Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29094 del 28/12/2011

Cassazione civile sez. un., 28/12/2011, (ud. 22/11/2011, dep. 28/12/2011), n.29094

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Primo Presidente f.f. –

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente Sez. –

Dott. SALVAGO Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. TIRELLI Francesco – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 15689-2010 proposto da:

S.C., + ALTRI OMESSI

elettivamente

domiciliati in ROMA, CIRCONVALLAZIONE TRIONFALE 47, presso lo studio

dell’avvocato MORELLI PAOLA, rappresentati e difesi dall’avvocato

POTENZA DOMENICO, per delega a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

AZIENDA SANITARIA LOCALE DI POTENZA, I.N.P.D.A.P.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1279/2009 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata il 17/12/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/11/2011 dal Consigliere Dott. SALVATORE SALVAGO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

IANNELLI Domenico, che ha concluso per il rigetto del primo motivo,

accoglimento del secondo, assorbito il terzo.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di appello di Potenza con sentenza del 3-17 dicembre 2009 ha confermato la decisione 6 novembre 2007 del Tribunale di Potenza che aveva dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario e la giurisdizione esclusiva dell’A.G.A. in ordine alle domande con cui L.F.M., + ALTRI OMESSI avevano chiesto il riconoscimento della natura del rapporto di p.i. dei rapporti convenzionali intrattenuti nel quinquennio 1981-1985 con l’Azienda sanitaria USL n. (OMISSIS) di Potenza che al termine di detto periodo li aveva immessi nel proprio ruolo. Ha osservato: a) che trattandosi di fatti che avevano esaurito i propri effetti in tale ultima data antecedente al 30 giugno 1998, la giurisdizione era rimasta al giudice amministrativo per la norma transitoria della L. n. 29 del 1993, art. 69; b) che non rilevava il carattere fattuale delle prestazioni nè la nullità dell’eventuale rapporto di lavoro, in quanto l’art. 2126 cod. civ. attribuisce efficacia all’attività lavorativa svolta, comunque alle dipendenze di un ente pubblico e perciò costituente lavoro pubblico; c) che andava infine condivisa l’eccezione di difetto di legittimazione passiva da parte della ASL, non subentrata per effetto della L. n. 724 del 1994 nelle obbligazioni assunte con le disciolte USL con cui il rapporto era intercorso. Per la cassazione della sentenza il L. ed i consorti hanno proposto ricorso per 3 motivi. L’Azienda sanitaria non ha spiegato difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti, deducendo violazione dell’art. 5 cod. proc. civ. censurano la sentenza impugnata per aver individuato la giurisdizione sulla loro domanda in base al petitum, ritenuto decisivo dall’art. 5 cod. proc. civ.: non considerando che era la stessa legge a sottrarre la vertenza alla giurisdizione esclusiva per il suo oggetto costituito da un rapporto di lavoro non connotabile all’epoca quale rapporto alle dipendenze della p.a., che riguardava questioni dirimibili sotto la normativa propria di detto rapporto; e richiedeva al giudice adito di vagliare se questo; intercorso solo di fatto con la ASL, potesse aver configurato ab initio un rapporto di lavoro dipendente.

Con il secondo, deducendo violazione degli artt. 1418 e 2126 cod. civ. nonchè D.P.R. n. 761 del 1979, art. 9 si duole che la Corte di appello abbia ritenuto devolute al giudice amministrativo anche le domande retributive e quelle di regolarizzazione contributiva nascenti da un rapporto di fatto senza considerare che la fictio imposta dall’art. 2126 cod. civ. vale esclusivamente ai suddetti fini e non comporta per il resto alcuna equiparazione a quello di lavoro dipendente: esaurendosi in un obbligo di natura privatistica da parte dell’amministrazione utilizzatrice delle prestazioni volto a tutelare il diritto del lavoratore alla retribuzione; perciò configurandosi anche sotto tale profilo la giurisdizione ordinaria tenuta ad accertare solo incidentalmente la sussistenza del rapporto di p.i.

presupposto a base dei diritti invocati.

Le suesposte censure sono infondate.

Non è anzitutto esatto che le controversie relative a rapporti di lavoro subordinato siano solo quelle inerenti alle obbligazioni propriamente caratteristiche di un rapporto già formalmente costituito, come ritenuto dai ricorrenti,avendo questa Corte ripetutamente affermato che l’espressione suddetta tanto nel lavoro privato (Cass. 8022/2003; 10078/1993), quanto in quello pubblico (Cass. 5235 e 5253/1998) designa ogni controversia in cui la pretesa fatta valere in giudizio si ricollega ad un rapporto di lavoro subordinato, sia esso in atto, oppure estinto, o anche solo da costituirsi; per cui, fra le controversie in questione debbono includersi anche quelle relative a vantati diritti all’assunzione o ad altri nascenti dalla mancata assunzione, in violazione degli obblighi contrattuali o di legge: a maggior ragione nell’ambito del p.i. che richiedeva soltanto per la devoluzione alla giurisdizione esclusiva di cui alla L. n. 1034 del 1971, art. 7 l’inserimento del lavoratore subordinato nell’organizzazione pubblicistica di ente pubblico non economico;e non anche la preesistenza di un formale atto di nomina,a maggior ragione legittimo (Cass. sez. un. 5100/1996;

1312/1995; 9234/1990).

Le Sezioni Unite, poi, fin dalle sentenze 6170/1979 e 5690/1980, detta giurisdizione hanno esteso anche alle controversie promosse,sul presupposto della nullità dei rapporto per violazione di norme imperative, al fine di sentir riconoscere il diritto alla retribuzione ed ai contributi previdenziali per le prestazioni lavorative di fatto svolte in favore dello Stato od altri enti pubblici non economici, ai sensi dell’art. 2126 cod. civ.. Ciò perchè: a) nessuna rilevanza può attribuirsi per quanto si è detto alla mancanza dell’atto formale di nomina,e risultando anche in questa categoria di rapporti le prestazioni del lavoratore effettivamente inserite nella organizzazione pubblicistica dell’ente, nonchè rivolte ad eseguire un servizio rientrante nei fini istituzionali di questo; b) neppure possono costituire ostacoli la nullità del rapporto e la ricorrenza di prestazioni di mero fatto ai sensi del menzionato art. 2126 cod. civ. in quanto detta norma stabilisce la cosiddetta “inefficacia dell’invalidità” sia pur al limitato effetto del riconoscimento del diritto alla retribuzione per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione “di fatto”: perciò considerandolo al lume di una sorta di “fictio iuris” di validità in relazione al suddetto limitato effetto (Cass. sez. un. 6960/1994;

8304/1995; 815/1999); c) la questione relativa alla giurisdizione su di esso deve allora essere risolta con gli stessi criteri applicabili per i rapporti validamente costituiti, con attribuzione di tale competenza al giudice amministrativo per il solo fatto che tali rapporti siano stati instaurati con enti pubblici non economici (Cass. sez. un. 2993/1986; 2490/1988; 3602/1989).

Il che trova conforto anche in ragioni di opportunità posto che l’indagine giudiziale il più delle volte comporta la necessità della disamina di tipici profili amministrativistici ai fini dell’accertamento della posizione concretamente assunta dal lavoratore nell’ambito dell’organizzazione della Pubblica Amministrazione che in essa lo aveva inserito, nonchè dell’effettiva entità e qualità delle prestazioni, e quindi dell’ammontare della retribuzione dovuta: disamina che, per le modalità di svolgimento, non potrebbe differenziarsi da quella espletabile in riferimento a un regolare rapporto di pubblico impiego.

Siffatti principi, già sufficienti a smentire la tautologica costruzione dei ricorrenti per cui la giurisdizione esclusiva debba restare limitata ai rapporti di lavoro dipendente già instaurati ed accertati come tali, e quindi a questioni dirimibili secondo la normativa propria di un rapporto di pubblico impiego (invece appartenenti ai merito della controversia), sono stati sistematicamente applicati pure ai fini del riparto di giurisdizione in tema di lavoro pubblico cd. “privatizzato”, in seguito alla disciplina dettata dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 45, comma 17 ed ora dal D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 69, comma 7; i quali hanno devoluto al giudice ordinario le controversie inerenti ai rapporti di impiego pubblico indicate dal D.Lgs. n. 29 del 1993, “relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro successivo al 30 giugno 1998”, mantenendo alla giurisdizione esclusiva del G.A. “le controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore a tale data”: senza modificarne gli elementi costitutivi. Per cui nell’ambito di queste ultime le Sezioni Unite hanno continuato ad includere i rapporti di lavoro di cui all’art. 2126 cod. civ., ribadendo che in difetto di espressa contraria qualificazione legislativa, la natura pubblica o privata del rapporto di lavoro dipende essenzialmente dalla qualità del datore di lavoro (Cass. sez. un. 315/1997); che ne restano conseguentemente immutati i presupposti, e che non rileva in senso contrario neppure la nullità del rapporto per violazione delle norme imperative sul divieto di assunzioni, o per altre cause con conseguente configurabilità di prestazione di fatto: proprio per la ragione in precedenza indicata dalla giurisprudenza, che la norma pone una “fictio iuris” di validità del rapporto nullo (Cass. 26018/2008; 10819/2008;

8453/2008; 10551/2003).

Il Collegio deve infine dichiarare inammissibile il terzo motivo, con cui i ricorrenti, deducendo violazione della L. n. 724 del 1994, art. 6, L. n. 549 del 1995, art. 2, comma 14 e L.R. n. 34 del 1995, art. 34 hanno contestato il difetto di legittimazione passiva della ASL condiviso dalla sentenza impugnata nella parte conclusiva della (sola) motivazione, trattandosi di una statuizione di merito relativa alla successione nella titolarità delle obbligazioni già facenti capo alle disciolte USL; per cui deve trovare applicazione il principio già enunciato dalle Sezioni Unite (sent. 13068/2007), secondo cui qualora il giudice, dopo una statuizione di declinatoria di giurisdizione, con la quale si è spogliato della “potestas iudicandi” in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni su di esso, la parte soccombente non ha l’onere nè l’interesse ad impugnare. Con la conseguenza che è inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta “ad abundantiam” nella sentenza gravata.

Nessuna pronuncia va emessa sulle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e dichiara la giurisdizione del giudice ordinario.

Così deciso in Roma, il 22 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2011

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