Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29095 del 18/12/2020

Cassazione civile sez. II, 18/12/2020, (ud. 01/07/2020, dep. 18/12/2020), n.29095

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8463/2016 proposto da:

C.N., rappresentata e difesa dall’avvocato DANIELA BRIOLI,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

N.C., PATRONATO SIAS;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1564/2015 del TRIBUNALE di PARMA, depositata

il 15/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

01/07/2020 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS.

 

Fatto

PREMESSO

Che:

1. Con atto di citazione del 21 ottobre 2008 N.C. conveniva in giudizio l’avvocato C.N., chiedendone la condanna al pagamento di Euro 1.000, trattandosi di somma versata, ma non dovuta (l’avvocato, secondo l’attore, aveva prestato la propria attività professionale gratuitamente, sulla base di un accordo tra il medesimo avvocato e il patronato SIAS); C. si costituiva, chiedendo il rigetto della domanda e chiamando in causa il Patronato SIAS. Il Giudice di pace di Parma, con sentenza n. 661/2011, accoglieva la domanda e condannava C. a versare a N. la somma di Euro 1.000, oltre interessi.

2. Avverso tale sentenza proponeva appello C.N.. Il Tribunale di Parma, rilevato “il mancato deposito del fascicolo di parte appellante e, con esso, della sentenza impugnata, ritirato dalla stessa all’udienza di precisazione delle conclusioni”, dichiarava l’appello improcedibile con sentenza 15 ottobre 2015, n. 1564.

3. Contro la sentenza ricorre per cassazione C.N..

Gli intimati, N.C. e il Patronato SIAS, non hanno proposto difese.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

I. Il ricorso è articolato in due motivi.

1) Il primo motivo contesta due violazioni:

a) “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 347 e/o 348 e 342 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4, 5, nella parte in cui, in violazione del principio di tassatività delle cause di “improcedibilità, il Tribunale ha ritenuto improcedibile l’appello, causa la mancanza, agli atti, di copia della sentenza appellata, contenuta nel fascicolo di parte ritirato e non ridepositato, e possibile il vaglio del suo contenuto sulla base del solo atto introduttivo dell’appello”;

b) “violazione e/o falsa applicazione degli art. 347 e/o 348 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e/o 5, per insufficiente, contraddittoria, incongrua motivazione e conseguente nullità della sentenza nella parte in cui il Tribunale ha ritenuto improcedibile l’appello per mancato deposito del fascicolo di parte”.

Il motivo – a prescindere dal richiamo a un parametro (l’insufficiente e contraddittoria motivazione) non applicabile ratione temporis alla fattispecie – è fondato.

Il Tribunale di Parma ha dichiarato improcedibile l’appello sulla base del seguente ragionamento:

– ai sensi dell’art. 347 c.p.c., comma 2, l’appellante deve inserirle nel proprio fascicolo copia della sentenza appellata;

– il precetto mira a garantire la possibilità dell’esame della sentenza impugnata da parte del giudice d’appello, con la conseguenza che se essa non risulta allegata agli atti al momento della decisione l’appello è improcedibile;

– il principio vale anche quando la copia è stata prodotta con l’atto introduttivo del giudizio, ma il fascicolo di parte è stato successivamente ritirato senza venire nuovamente depositato prima della decisione della causa e la lettura della sentenza è indispensabile ai fini dell’esame del merito dell’impugnazione;

– nel caso di specie, il fascicolo di parte, con la sentenza impugnata, era stato ritirato all’udienza di precisazione delle conclusioni, ma non nuovamente depositato, agli atti non risultava altra copia della sentenza impugnata e non era possibile vagliarne il contenuto, dato che l’atto introduttivo dell’appello non la riproduceva integralmente.

Il ragionamento seguito dal Tribunale non è corretto. L’art. 347 c.p.c., comma 2, prescrive sì l’inserimento, da parte dell’appellante, di copia della sentenza appellata nel proprio fascicolo, ma il mancato deposito del fascicolo non è sanzionato a pena di improcedibilità. La L. n. 353 del 1990, art. 54, ha infatti soppresso la disciplina della improcedibilità conseguente alla mancata presentazione del fascicolo da parte dell’appellante – e Quindi della copia della sentenza impugnata – prevista dell’art. 348 c.p.c., comma 2 (secondo cui “l’appello è parimenti dichiarato improcedibile se l’appellante, dopo essersi costituito, non presenta il proprio fascicolo nella prima udienza, salvo che l’istruttore, con ordinanza non impugnabile, gli conceda, per giustificati motivi, una dilazione, rinviando l’udienza”).

Sanzionare con l’improcedibilità il mancato deposito della sentenza appellata significa pertanto applicare l’improcedibilità a una causa non prevista dal legislatore, così contravvenendo al principio, pacifico nella giurisprudenza di questa Corte, della tassatività delle cause di improcedibilità (v., da ultimo, Cass. 15073/2016). Si veda al riguardo Cass. 14869/2004, che sottolinea come “nel vigore del nuovo testo dell’art. 348 c.p.c., che non contempla più la declaratoria di improcedibiiità dell’appello in conseguenza della mancata presentazione del fascicolo di parte – e quindi della sentenza impugnata – nella prima udienza e considerato il principio di tassatività delle cause di improcedibilità, deve ritenersi che la mancanza in atti della sentenza impugnata non implichi comunque la “possibilità di una declaratoria di improcedibilità dell’appello”. D’altro canto, anche prima della novella del 1990, si era affermato che nella nostra ipotesi – ossia ove il fascicolo sia stato ritualmente depositato dall’appellante nel momento della costituzione, ma poi manchi la copia della sentenza impugnata nel momento della decisione – resta esclusa l’applicabilità della sanzione della improcedibilità. Le sezioni unite di questa Corte, con la pronuncia n. 3676 del 1982, hanno infatti affermato che “qualora il fascicolo dell’appellante, regolarmente presentato, e poi ritirato, non venga restituito entro il termine prescritto, resta esclusa l’applicabilità della sanzione dell’improcedibilità dell’appello, prevista dall’art. 348 c.p.c., comma 2, per il diverso caso della mancata presentazione del fascicolo medesimo”.

Il Collegio (che pure è consapevole della presenza di discordi precedenti nella giurisprudenza della Corte, v. ad esempio Cass. 1079/2014 e Cass. 15303/2006) ritiene pertanto che il Tribunale di Parma, rilevata la mancanza agli atti della sentenza al momento della decisione, non poteva dichiarare l’improcedibilità del gravame (in tal senso da ultimo Cass. 127/2020).

Cosa doveva però fare il Tribunale? Sul punto le pronunzie, che pure escludono la declaratoria di immediata improcedibilità, non sono univoche. Vi sono pronunzie che affermano – facendo perno sulla circostanza che nei casi in esame risulta il rituale deposito del fascicolo e quindi anche della sentenza, ma non che il fascicolo sia stato successivamente ritirato – che “non è possibile far gravare sulla parte le conseguenze del suo mancato reperimento, poichè ciò comporterebbe una inammissibile violazione del diritto alla tutela giurisdizionale garantito dall’art. 24 Cost.” (Cass. 619/1998), con conseguente obbligo del giudice dell’impugnazione di disporre le opportune ricerche in cancelleria e, in caso di esito negativo, di concedere un termine per la reintegrazione del fascicolo medesimo (Cass. 14 febbraio 1981, n. 904; più di recente cfr. Cass. 8290/2006 e Cass. 21833/2007). Vi sono invece pronunzie che escludono, ove risulti la prova dell’avvenuto ritiro del fascicolo, là concessione di un termine da parte del giudice (cfr. Cass. 10741/2015; v., Cass. 238/2010 per la quale, in generale, ove la sentenza impugnata risulti indispensabile per ottenere una pronuncia di merito sul gravame, non vi è la declaratoria di improcedibilità dell’impugnazione, ma neppure è possibile la rimessione della parte in termini per la sua produzione ovvero la rimessione della causa sul ruolo per consentirne l’acquisizione, “imponendosi l’emissione di una decisione di merito, ove questa sia possibile sulla base degli atti, ovvero, se il contenuto della sentenza impugnata non sia desumibile in modo inequivoco dall’atto di appello, di una decisione di inammissibilità per carenza degli elementi essenziali di tale atto”). Vi sono infine altre pronunzie che in generale affermano che il giudice, a fronte dell’iniziale regolare deposito del fascicolo e quindi anche della sentenza poi non rivenuta al momento della decisione, “deve segnalare la mancanza dell’atto e dare alla cancelleria od alla parte le disposizioni necessarie per la sua acquisizione” (Cass. 14037/2007, v. pure Cass. 21833/2007).

Ritiene il Collegio che quest’ultima sia la decisione da preferire: una volta che il fascicolo (si presume con la sentenza impugnata) sia stato regolarmente depositato e la sentenza non risulti invece disponibile al momento della decisione, il giudice indipendentemente dall’eventuale ritiro con successiva non restituzione del fascicolo – deve rimettere la causa sul ruolo con invito alla parte interessata a provvedere al deposito di copia della sentenza e solo a fronte dell’inadempimento della parte si imporrà la decisione “in base agli atti legittimamente a sua disposizione” (Cass., sez. un., n. 3676/1982, già menzionata). Una soluzione unitaria, che non distingua a seconda del comportamento colpevole o meno della parte, appare infatti preferibile, anche alla luce del fatto che, nonostante l’attività di ritiro e di restituzione dei fascicoli siano chiaramente delineate dal legislature all’art. 77 disp. att. c.p.c. e art. 169 c.p.c., gli adempimenti di cancelleria in essi previsti “non hanno mai avuto valore cogente” (Cass. 10741/2015), con conseguente difficoltà per la parte di dimostrare la propria incolpevolezza. D’altro canto l’obbligo di concessione di un termine per il deposito della copia della sentenza impugnata viene affermato da questa Corte pure in relazione all’ipotesi del deposito di una copia incompleta (cfr. Cass. 24437/2016; v. pure Cass. 23395/2015), ipotesi nella quale è vero che è mancata la verifica della completezza della copia ad opera della cancelleria ma, come si è sottolineato, “l’inserimento nel fascicolo di copia Incompleta della sentenza appellata equivale al compimento di un atto inefficiente, ovvero all’omessa osservanza dell’adempimento prescritto” (Cass. 24437/2016, appena ricordata). Nè al riguardo appare dirimente il richiamo, operato da Cass. 127/2020, al principio del giusto processo, in quanto il principio, se certamente non vuole dilazioni che rendono il processo “interminabile”, promuove la collaborazione tra giudice e parti, collaborazione tesa a garantire l’effettività del diritto di accesso alla tutela giurisdizionale (v. al riguardo Cass. 15206/2005).

2) L’accoglimento del primo motivo comporta l’assorbimento del secondo, che lamenta “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 347 e/o 348 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3-4, nella, parte in cui il Tribunale ha ritenuto che non fosse possibile vagliare il contenuto della sentenza appellata sulla base del solo atto introduttivo”.

II. La sentenza va quindi cassata in relazione al motivo accolto; la causa deve essere rinviata al Tribunale di Parma che deciderà anche in relazione alle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo, assorbito il secondo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, al Tribunale di Parma, in persona di diverso magistrato.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale della Sezione Seconda Civile, il 1 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2020

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