Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29093 del 18/12/2020

Cassazione civile sez. II, 18/12/2020, (ud. 01/07/2020, dep. 18/12/2020), n.29093

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27874/2016 proposto da:

O.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F.

CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato EMANUELE COGLITORE,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato PIER GIUSEPPE

DOLCINI, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AMMINISTRAZIONE DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1424/2016 del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositata

il 01/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

01/07/2020 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS.

 

Fatto

PREMESSO

Che:

1. O.R. proponeva ricorso al Giudice di Pace di Bologna avverso il verbale di accertamento n. (OMISSIS), emesso dalla Polizia stradale di (OMISSIS) per superamento dei limiti di velocità, anzitutto contestando che l’accertamento era stato posto in essere con il mezzo elettronico SICVE, noto come tutor, in assenza di periodici controlli di taratura e di funzionamento. Il Giudice di pace, con sentenza n. 24006/2009, rigettava la domanda e confermava il verbale opposto.

2. “Contro tale sentenza proponeva appello O.R..

Il Tribunale di Bologna, con sentenza 1 giugno 2016, n. 1424, rigettava l’appello, affermando che vi era la prova “dell’avvenuta regolare taratura degli strumenti rilevanti per la violazione” accertata nel procedimento, così che spettava al ricorrente – in adesione alla lettura del quadro normativo tracciata dalla Corte costituzionale – fornire specifica prova del cattivo funzionamento dell’apparecchiatura, specifica prova che egli non ha dato.

3. Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione O.R..

L’intimata Amministrazione dell’Interno – Polizia stradale non ha proposto difese.

Questa Corte, rilevato che il ricorso risultava notificato presso l’Avvocatura distrettuale anzichè presso l’Avvocatura generale, con ordinanza del 12 novembre 2019 ha disposto la rinnovazione della notificazione.

Il ricorrente, ha provveduto a rinnovare la notificazione nei termini; ha depositato due memorie, una anteriormente all’adunanza del 12 novembre 2019 e una anteriormente alla presente adunanza.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

I. Il ricorso è articolato in quattro motivi.

1) Il primo e il terzo motivo sono tra loro strettamente connessi:

a. Il primo motivo contesta “omesso esame e contraddittoria motivazione in relazione a un fatto controverso e decisivo per il giudizio ovvero il regolare funzionamento dell’autovelox”: il Tribunale di Bologna, a fronte della “reiterata doglianza riguardante l’omessa taratura dell’apparecchio SICVE utilizzato per elevare la contravvenzione”, ha respinto la doglianza, senza esaminare la “richiesta di taratura a cura di istituto certificato, limitandosi, senza motivazione, a ritenere sufficienti i rapporti di verifica dell’installazione”.

b. Il terzo motivo lamenta “violazione o, comunque, falsa applicazione della L. 11 agosto 1991, n. 273, dell’art. 4 del D.M. Infrastrutture e dei Trasporti, dipartimento per i trasporti terrestri, direttore generale motorizzazione n. 1123 del 16 maggio 2005 e ancora delle norme internazionali UNI 30012, UNI EN 10012 e delle raccomandazioni OIML D19 e D20, nelle quali è prevista la taratura periodica per le apparecchiature di rilevazione della velocità, art. 360 c.p.c., n. 3”: il Tribunale, anche se ha riconosciuto l’obbligo di taratura periodica per le apparecchiature di rilevazione della velocità, ha ritenuto soddisfatto tale obbligo mediante il “mero rapporto di verifica dell’installazione, illegittimamente prodotto agli atti”; i rapporti di verifica di installazione, se non emessi da centri accreditati ed aventi specifico riferimento alla taratura dell’apparecchio non possono essere equiparati alla richiesta necessaria taratura, così che la generica dicitura “si attesta la corretta installazione e il buon funzionamento” non è “affermazione idonea a fornire la piena prova circa il perfetto funzionamento dell’apparecchio utilizzato”.

I motivi non possono essere accolti. Il Tribunale di Bologna, rilevato che l’appellante ha contestato la legittimità dell’accertamento in quanto svolto col mezzo elettronico SICVE in assenza di periodici controlli di taratura e funzionamento e che l’appellato si è difeso nei due gradi di giudizio invocando la costante giurisprudenza di questa Corte, ha sottolineato il mutamento del quadro normativo posto in essere dal Giudice delle leggi. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 113 del 2015, ha infatti stabilito che il D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 45, comma 6 – come interpretato dalla consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione – è incostituzionale, in riferimento all’art. 3 Cost., nella parte in cui non prevede che tutte le apparecchiature impiegate nell’accertamento delle violazioni dei limiti di velocità siano, sottoposte a verifiche periodiche di funzionalità e di taratura. Il Tribunale, quindi, ha ritenuto – con accertamento in fatto insindacabile da questa Corte di legittimità – che nel caso in esame “l’avvenuta, regolare taratura degli strumenti rilevanti per la violazione” è stata provata, sulla base, dei rapporti di verifica delle due installazioni SICVE (le installazioni sono state verificate il (OMISSIS) e l’infrazione è stata accertata il (OMISSIS)). D’altro canto, una volta dimostrata “la custodia e la permanenza della funzionalità delle apparecchiature”, mediante la prova “di verifiche periodiche conformi alle relative specifiche tecniche” (ancora Corte Cost. n. 113/2015), non è l’amministrazione che deve “fornire la piena prova circa il perfetto funzionamento dell’apparecchio utilizzato” – come deduce O. – ma è il ricorrente contro l’applicazione della sanzione che deve dimostrare il cattivo funzionamento dell’apparecchiatura.

2) Il secondo motivo denuncia “violazione ed errata applicazione dell’art. 345 c.p.c., ovvero l’inammissibilità dei documenti ex adverso tardivamente prodotti solo in grado di appello”: in forza dell’art. 345 “novellato e applicabile al caso in esame” si avrebbe una “inammissibilità assoluta dei documenti ex adverso prodotti solo in grado di appello”; la L. n. 134 del 2012, di conversione del D.L. n. 83 del 2012, ha infatti espunto dal testo dell’articolo “la valutazione di indispensabilità dei nuovi mezzi di prova e dei nuovi documenti, ai fini della possibilità di una loro ammissione nel giudizio d’appello”. Il motivo non può essere accolto. Questa Corte ha infatti chiarito che la soppressione delle parole “che il collegio non li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa” ad opera del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. 0b, come convcrtito nella L. n. 134 del 2012, trova applicazione quando la sentenza conclusiva del giudizio di primo grado sia stata pubblicata dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della L. n. 134, ossia dal giorno 11 settembre 2012 (così Cass. 6590/2017 e Cass. 26552/2017) e non vale quindi nel caso in esame, in cui la sentenza di primo grado è stata resa nel 2009 (il riferimento operato dal ricorrente “ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto” è invece previsto dal comma 2 dell’art. 54 per le diverse disposizioni di cui alle lettere 0a, a, e, c-bis, d ed e del comma 1 del medesimo art. 54).

3) Il quarto motivo censura “violazione ed errata applicazione dell’art. 92 c.p.c.”, per non avere il Tribunale disposto la compensazione delle spese di lite a fronte della tardiva produzione dei documenti, prodotti solo in grado di appello, integrando tale tardiva produzione “quanto meno” i presupposti per la compensazione.

Il motivo non può essere accolto. La “facoltà di disporre la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione” (così, da ultimo, Cass. 11329/2019).

II. Il ricorso va quindi rigettato.

Nessuna statuizione deve essere adottata sulle spese, non avendo l’intimata svolto attività difensiva in questa sede.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dìun ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Sussistono, del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale della Sezione Seconda Civile, il 1 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2020

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