma veniva abrogata dal referendum popolare dell’ 11 e 12 giugno 2011, realizzandosi, pertanto,
l’intento referendario di «escludere l’applicazione delle norme contenute nell’art. 23-bis che
limitano, rispetto al diritto comunitario, le ipotesi di affidamento diretto e, in particolare, quelle di
gestione in house di pressoché tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica (ivi compreso il
servizio idrico)» (sentenza Corte cost. n. 24 del 2011).
sollevando dubbi di legittimità costituzionale confermati dalla Corte Costituzionale nella sentenza
n. 199 del 2012, atteso il divieto di ripristino della normativa abrogata dalla volontà popolare
desumibile dall’art. 75 Cost.
All’azzeramento della normativa contenuta nell’art. 4 del d.l. n. 138 del 2011, convertito, con
modificazioni, dalla 1. n. 148 del 2011, ad opera della sentenza della Corte Costituzionale n. 199 del
2012, è conseguito un effetto di semplificazione; con la conseguente applicazione, nella materia dei
servizi pubblici locali di rilevanza economica, oltre che della disciplina di settore non toccata dalla
detta sentenza, della normativa e dei principi generali dell’ordinamento europeo, nonché di quelli
affermati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia e di quella nazionale.
Così riepilogato il quadro di riferimento normativo comunitario e nazionale, si deve rilevare come
una prima definizione giurisprudenziale della figura dell’in house, è fornita dalla sentenza della
Corte di giustizia delle Comunità europee del 18 novembre 1999, causa C-107/98 — Teckal. In
quella sede si è affermato che non è necessario rispettare le regole della gara in materia di appalti
nell’ipotesi in cui concorrano i seguenti elementi: a) l’amministrazione aggiudicatrice esercita sul
soggetto aggiudicatario un “controllo analogo” a quello esercitato sui propri servizi; b) il soggetto
aggiudicatario svolge la maggior parte della propria attività in favore dell’ente pubblico di
appartenenza.. Con la sentenza n. 50 del 2013, la Corte costituzionale ha, poi, affermato che: la
Corte di giustizia dell’Unione europea ha riconosciuto che rientra nel potere organizzativo delle
autorità pubbliche degli Stati membri “autoprodurre” beni, servizi o lavori, mediante il ricorso a
soggetti che, ancorché giuridicamente distinti dall’ente conferente, siano legati a quest’ultimo da una
“relazione organica” (il cd. affidamento in house). Allo scopo di evitare che l’affidamento diretto a
soggetti in house si risolva in una violazione dei principi del libero mercato e quindi delle regole
concorrenziali, che impongono sia garantito il pari trattamento tra imprese pubbliche e private, la
stessa Corte ha affermato che è possibile non osservare le regole della concorrenza a due
condizioni. La prima è che l’ente pubblico svolga sulla società in house un controllo analogo a
quello esercitato sui propri servizi; la seconda è che il soggetto affidatario realizzi la parte più
importante della propria attività con l’ente pubblico (citata sentenza 18 novembre 1999, in causa C7

L’art. 4 del d.l. 138 del 2011 riprendeva in larga parte la disciplina abrogata per via referendaria,

107/98, Teckal). Come si può rilevare, dunque, la finalizzazione della spa alla gestione in house di
un servizio pubblico, come nel caso di specie, non muta la natura giuridica privata della società con
riguardo alle ricadute previdenziali dei rapporti di lavoro, ma assume rilievo nell’ordinamento
nazionale e comunitario con riguardo al mercato e alla tutela della concorrenza.
Né argomenti possono desumersi dal richiamo della nozione di impresa pubblica che costituisce
anch’essa categoria all’attenzione del legislatore comunitario, che se ne occupa all’art. 86 del
Il legislatore comunitario ha, infatti, previsto, e sotto questo aspetto l’ha disciplinata, che essa non
fosse sottratta, in virtù dei rapporti con i pubblici poteri, alle regole del mercato imposte,
indipendentemente dalla loro appartenenza, a tutte le imprese: regole che valgono per tutti gli
operatori economici e non ammettono deroghe per le imprese pubbliche.
Non è senza significato, in proposito, che i caratteri distintivi dell’impresa pubblica devono essere
ricercati nelle direttive sulla trasparenza devono essere ricercati nelle direttive sulla trasparenza
delle relazioni finanziarie fra gli Stati membri e le loro imprese pubbliche (direttiva 80/723 della
Commissione, successivamente modificata dalle direttive 2000/52 e 2005/81, ora codificate nella
direttiva 2006/111), che hanno posto l’accento sull’esigenza di assicurare la parità di trattamento tra
imprese pubbliche e private e, a questi fini, sulla necessità di una compiuta trasparenza circa le
relazioni finanziarie intercorrenti tra poteri pubblici nazionali e imprese pubbliche, in modo da
distinguere chiaramente il ruolo svolto dalla pubblica amministrazione quale potere pubblico e
quello svolto dalla stessa quale privato.
La qualifica di un soggetto come impresa pubblica prescinde perciò dal fine perseguito, mentre
assume valenza decisiva il legame tra l’impresa e la pubblica amministrazione (intesa nella sua
accezione più ampia, propria alla materia degli appalti, comprensiva perciò anche dell’organismo di
diritto pubblico) “dominante”. Anche in questo caso, occorre rilevare, il peculiare regime della cd.
impresa pubblica, non può determinare, ex sé, ricadute sul regime previdenziale della spa che
rivesta tali caratteristiche. Infine si rileva come esuli, altresì, dal caso di specie la nozione di
società pubblica strumentale, attesa l’esclusione “dei servizi pubblici locali” sancita dall’art. 13 del
d.l. n. 223 del 2006. Le stesse destinate a produrre beni e servizi finalizzati alle esigenze dell’ente
pubblico partecipante, si distinguono dalle società a partecipazione pubblico- privata, esercitate
secondo modelli paritetici, in cui il ruolo degli enti territoriali corrisponde a quello di un azionista di
una società per azioni (cfr., Consiglio di Stato, Sezione VI, 11 gennaio 2013, n. 122).
Così ripercorso il quadro normativo di riferimento circa le modalità di esercizio di un servizio
pubblico locale tramite spa, rileva la Corte che non sussistono le condizioni per escludere la
contribuzione per cui è causa. In ragione di quanto sopra esposto, come già ritenuto da questa
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Trattato e poi negli arti. 101, 102 e 103 sul divieto di facilitazioni finanziarie.

Corte, (Cass. nn. 20818, 20819, 22318, 11417 del 2013, Cass., n. 14847 del 2009), la società
partecipata non può identificarsi con le imprese industriali degli enti pubblici esonerate, trattandosi
di società di natura essenzialmente privata nella quale l’amministrazione pubblica esercita il
controllo esclusivamente attraverso gli strumenti di diritto privato, e dovendosi escludere, in
mancanza di una disciplina derogatoria rispetto a quella propria dello schema societario, che la
mera partecipazione – pur maggioritaria, ma non totalitaria – da parte dell’ente pubblico sia idonea a
Ne è fondata la doglianza con la quale, nel censurare la statuizione della Corte d’Appello, la
ricorrente tende a far derivare l’esonero della richiesta di contribuzione da un provvedimento
emesso dall’Autorità amministrativa in favore di AEM, in quanto lo stesso dovrebbe ritenersi
produrre effetto esonerativo anche per AEM spa e per le società da essa derivate, per scorporo
ovvero per cessione di ramo d’azienda .Detto provvedimento di accertamento infatti risulta legato
alla condizione dell’Azienda esaminata in relazione alla soggettività specifica del datore di lavoro,
come esistente al momento dell’accertamento ed alle condizioni ivi verificate, con impossibilità di
trasferire detto provvedimento in capo ad altri soggetti economici (Cass., n. 20818 del 2013).
Peraltro, in presenza di trasferimento d’azienda, trova applicazione l’art. 2112 cc, che persegue lo
scopo di garantire ai lavoratori la conservazione dei diritti in caso di mutamento dell’imprenditore
assicurando la continuità del rapporto di lavoro nei confronti dell’azienda, o alla parte di essa,
trasferita ed esistente al momento del trasferimento. È estranea, invece, alla tutela da essa offerta la
garanzia di continuità delle prerogative della struttura aziendale riconosciute alla parte
imprenditoriale dall’autorità amministrativa, atteso che dette prerogative sono condizionate alla
permanenza dei requisiti richiesti dalla legge per il loro riconoscimento.
Consegue il rigetto del ricorso .Sussistono le condizioni di cui all’art. 92 cod. proc. civ. per
compensare tra le parti costituite le spese di giudizio in ragione della complessità delle questioni
sottoposte all’esame della Corte.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese tra le parti costituite.
Roma 15 ottobre 2013

Il Consigliere est.

A. \)°,0„,

determinare la natura dell’organismo attraverso cui la gestione del servizio pubblico viene attuata.

Il Funzionario Giudizi

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