Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29098 del 13/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 13/11/2018, (ud. 20/06/2018, dep. 13/11/2018), n.29098

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 10011/2011 R.G. proposto da:

P.M., elettivamente domiciliato in Roma, p.le Clodio n. 61,

presso lo studio dell’avv. Caterina Maffey, rappresentato e difeso

dall’avv. Giuseppe Benanti, giusta procura speciale a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

e contro

P.R.;

– intimato –

avverso la sentenza della Commissione tributaria di secondo grado di

Trento n. 08/01/10, depositata il 22 febbraio 2010;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20 giugno

2018 dal Consigliere Giacomo Maria Nonno.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. con sentenza n. 08/01/10 del 22/02/2010, la Commissione tributaria di secondo grado di Trento rigettava l’appello proposto da P.M. avverso la sentenza della Commissione tributaria di primo grado di Trento n. 97/03/07, che aveva accolto parzialmente l’impugnazione del contribuente nei confronti di una cartella di pagamento, con la quale, con riferimento alle annualità d’imposta 1997 e 1999, l’Amministrazione finanziaria procedeva, nei confronti del socio illimitatamente responsabile, al recupero delle somme dovute dalla Lunedil s.n.c. di L.C. & C. a titolo ILOR, IRAP e IVA, giusta atti impositivi regolarmente notificati alla società;

1.1. come si evince dalla sentenza della CTR: a) la CTP aveva accolto parzialmente l’impugnazione del contribuente, unitamente a quella riunita proposta dal socio P.R., dichiarando la responsabilità dei soci illimitatamente responsabili “nei limiti delle obbligazioni assunte dalla società sino alla data del loro recesso”, intervenuto, per quanto concerne l’odierno ricorrente, in data 16/09/1999, con la pubblicazione del recesso nel registro delle imprese; c) avverso la sentenza della CTP P.M. proponeva appello;

1.2. la CTR preliminarmente disponeva l’integrazione del contraddittorio nei confronti di P.R., quindi motivava il rigetto dell’appello proposto evidenziando che: a) P.M., in quanto socio illimitatamente responsabile della Lunedil s.n.c., “non poteva pretendere che gli atti impositivi fossero a lui notificati, essendo stati i medesimi già notificati alla società; b) l’Agenzia delle entrate aveva correttamente applicato l’art. 2291 c.c., che prevede la responsabilità illimitata e solidale dei soci per le obbligazioni sociali; c) il contribuente, avendo conosciuto per tempo le pretese dell’Agenzia, aveva avuto la concreta possibilità di apprestare la sua difesa nei modi più conformi ai suoi interessi e ciò anche con riferimento alle sanzioni;

2. avverso la sentenza della CTR P.M. proponeva ricorso per cassazione, affidato a tre motivi;

3. L’Agenzia delle entrate resisteva con controricorso mentre P.R. non si costituiva in giudizio restando, quindi, intimato.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. con il primo motivo di ricorso P.M. deduce l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sulla ritenuta correlazione tra l’ammissibilità dell’avviso di mora, pur se non preceduto dalla notificazione dell’avviso di accertamento, e la possibilità per il contribuente di impugnare tale atto succedaneo anche per vizi non propri, inerenti l’atto non notificato, e di far valere appieno le proprie difese senza compressione alcuna delle stesse;

1.1. in buona sostanza, il ricorrente ritiene che, avendo egli impugnato la cartella, unico atto notificatogli, debba essere posto nelle condizioni di svolgere le proprie difese anche nel merito, in difetto di notifica dell’avviso di accertamento, con conseguente possibilità di ottenere anche lo sgravio delle sanzioni, in applicazione delle facilitazioni allo stesso negate;

2. il motivo è inammissibile;

2.1. è pacifico che “poichè l’accertamento effettuato nei confronti di una società di persone ha effetto anche riguardo al socio illimitatamente responsabile, l’Amministrazione finanziaria non ha l’obbligo di notificare a quest’ultimo l’avviso di accertamento o di rettifica dell’imposta dovuta, potendo limitarsi, nella vigenza del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 46, a notificargli l’avviso di mora o la cartella di pagamento, rimanendo salva la possibilità, per lo stesso socio, di contestare, mediante l’impugnazione di tali atti, anche l’esistenza e l’ammontare del debito d’imposta, senza che si abbia violazione alcuna del suo diritto di difesa” (così Cass. n. 11615 del 11/05/2017; sostanzialmente conf. Cass. n. 27189 del 22/12/2014; Cass. n. 25765 del 05/12/2014; Cass. n. 11228 del 16/05/2007; contra e isolata Cass. n. 18012 del 09/09/2005);

2.2. tuttavia, come correttamente osservato dalla difesa erariale, il P. ha originariamente impugnato la cartella di pagamento solo per vizi di legittimità, denunciando la mancata previa notifica dell’avviso di accertamento; ne consegue che la censura proposta in sede di appello, volta a far valere vizi di merito dell’avviso, è nuova e, quindi, inammissibile;

2.3. in ogni caso, la doglianza relativa alla possibilità di far valere, in sede di impugnazione della cartella di pagamento, anche i vizi di merito attinenti all’avviso di accertamento non notificato non integra un vizio di motivazione, ma una violazione di legge, sicchè la censura avrebbe dovuto essere formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

3. con il secondo motivo di ricorso si contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2291 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziando che non poteva essere notificato l’avviso di mora al ricorrente senza che quest’ultimo sia stato preceduto dalla notificazione dell’avviso di accertamento, a ciò ostando il principio di autonomia dei rapporti sostanziali tra creditore e condebitori solidali;

4. il motivo è infondato.

4.1. posto che al ricorrente è stata notificata una cartella di pagamento e non un avviso di mora, è sufficiente per ritenere infondate le deduzioni del P. il richiamo al pacifico orientamento della S.C. riferito al p. 3.1., secondo il quale la notifica dell’avviso di accertamento alla società è sufficiente per poi procedere nei confronti dei soci illimitatamente responsabili, senza necessità della notifica nei loro confronti di un ulteriore avviso, potendo essi far valere le eccezioni di merito concernenti l’accertamento direttamente in sede di impugnazione della Cartella di pagamento;

5. con il terzo motivo di ricorso si deduce violazione o falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36 bise della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè omessa motivazione sulla ritenuta violazione e falsa applicazione delle menzionate disposizioni, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

5.1. in buona sostanza, il ricorrente denuncia omessa pronuncia del giudice di appello in ordine alla ritenuta violazione delle disposizioni sopra richiamate, che richiedono l’effettiva conoscenza del contribuente degli atti che precedono l’iscrizione a ruolo;

6. il motivo è inammissibile;

6.1. in primo luogo la censura integra un’omessa pronuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e, in mancanza di uno specifico riferimento alla nullità della sentenza, non può essere riqualificato, ostandovi il chiaro disposto di Cass. S.U. n. 17931 del 24/07/2013;

6.2. secondariamente, dalla sentenza della Commissione di secondo grado non si evince la proposizione di una simile censura da parte del contribuente, nè quest’ultimo ha indicato l’atto dove si fa menzione della ritenuta violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36 bis e della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 6 (si fa riferimento unicamente alla proposizione del motivo in sede di gravame);

6.3. orbene, costituisce orientamento consolidato di questa Corte quello per il quale “l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo, sicchè, laddove sia stata denunciata la falsa applicazione della regola del “tantum devolutum quantum appelatum”, è necessario, ai fini del rispetto del principio di specificità e autosufficienza del ricorso per cassazione, che nel ricorso stesso siano riportati, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, i passi del ricorso introduttivo con i quali la questione controversa è stata dedotta in giudizio e quelli dell’atto d’appello con cui le censure ritenute inammissibili per la loro novità sono state formulate” (Cass. n. 11738 del 08/06/2016; Cass. n. 19410 del 30/09/2015; cfr. anche Cass. n. 27568 del 21/11/2017; Cass. n. 1435 del 22/01/2013);

7. in conclusione, il ricorso va rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo avuto conto di un valore della lite ricompreso tra Euro 52.000,01 ed Euro 260.000,00; nulla per le spese nei confronti di R.M., che non si è difeso nel presente procedimento e chiamato in giudizio dal ricorrente solo perchè parte del giudizio davanti alla Commissione di secondo grado.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese di lite, che liquida in Euro 5.600,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 20 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2018

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