Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29078 del 18/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 18/12/2020, (ud. 08/10/2020, dep. 18/12/2020), n.29078

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Presidente –

Dott. BALSAMO Milena – rel. Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CAVALLARI Dario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31446-2018 proposto da:

COMUNE DI CONSELICE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

BORGOGNONA 47, presso lo studio dell’avvocato GIANLUCA BRANCADORO,

rappresentato e difeso dall’avvocato MARCO CONTARINI;

– ricorrente-

contro

G.L., GA.LI., G.S., G.F., in

qualità di eredi di G.G., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA CALABRIA 56, presso lo studio dell’avvocato LUCA PELLICELLI,

rappresentati e difesi dall’avvocato PAOLA SANTANDREA;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 882/2018 della COMM.TRIB.REG. di BOLOGNA,

depositata il 26/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

08/10/2020 dal Consigliere Dott.ssa BALSAMO MILENA.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. G.G. impugnava l’avviso di accertamento Ici, per il recupero della differenza di imposta, relativamente all’anno 2007, notificato dal Comune di Conselice, eccependo la irretroattività degli atti attributivi o modificativi delle rendite catastali per terreni o fabbricati, per essere efficaci solo a decorrere dalla loro notifica L. n. 344 del 2000, ex art. 74.

La CTP di Ravenna accoglieva il ricorso, con sentenza che veniva impugnata dall’amministrazione comunale.

La CTR dell’Emilia Romagna respingeva il gravame proposto dal comune, affermando la irretroattività della rendita proposta, con la procedura Docfa presentata nell’anno 2011 dal contribuente, ai sensi della citata L. n. 344 del 2000, art. 74.

Avverso la sentenza n. 882/2018, depositata il 26.03.2018, il Comune propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati nelle memorie difensive in prossimità dell’udienza.

Il contribuente resiste con controricorso, opponendo l’infondatezza del ricorso per cassazione.

Le parti hanno depositato memorie difensive.

Diritto

MOTIVI DI DIRITTO

2. Con i primi due motivi di ricorso, si denuncia violazione della L. n. 344 del 2000, art. 74, art. 360 c.p.c., n. 3, per avere i giudici territoriali erroneamente affermato la natura costitutiva della notificazibne della rendita catastale, inferendone la irretroattività; così disattendendo i principi affermati dalle S. U. cons sentenza n. 3160/2011 che, al contrario, hanno statuito che la L. 21 novembre 2000, n. 342, art. 74, comma 1, nel prevedere che, a decorrere dal 1 gennaio 2000, gli atti comunque attributivi o modificativi delle rendite catastali per terreni e fabbricati sono efficaci solo a decorrere dalla loro notificazione, va interpretato nel senso dell’impossibilità giuridica di utilizzare una rendita prima della sua notifica al fine di individuare la base imponibile dell’ICI, ma non esclude affatto l’utilizzabilità della rendita medesima, una volta notificata, a fini impositivi anche per annualità d’imposta “sospese”, ovverosia suscettibili di accertamento e/o di liquidazione e/o di rimborso.

3.Con l’ultima censura, che prospetta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, si deduce si deduce la nullità della sentenza per avere la CTR omesso di considerare le circostanze dedotte dall’ente locale, quale l’idoneità all’uso dell’immobile prima della presèntazione della Docfa, nonchè la preesistente suddivisione del cespite in due unità servite da due utenze diverse ed infine la perdita del carattere di ruralità già dall’anno 2005 (come emergerebbe dalla data di ultimazione dei lavori).

4. Preliminarmente va ritenuta l’inammissibilità, per violazione del principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione, dell’eccezione di giudicato interno, nei termini declinati da questa Corte fin dalla sentenza n. 5656/1986 (ed in seguito puntualizzati dalle S.U. 8077/2012; e prima da Cass. S.U. 20 giugno 2007, n. 14297; e Cass., S.U. 23 dicembre 2009, n. 27210; cfr. pure Cass. 18/10/2011 n. 21560, Cass.13/3/2009 n. 6184, Cass.30/4/2010 n. 10537) ed ora accolto nell’art. 366 c.p.c., n. 6 e nell’art. 369 c.p.c., n. 4; ed in base al quale il ricorrente per Cassazione che deduca un vizio di motivazione, ma anche una violazione o falsa applicazione di legge, ha l’onere di riprodurre in ricorso e di indicare – a pena di inammissibilità – in modo adeguato e specifico, gli atti e i documenti cui ha fatto riferimento nell’esporre la propria censura. Senza che sia possibile al giudice procedere ad integrazioni che vadano aldilà della semplice verifica delle deduzioni contenute nell’atto. Va infatti rilevato che il comune non ha trascritto nel controricorso nè la sentenza della CTP nè l’atto di appello, non consentendo a questa Corte di esaminare ex actis la veridicità, prima ancora che la fondatezza, delle censure sollevate in ricorso, e di verificare pertanto quale sia stata la domanda svolta dal Comune in sede di appello e quali siano state le effettive statuizioni del primo giudice che – secondo il contribuente – avrebbero avuto il valore di un giudicato implicito(v. Cass. 1212/2019, in motiv.)

Non è dato riscontrare, difatti, nella fattispecie scrutinata, il requisito della specificità e della completezza che consentono di assicurare al ricorso l’autonomia necessaria ad individuare, senza il sussidio di altre fonti, l’immediata e pronta risoluzione delle questioni da risolvere, non essendo la Corte di Cassazione tenuta a ricercare, al di fuori del contesto del ricorso, le ragioni che dovrebbero sostenerlo.

5.Le prime due censure sono prive di pregio.

Il disposto della citata L. n. 344 del 2000, art. 74 rileva sotto il profilo dell’efficacia della nuova rendita rettificata dall’Ufficio (v. Cass. n. 10126/2019, in motiv.)

L’efficacia della nuova rendita decorre dalla notifica degli atti attributivi o modificativi, ai sensi della L. n. 342 del 2000, art. 74, stante la loro natura dichiarativa e non costitutiva (S.U. n. 3160/2011).

Invero, la L. 21 novembre 2000, n. 342, art. 74, comma 1, nel prevedere che, a decorrere dal 1 gennaio 2000, gli atti comunque retributivi o modificativi delle rendite catastali per terreni e fabbricati sono efficaci solo a decorrere dalla loro notificazione, va interpretato nel senso dell’impossibilità giuridica di utilizzare una rendita prima della sua notifica al fine di individuare la base imponibile dell’Ici, ma non esclude affatto l’utilizzabilità della rendita medesima, una volta notificata, ai fini impositivi anche per annualità d’imposta sospese, ovverosia suscettibili di accertamento e/o liquidazione e/o di rimborso. Stabilendo, infatti, con la citata L. n. 342 del 2000, art. 74, che dal primo gennaio 2000 gli atti attributivi o modificativi delle rendite catastali sono efficaci solo a decorrere dalla loro notificazione, il legislatore non ha voluto restringere il potere di accertamento tributario al periodo successivo alla notificazione del classamento, ma piuttosto segnare il momento a partire dal quale l’amministrazione comunale può richiedere l’applicazione della nuova rendita ed il contribuente può tutelare le sue ragicsni contro di essa, non potendosi confondere l’efficacia della modifica della rendita catastale – coincidente con la notificazione dell’atto – con la sua “applicabilità” che va riferita invece all’epoca delta variazione materiale che ha portato alla modifica, risultante dalla data della denuncia del contribuente (Cass. n. 10312/2020; n. 22653 del 11/09/2019; Cass. n. 4613/2018; Cass., sez. 5, 26/10/2005, n. 20775; nonchè da Cass., sez. 5, 27/07/2012, n. 13443).

La decorrenza retroattiva, ai fini dell’adeguamento dell’imposta ICI, opera, dunque, dal momento della richiesta di attribuzione della rendita catastale attraverso la DOCFA, per i periodi successivi alla denuncia di variazione, a prescindere dall’epòca di notificazione o di definitiva attribuzione (Sul punto anche Cass. n. 16701/2007; n. 2017, n. 27024, in motiv; Cass. 7434/2014; SS. UU. 3160/2011; n. 9595/2016; n. 4613/2018; n..22653/2019, in motiv.).

Ne deriva che pur sussistendo il potere di accertamento anche per i periodi precedenti alla notifica, esso non può essere esercitato relativamente agli anni antecedenti la rettifica, non potendosi confondere l’efficacia della modifica con la sua applicabilità.

Secondo questo indirizzo di legittimità, nell’ipotesi di attribuzione di rendita mediante Docfa, il fatto che la situazione materiale denunciata risalga a data anteriore non ne giustifica un’applicazione retroattiva rispetto alla denuncia (così Cass. n. 16823/2017 in motiv; Cass. n. 16823/2017; n. 13018/2012; Cass. 17863/10; conf. Cass. 18023/04, 20854/04, 20734/06).

L’art. 5 cit., dunque,” trova applicazione anche quando il contribuente, ai fini della modifica della rendita catastale, per. variazioni della consistenza immobiliare, si avvalga della procedura DOCFA”; ma l’efficacia delle rendite decorre dalla data della denuncia, ciò in quanto il fatto che la situazione risalga a data anteriore non ne – giustifica un’applicazione retroattiva rispetto alla comunicazione effettuata all’Amministrazione. (cfr. Cass. n. 21331/2020; n. 22653/2019; Cass. 21670/2018Cass. n. 2017/2017; n. 4613/2018; n. 10312/2020, in motiv.).

A detta interpretazione giuridica, si oppone altro indirizzo di questa Corte secondo il quale, alla luce della regola generale ricavabile dal D.Lgs. 30 dicembre 1997, n. 504, art. 5, comma 2, le risultanze catastali divenute definitive per mancata impugnazione hanno efficacia a decorrere dall’anno d’imposta successivo a quello nel corso del quale sono state annotate negli atti catastali (cosiddetta messa in atti). Si è, in particolare, affermato che le variazioni delle risultanze catastali definitive, anche se sollecitate all’ufficio dal contribuente, non si sottraggono alla regola di carattere generale, funzionale alla natura della rendita catastale di presupposto per la determinazione e la riscossione dei redditi tassabili nei singoli periodi d’imposta, della loro efficacia a decorrere dall’anno. d’imposta successivo a quello nel corso del quale le modifiche medesime sono state annotate negli atti catastali – c.d. “messa in atti” -, ricavabile dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 2, (Cass. n. Cass. 22653/2019, in motiv; n. 15643/2019, in motiv; Cass. n. 6060/2017).

Il principio ritraibile dalla L. 21 novembre 2000, n. 342, art. 74, non modifica il predetto sistema, come, sia pur implicitamente, conferma il comma 3, laddove prevede il diritto al rimborso del D.Lgs. n. 504 del 1992, ex art. 13, correlandolo alla attribuzione della rendita.

Secondo tale interpretazione l’esigenza di tener contòclella capacità contributiva non esclude il potere discrezionale del legislatore di fissare un termine di efficacia uguale per tutti i contribuenti, ed è essa stessa espressione del principio di uguaglianza, in quanto l’applicazione di un termine differenziato nell’ipotesi di ricorso alla procedura DOCFA, comporterebbe una discriminazione fra contribuenti (Cass. 21310/10; in termini Cass. 3168/15; Cass. n. 17824 del 2017).

Ritiene questo collegio di aderire alla prima impostazione, secondo la quale “La regola generale ricavabile dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 2, secondo cui le risultane catastali divenute definitive per mancata impugnazione hanno efficacia a decorrere-dall’anno d’imposta successivo a quello nel corso del quale sono state annotate negli atti catastali, patisce eccezione solo se le variazioni costituiscano correzioni di errori materiali nel classamento che sostituiscono, ovvero conseguano a modificazioni della consistenza o della destinazione dell’immobile denunciate dallo stesso contribuente; esse, difatti, trovano applicazione dalla data della denuncia, ciò in quanto il fatto che la situazione risalga a data anteriore non ne giustifica un’applicazione retroattiva rispetto alla comunicazione effettuata all’Amminitrazione.” (Cass. ord. Cass. n. 1031272020, in motiv.; n. 7745/2019; n. 4971/2018 n. 17756/2018; n. 11844/17; n. 11846/2017; 13018/12, 17863/10, 18023/04).

Nel caso di specie, secondò i principi regolatori della materia, l’efficacia della variazione della rendita proposta, quand’anche conseguente a modificazione della consistenza e della destinazione dell’immobile oggetto di tassazione, decorre dalla data di presentazione (anno 2011) della DOCFA, non potendosi predicare la retroattività della rendita anche rispetto alle annualità pregresse (anno di imposta 2007), come preteso dall’amministrazione finanziaria (v. anche Cass.n. 17756/2018, in motiv.; v. Cass. n. 21760/2018; Cass. n. 11448/18; Cass. n. 4613/2018 in motiv; Cass. n. 3273/2019; 1172/2019).

La sentenza impugnata sebbene abbia giudicato in dissonanza con i principi di diritto affermati da questa Corte, ha correttamente respinto il gravame del Comune, con la conseguenza che il giudizio di legittimità va comunque definito, previa correzione ex art. 384 c.p.c. della motivazione assunta nella sentenza impugnata (dovendosi procedere alla sostituzione della

motivazione solo in diritto senza ulteriori indagini o valutazioni di fatto violazione del principio dispositivo: v. Cass. n. 20806 del 06/09/2017), con il principio di diritto affèrmato dalla giurisprudenza di questa Corte in materia, secondo la quale “In tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), la disciplina dettata dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 5, comma 2 – in base alla quale le variazioni delle risultanze catastali hanno efficacia, ai fini della determinazione della base imponibile, a decorrere dall’anno successivo a quello nel corso del quale sono state annotate negli atti catastali – patisce eccezione solo se le variazioni costituiscano correzioni di errori materiali nel classamento che sostituiscono, ovvero conseguano a modificazioni della consistenza o della destinazione dell’immobile denunciate dallo stesso contribuente”.

8.La terza censura è inammissibile.

Gli asseriti vizi motivazionali rilevano, ratione temporis, nei limiti della novella formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 10, n. 5, e nei termini enunciati dalle sezioni unite di questa Corte con la pronuncia n. 8053 del 7.4.2014. In quest’ottica si osserva quanto segue.

Da un canto, che è da escludere recisamente che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla stregua della pronuncia a sezioni unite testè menzionata, possa scorgersi in relazione alle motivazioni cui la CTR ha ancorato il suo dictum.

Segnatamente, con riferimento al paradigma della motivazione “apparente” che ricorre. allorquando il giudice di merito non procede ad una approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) – il giudice d’appello ha compiutamente esplicitato il proprio iter argomentativo. Dall’altro, la corte ha sicuramente disaminato il fatto storico dalle parti discusso, mentre l’omessa valutazione di allegazioni difensive, non censurabili sotto il profilo dell’omessa motivazione, risulta inammissibile per l’omessa trascrizione dell’atto di appello e, dunque, per difetto di specificità.

E tuttavia, d’altro canto, è inammissibile il motivo di ricorso che sollecita la revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito e perciò si risolve in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul “fatto”, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione (siccome già si riconosceva nel vigore dell’abrogato n. 5 del 10cp. dell’art. 360 c.p.c.: cfr. Cass. n, 10862/2018, in motiv; Cass., n. 7394/2010; Cass. n. 11789/2005). 9.11 ricorso va dunque respinto, con aggravio di spese.

P.Q.M.

La Corte:

– Rigetta il ricorso;

-condanna parte ricorrente alla refusione delle spese di lite sostenute dal contribuente che liquida in Euro 500,00, oltre rimborso forfettario ed accessori come per legge

– Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della-sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale della, quinta sezione civile, il 8 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2020

 

 

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