Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29092 del 05/12/2017


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Cassazione civile, sez. II, 05/12/2017, (ud. 27/06/2017, dep.05/12/2017),  n. 29092

Fatto

I FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Venezia, con sentenza del 20 giugno 2007, in parziale accoglimento della domanda avanzata da P.L., condannò P.G. a ripristinare una canaletta di scolo, posta lungo il muro perimetrale. Era, così rimasta disattesa la domanda principale, con la quale l’attore, premettendo che il fratello aveva, in sostituzione del precedente fabbricato, edificato un nuovo manufatto a distanza illegale, sia dall’edificio dell’attore che dal confine, tenendo conto della normativa locale vigente al tempo della nuova costruzione, aveva chiesto ripristino e risarcimento.

La Corte d’appello di Venezia, con sentenza del 24 maggio 2012, accolto l’appello principale, proposto da P.L., nonchè quello incidentale, promosso da P.G., in riforma della statuizione di primo grado, condannò ” P.G. ad abbattere la porzione del suo edificio ricavata mediante la sopraelevata di 80 cm, rispetto all’altezza originaria del preesistente edificio, sino a rispettare le distanze dal confine e dall’edificio collocato sul fondo del fratello prescritte dal regolamento edilizio Comune di Martellago”; rigettò, inoltre, la domanda di P.L. riguardante la canaletta di scolo.

Avverso la sentenza d’appello propone ricorso per cassazione P.L., illustrando tre motivi di censura. Resiste con controricorso P.G., in seno al quale svolge ricorso incidentale, articolato su due motivi. Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative all’approssimarsi dell’udienza di discussione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Per ragioni di comodità espositiva conviene prendere in esame unitariamente i tre motivi di censura prospettati dal ricorrente, stante la loro intima interconnessione.

P.L. deduce la violazione dell’art. 872 c.c., in relazione all’art. 22 dello strumento urbanistico locale, in correlazione con dell’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè vizio motivazionale che investe un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Questa, in sintesi, la prospettazione impugnatoria.

La Corte locale non aveva fatto corretta applicazione dei principi enunciati materia dal Giudice di legittimità: non si trattava di semplice ristrutturazione, ma di una vera e propria nuova costruzione e la constatazione dell’aumento di superficie e di volume era più che sufficiente a sorreggere il predetto assunto, senza che potesse assumere rilievo la circostanza che l’ampliamento dell’edificio si era sviluppato sul lato opposto rispetto al confine. Quindi, trattandosi di una nuova costruzione ne andava ordinata la demolizione per l’intero e non soltanto per la porzione che si sopraelevava rispetto all’edificio originario.

La nuova casa appariva visivamente più grande e non poteva assumere rilievo la circostanza che il volume urbanisticamente rilevante fosse diminuito. “Il CTU a pagina 4 della sua relazione (aveva rilevato) che il soffitto dell’ultimo piano, elemento in corrispondenza del quale termina il volume (urbanistico) dell’edificio che in origine coincideva con le due falde inclinate del tetto, era stato sostituito da un soffitto orizzontale collocato a quota media rispetto all’altezza della copertura originaria. La conseguenza, visivamente intuibile nell’elaborato grafico allegato, era stata che mentre la quota del soffitto in corrispondenza del colmo del tetto si era abbassata, giocoforza all’altezza dei fronti nord e sud (quest’ultimo prospettante sul lotto attoreo) era aumentata di circa 80 cm.”. Secondo l’insegnamento della Corte di legittimità, prosegue il ricorrente, “qualsiasi modificazione della volumetria di un fabbricato che comporti l’aumento della sagoma di ingombro, che incida direttamente sulla situazione di distanza dall’edificio esistente, indipendentemente dalla loro utilizzabilità ai fini abitativi, deve, in ciascun punto osservare rispetto al muro perimetrale dell’edificio confinante il distacco minimo prescritto dal codice civile o dalle norme dei regolamenti edilizi che ne abbiano portata integrativa”.

La Corte lagunare era incorsa, inoltre, in vizio motivazionale: non risultava che il Comune di Martellago avesse regolato ad hoc la materia delle distanze in presenza di radicale ristrutturazione con la realizzazione di nuovo edificio e, quindi, non poteva avere rilievo la circostanza che l’ampliamento avesse interessato la parte del fabbricato non a confine con la proprietà della ricorrente e doveva, quindi, tenersi conto della novità della costruzione nel suo complesso.

Il CTU aveva individuato nell’art. 22 del regolamento locale la disciplina delle distanze vigente al momento della ricostruzione, che fissava in 5 m il distacco dal confine e 10 m quello dai fabbricati.

Con due esposti motivi, osmotici fra loro, il ricorrente incidentale denunzia la violazione dell’art. 872 c.c., in relazione all’art. 22 dello strumento urbanistico locale; nonchè vizio motivazionale riguardante un punto controverso e decisivo della vicenda; nonchè infine violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3.

Il lieve innalzamento del tetto e l’implemento volumetrico fattuale non qualificavano l’intervento come di radicale ricostruzione, stante che il volume urbanisticamente rilevante, cioè quello utilizzabile a fini abitativi, era anzi diminuito e che, appunto, la stima di un implemento di volume di tal fatta avrebbe dovuto essere effettuata dal CTU, il quale invece, non lo aveva riscontrato. In ogni caso, osserva il controricorrente, si trattava di un modesto innalzamento “come tale compatibile con la nozione di ristrutturazione”.

Inoltre la motivazione si mostrava insufficiente, in quanto “il giudice (…) non individua neppure le distanze contenute nel regolamento edilizio del Comune di Martellago e che risulterebbero applicabili alla fattispecie in esame”.

Entrambi i ricorsi, la cui trattazione non può che essere contestuale, in quanto speculari, sono privi di fondamento.

Nell’ambito delle opere edilizie – anche alla luce dei criteri di cui alla L. 5 agosto 1978, n. 457, art. 31, comma 1, lett. d) – la semplice “ristrutturazione” si verifica ove gli interventi, comportando modificazioni esclusivamente interne, abbiano interessato un edificio del quale sussistano e rimangano inalterate le componenti essenziali, quali i muri perimetrali, le strutture orizzontali, la copertura, mentre è ravvisabile la “ricostruzione” allorchè dell’edificio preesistente siano venute meno, per evento naturale o per volontaria demolizione, dette componenti, e l’intervento si traduca nell’esatto ripristino delle stesse operato senza alcuna variazione rispetto alle originarie dimensioni dell’edificio, e, in particolare, senza aumenti della volumetria. In presenza di tali aumenti, si verte, invece, in ipotesi di “nuova costruzione”, come tale sottoposta alla disciplina in tema di distanze vigente al momento della medesima (S.U., n. 21578, 19/10/2011, Rv. 619608).

Si è, successivamente ulteriormente chiarito che la ristrutturazione edilizia mediante ricostruzione di un edificio preesistente venuto meno per evento naturale o per volontaria demolizione si attua, nel rispetto della L. n. 457 del 1978, art. 31, comma 1, lett. d), attraverso interventi che comportino modificazioni esclusivamente interne dell’edificio preesistente, senza aumenti di superficie o di volume, in presenza dei quali, invece, si configura una nuova costruzione, sottoposta alla disciplina in tema di distanze (vigente al momento della realizzazione dell’opera) e alla relativa tutela ripristinatoria, dovendosi escludere che i regolarmente locali possano incidere, anche solo indirettamente con la previsione di soglie massime di incremento edilizio, sulle nozioni normative di “ristrutturazione” e di “nuova costruzione” e sui rimedi esperibili nei rapporti tra privati (Se. 2, n. 17043, 20/8/2015, Rv. 636135).

Nel caso al vaglio, peraltro, non v’è evidenza che dimostri che il rialzo del sottotetto sia risultato funzionale all’allocazione d’impianti tecnologici non altrimenti situabili, unica ipotesi nella quale questa Corte ha reputato derogabile la regola (Sez. 2, n. 11049, 27/5/2016, Rv. 639946).

Va, tuttavia, considerato che la lesione resta circoscritta alla violazione della disciplina sulle distanze relativamente a quella parte del fabbricato ricostruito fuori sagoma, cioè esorbitando l’ingombro volumetrico del opera preesistente (Sez., 2, n. 472, 14/1/2016, Rv. 638211). Con la conseguenza che, salvo diversa ed espressa previsione dello strumento urbanistico, che qui non consta, la condanna al ripristino deve essere limitata alla predetta parte del manufatto.

Per completezza argomentativa non è superfluo evidenziare la diversità di ambito di tutela delle norme aventi sola valenza urbanistica rispetto a quelle integratrici del precetto codicistico sulle distanze.

Da una tale diversità deriva che in caso di violazione delle norme del regolamento edilizio locale disciplinanti solo l’altezza, in sè, degli edifici, ossia senza considerare la distanza intercorrente tra gli stessi, il privato ha diritto solo al risarcimento dei danni e non anche alla riduzione in pristino del manufatto, trattandosi di disposizioni che hanno quale scopo principale la tutela di interessi generali urbanistici, sicchè, quanto agli interessi dei privati, resta preservato il solo valore economico delle proprietà viciniori (Sez. 2, n. 10264, 18/5/2016, Rv. 640009).

Difatti, sono da ritenere integrative delle norme del codice civile solo le disposizioni dei regolamenti edilizi locali relative alla determinazione della distanza tra i fabbricati in rapporto all’altezza e che regolino con qualsiasi criterio o modalità la misura dello spazio che deve essere osservato tra le costruzioni, mentre le norme che, avendo come scopo principale la tutela d’interessi generali urbanistici, disciplinano solo l’altezza in sè degli edifici, senza nessun rapporto con le distanze intercorrenti tra gli stessi, tutelano, nell’ambito degli interessi privati, esclusivamente il valore economico della proprietà dei vicini; ne consegue che, mentre nel primo caso sussiste, in favore del danneggiato, il diritto alla riduzione in pristino, nel secondo è ammessa la sola tutela risarcitoria (Sez. 2, n. 1073, 16/01/2009, Rv. 606225).

Per converso, questa Corte ha chiarito che, in tema di distanze legali tra costruzioni, le prescrizioni contenute nei piani regolatori e nei regolamenti edilizi comunali, essendo dettate, contrariamente a quelle del codice civile, a tutela dell’interesse generale a un prefigurato modello urbanistico, non tollerano deroghe convenzionali da parte dei privati; tali deroghe, se concordate, sono invalide, nè tale invalidità può venire meno per l’avvenuto rilascio di concessione edilizia, poichè il singolo atto non può consentire la violazione dei principi generali dettati, una volta per tutte, con gli indicati strumenti urbanistici (Sez. 2, n. 9751, 23/4/2010, Rv. 612554).

La reciproca soccombenza giustifica la totale compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stati i ricorsi proposti successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte di entrambi i ricorrenti (principale e incidentale), a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

rigetta il ricorso principale e quello incidentale e compensa per intero fra le parti le spese legali del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte di entrambi i ricorrenti (principale e incidentale) dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 27 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2017

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