Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29074 del 18/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 18/12/2020, (ud. 06/10/2020, dep. 18/12/2020), n.29074

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 1181/2014 R.G. proposto da:

F.M., rappresentato e difeso dall’Avv. Loris Tosi e dall’Avv.

Giuseppe Marini, con domicilio eletto in Roma, via di Villa

Sacchetti, n. 9, presso lo studio di quest’ultimo;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, con sede in (OMISSIS), in persona del

Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei

Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

Agenzia delle entrate, Direzione provinciale di Venezia, in persona

del Direttore pro tempore;

– intimata –

e contro

Agenzia delle entrate, Direzione centrale di (OMISSIS), in persona

del Direttore pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del

Veneto, n. 55/29/13 depositata il 14 maggio 2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6 ottobre

2020 dal Consigliere Giuseppe Nicastro.

 

Fatto

RILEVATO

che:

l’Agenzia delle entrate notificò a F.M. – socio della cooperativa Fondamente Nuove ed esercente l’attività di servizio taxi e noleggio con conducente nelle acque della laguna di (OMISSIS) – un avviso di accertamento, relativo a IRPEF e IRAP per il periodo d’imposta 2006, con il quale, considerato, tra l’altro, che “il reddito dichiarato appariva incompatibile con le spese necessarie al mantenimento proprio e della famiglia”, che, “atteso il valore commerciale dell’imbarcazione ed il grosso valore della licenza (intorno ai 900.000 Euro.), andava considerato antieconomico l’esercizio di quell’attività con un reddito così basso”, che “l’attività (…) andava correlata alla crescita esponenziale delle presenze turistiche negli ultimi anni” e che “uno studio del Comune di (OMISSIS) aveva stimato in 211 milioni di lire il guadagno medio dei motoscafisti” (così la sentenza impugnata), rideterminò l’ammontare dei ricavi complessivi conseguiti dal contribuente in Euro 148.410,00, dei quali 72.082,00 contabilizzati dalla menzionata cooperativa ed Euro 76.328,00 attribuiti ad attività d’impresa che sarebbe stata svolta dal F. all’insaputa della stessa cooperativa;

dalla sentenza impugnata si evince che l’Agenzia delle entrate determinò l’ammontare dei ricavi complessivi nel seguente modo: anzitutto, muovendo dal rilievo che, dai dati raccolti presso la cooperativa Fondamente Nuove, risultava che il contribuente, nel 2006, aveva consumato 11.543 litri di carburante, calcolò che, con tale quantativo, considerando un consumo di 7 litri ora/motore (dato rilevato presso la Veneziana Motoscafi s.c.a.r.l.), il motoscafo del F. aveva navigato per 1.649 ore; in secondo luogo, considerò impiegate nel trasporto di clienti il 60% di tali ore, per un ammontare di 989 ore; in terzo luogo, considerando un introito di Euro 150 l’ora (corrispondente a tra viaggi al prezzo medio di Euro 50,00), determinò, appunto, l’ammontare dei ricavi complessivi in Euro 148.410,00 (Euro 150,00 x 989 ore);

l’avviso di accertamento fu impugnato davanti alla Commissione tributaria provinciale di Venezia (hinc anche: “CTP”) che accolse parzialmente il ricorso del contribuente, riducendo i ricavi complessivi accertati a Euro 129,800,00 (in particolare, avendo ritenuto che il consumo di carburante del motore del motoscafo del contribuente fosse di 8 litri ora/motore e non di 7 litri ora/motore);

avverso tale pronuncia, F.M. propose appello alla Commissione tributaria regionale del Veneto (hinc anche: “CTR”), che lo rigettò motivando, tra l’altro, che: a) premesso che “il primo Giudice ha rigettato la domanda di riconoscimento dei maggiori costi perchè il contribuente non ha mai certificato tali maggiori costi” e “ha poi rigettato l’eccezione di mancanza di prova avendo verificato che l’accertamento era fondato su elementi oggettivi, in parte esposti o comunque deducibili da quanto esposto nella dichiarazione dei redditi da parte del contribuente (consumo carburanti, ecc.) ed in parte rilevati da fonti ufficiali attendibili (presenza di turisti, tempo di impiego di singole corse, tariffari, valore della licenza) e da idonea documentazione allegata al verbale di accertamento”, “(n)ei riguardi di tali elementi, al di là della pura e semplice censura, il contribuente non aveva prodotto e non produce neppure ora alcun elemento di contrasto”; b) “la sentenza impugnata dà conto della legittimità dell’accertamento, sia alla luce delle obiettive circostanze indicate nel provvedimento di accertamento del reddito d’impresa sia con riguardo alle spese di mantenimento della famiglia sia infine in riferimento agli elementi assunti a base del giudizio di antieconomicità dell’attività, e della piena attendibilità della ricostruzione fatta dall’Ufficio perchè si basa sulla giornate lavorative dichiarate, sul numero di viaggi ragionevolmente eseguiti durante il servizio, sul complessivo consumo di carburante, sulle ore di lavoro, sul tariffario, ecc.”; c) “(q)uanto (…) al giudizio di antieconomicità dell’attività, lo stesso si basa sul fatto del reddito dichiarato molto basso in relazione alle ore lavorate, sul valore della licenza e sul valore del motoscafo; di qui la piena legittimazione dell’Ufficio, presumendo maggiori ricavi, di ricorrere all’accertamento D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 41, con inversione dell’onere della prova”; d) “(i)l Collegio deve poi rilevare che è inverosimile e quindi inattendibile quanto dichiarato dal contribuente riguardo al numero delle corse: solo per tre giorni alla settimana; attesa la circostanza, anche sopra evidenziata, del notevole aumento del numero dei turisti e quella della diminuzione del numero delle licenze per il trasporto acqueo, non è credibile quanto dichiara il contribuente”; e) “con riferimento ai consumi medi di carburante, calcolati dall’Ufficio in litri 7/h e rideterminati dal Giudice di primo grado in litri 8/h, osserva (…) che tale consumo è stato accertato dall’Ufficio dal dato tecnico presso la Veneziana Motoscafi, per cui lo stesso appare del tutto attendibile; peraltro, tenuto conto che l’Ufficio non ha svolto sul punto appello incidentale, va mantenuto il calcolo effettuato dal primo Giudice”;

avverso tale sentenza della CTR – depositata in segreteria il 14 maggio 2013 – ricorre per cassazione F.M., che affida il proprio ricorso, notificato il 27 dicembre 2013, a sei motivi;

l’Agenzia delle entrate, con sede in Roma, resiste con controricorso;

l’Agenzia delle entrate, Direzione provinciale di Venezia e l’Agenzia delle entrate, Direzione centrale di Roma, non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione del combinato disposto del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 33, comma 1, e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 52, nonchè della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, comma 1, e art. 12, commi 4 e 7, atteso che, premesso che dall’avviso di accertamento impugnato risulta che l’Agenzia delle entrate, prima di emetterlo, “ha posto in essere un’attività di verifica sia nei confronti del ricorrente sia nei confronti della Cooperativa presso cui questi lavorava” e che, sia nel ricorso introduttivo sia nel ricorso in appello (censurando la sentenza della CTP), aveva eccepito l’illegittimità dello stesso avviso “per illegittimità dell’attività istruttoria, dal momento che questa si è conclusa senza la redazione del processo verbale di constatazione (…) e senza quindi la possibilità di instaurare un contraddittorio preventivo rispetto all’emissione dell’atto impositivo”, la CTR, non pronunciandosi (come già la CTP) su tale eccezione, ha violato le suddette invocate disposizioni, le quali “preved(ono) che le operazioni di verifica si debbano concludere con la redazione di un verbale, che tale verbale debba riportare le osservazioni e i rilievi del contribuente e che l’avviso di accertamento non possa essere emanato prima del decorso di sessanta giorni dal rilascio del verbale”;

con il secondo motivo, il ricorrente, fatte le stesse premesse di cui al primo motivo, denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), la nullità della sentenza per violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, stabilito dall’art. 112 cit. codice, per avere la CTR omesso di pronunciarsi “sull’eccezione di illegittimità dell’accertamento per illegittimità dell’attività istruttoria, dal momento che la verifica si è conclusa senza la redazione del P.V.C. e senza quindi la possibilità di instaurare il contraddittorio preventivo prima dell’emissione dell’accertamento”;

con il terzo motivo, il ricorrente, ribadite, ancora una volta, le premesse di cui al primo e al secondo motivo, denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l'”omessa motivazione” o, “nella (…) ipotesi in cui ritenga applicabile anche ai giudizi tributari la novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, art. 54″, l'”omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, in quanto la CTR “non si è pronunciata sull’eccezione di illegittimità dell’accertamento per illegittimità dell’attività istruttoria, dal momento che la verifica si è conclusa senza la redazione del P,V.C. e senza quindi la possibilità di instaurare il contraddittorio preventivo prima dell’emissione dell’accertamento”;

con il quarto motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), “nella versione antecedente alle modifiche introdotte dal D.L. n. 83 del 2012, non applicabili al processo tributario per espressa previsione del medesimo D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3-bis,”, l'”insufficienza della motivazione circa il fatto (punto decisivo della controversia prospettato dalle parti nei gradi di merito) che l’ufficio non ha provato gli elementi mediante i quali ha ricostruito i presunti ricavi”, in particolare, gli elementi relativi al consumo orario di carburante del motoscafo del contribuente e all’introito orario da questi incassato;

con il quinto motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), “nella formulazione modificata dal D.L. n. 83 del 2012″, l'”omesso esame circa il fatto (decisivo per il giudizio e che è stato oggetto di discussione fra le parti) che l’ufficio abbia provato gli elementi mediante i quali ha ricostruito il reddito”, in particolare, gli elementi relativi al consumo orario di carburante del motoscafo del contribuente e all’introito orario da questi incassato, non avendo la CTR “dato conto di avere esaminato le massime di esperienza” che: “la dichiarazione dei redditi non contiene elementi atti a indicare nè il consumo orario nè l’incasso orario”; “le presunte “fonti ufficiali” (cui la sentenza impugnata fa riferimento a proposito di “presenza di turisti, tempo di impiego di singole corse, tariffari, valore della licenza”) possono al più esporre medie o indicare dati generali di una certa categoria, ma non riportano sicuramente i dati relativi al consumo e all’incasso orario di un singolo contribuente”; “ogni imbarcazione ha un consumo orario differente e ogni tassista/conducente di barche a noleggio è in grado di contrattare prezzi orari differenti”;

con il sesto motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione dell’art. 53 Cost., e la falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 109, comma 4, perchè, premesso che l’Agenzia delle entrate aveva effettuato l’accertamento con il metodo induttivo, la CTR, affermando che “il primo Giudice ha rigettato la domanda di riconoscimento dei maggiori costi perchè il contribuente non ha mai certificato tali maggiori costi” e che “(n)ei riguardi di tal(e) element(o), al di là della pura e semplice censura, il contribuente non aveva prodotto e non produce neppure ora alcun elemento di contrasto”, “non (ha) riconosc(iuto) la deduzione forfettaria dei costi” correlati ai maggiori ricavi accertati;

quanto al primo, al secondo e al terzo motivo – i quali, per la loro stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente – va anzitutto esaminata l’eccezione con cui l’Agenzia delle entrate ne ha eccepito l’inammissibilità “in quanto diretti ad evidenziare l’esistenza di asseriti vizi di legittimità dell’avviso di accertamento formulati per la prima volta in sede di legittimità”;

l’eccezione è fondata;

tutti e tre i suddetti motivi muovono dal comune assunto che la CTR avrebbe omesso di pronunciarsi sull’eccezione di illeggittimità dell’avviso di accertamento impugnato – che sarebbe stata prospettata sia nel ricorso introduttivo sia nel ricorso in appello – “per illegittimità dell’attività istruttoria, dal momento che la verifica si è conclusa senza la redazione del P.V.C. e senza quindi la possibilità di instaurare il contraddittorio preventivo prima dell’emissione dell’accertamento” (con le conseguenti denunciate: violazione del combinato disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, comma 1, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, nonchè della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 1, e art. 12, commi 4 e 7, primo motivo; violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c., secondo motivo; “omessa motivazione” o “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, terzo motivo);

la sentenza impugnata non fa menzione della suddetta eccezione;

nel ricorso, il ricorrente ha indicato di averla prospettata: nel ricorso introduttivo, alla pag. 10 (recte: 11), là dove eccepì “violazione di legge Manca il PVC”, e alla pag. 12, là dove eccepì “carenza di contraddittorio e difetto di motivazione. Il ricorrente per il tramite del suo difensore ha prodotto, in carenza dell’attività dell’ufficio, al fine di instaurare il contraddittorio istanza di accertamento con adesione con lo scopo ultimo di evitare il contenzioso”; nel ricorso in appello, alla pag. 18, là dove eccepì “premesso che manca il p.v.c. e che non è mai stata svolta alcuna indagine, resta da chiarire a quali documenti si riferisce la sentenza visto che nessuno dei documenti che si citano fanno parte del processo”;

dalla lettura diretta degli indicati atti del giudizio di merito, risulta peraltro che il ricorrente dedusse esattamente: a) nel ricorso introduttivo: alla pag. 11, “violazione di legge Manca il PVC e di conseguenza siamo in presenza di un accertamento ex officio ammesso però solo quando concorrono le fattispecie indicate nell’art. 41, (del D.P.R. n. 600 del 1973), (…) nessuna attività ai sensi dell’art. 32 (del D.P.R. n. 600 del 1973) nè ai sensi dell’art. 52, (del D.P.R. n. 633 del 1972), è mai stata svolta mancando il pvc che conclude l’esecuzione della verifica fiscale (…) Nessuna di queste attività prodromiche alla rettifica della dichiarazione dei redditi è stata posta in essere con la conseguenza che le prove da gravi precise e concordanti devono essere derubricate a semplicissime ma assunte in assenza dei presupposti di legge che ne consentono l’utilizzo”; alla pag. 12, “carenza di contraddittorio e difetto di motivazione. Il ricorrente per il tramite del suo difensore ha prodotto, in carenza dell’attività dell’ufficio, al fine di instaurare il contraddittorio istanza di accertamento con adesione con lo scopo ultimo di evitare il contenzioso. Tuttavia l’ufficio in prima istanza non ha risposto alle dettagliate controdeduzioni elaborate mantenendo ferma la propria linea accusatoria”; b) nel ricorso in appello, alla pag. 18, “premesso che manca il p.v.c. e che non è mai stata svolta alcuna indagine, resta da chiarire a quali documenti si riferisce la sentenza visto che nessuno dei documenti che si citano fanno parte del processo”;

dai passi appena citati, emerge dunque che il ricorrente, in realtà, non eccepì l’illegittimità dell’avviso di accertamento impugnato per illegittimità dell’attività istruttoria perchè la verifica si era conclusa senza la redazione del processo verbale e il rilascio di una copia di esso, ma: alla pag. 11 del ricorso introduttivo, eccepì l’assenza dei presupposti dell’accertamento d’ufficio, di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41, e, quindi, per il correlato (asserito) ricorso a presunzioni cosiddette semplicissime; alla pag. 12 del ricorso introduttivo, eccepì asserite carenze del procedimento di accertamento con adesione; alla pag. 18 del ricorso in appello, si limitò a premettere, incidentalmente, la mancanza del processo verbale nell’ambito di una doglianza relativa all’impossibilità di individuare i documenti cui faceva riferimento la sentenza della CTP;

la questione dell’illegittimità dell’avviso di accertamento “per illegittimità dell’attività istruttoria, dal momento che la verifica si è conclusa senza la redazione del P.V.C. e senza quindi la possibilità di instaurare il contraddittorio preventivo prima dell’emissione dell’accertamento”, oggetto delle denunciate violazioni di legge (primo motivo), omessa pronuncia (secondo motivo) e omessa motivazione o omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (terzo motivo) è, pertanto, del tutto nuova, con la conseguente inammissibilità dei tre motivi;

il quarto motivo è inammissibile;

l’inammissibilità consegue al fatto che tale motivo è stato proposto e formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nella versione anteriore alla sostituzione di tale numero operata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134;

le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che “(l)e disposizioni sul ricorso per cassazione, di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, circa il vizio denunciabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (…), si applicano anche al ricorso avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale, atteso che il giudizio di legittimità in materia tributaria, alla luce del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62, non ha connotazioni di specialità. Ne consegue che il D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3-bis, quando stabilisce che “le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano al processo tributario di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546″, si riferisce esclusivamente alle disposizioni sull’appello, limitandosi a preservare la specialità del giudizio tributario di merito” (Cass., S.U., 07/04/2014, n. 8053 e n. 8054);

all’impugnata sentenza della CTR, depositata il 14 maggio 2013 (quindi dopo il trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore, il 12 agosto 2012, della legge di conversione del D.L. n. 83 del 2012; lo stesso decreto, art. 54, comma 3, che regola l’applicazione nel tempo della novella di cui al suo comma 1, lett. b), si applica, pertanto, il “nuovo” art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), il quale non prevede più, quale vizio motivazionale, la denunciata “insufficienza della motivazione circa (un) fatto (punto decisivo della controversia prospettato dalle parti nei gradi merito)” ma “l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”;

da ciò discende l’inammissibilità del motivo in esame, in quanto proposto e formulato dal ricorrente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nella precedente versione di tale numero, non applicabile al giudizio;

il quinto motivo è inammissibile;

Cass., S.U., n. 8053 e n. 8054 del 2014 hanno altresì chiarito che il “nuovo” art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), come sostituito dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia) e che, pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (nello stesso senso, successivamente, tra le tante, Cass., 27/11/2014, n. 25216, 11/04/2017, n. 9253, 29/10/2018, n. 27415);

nella specie, il ricorrente, pur denunciando l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, secondo la “nuova” formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), non lamenta, in realtà, l’omesso esame di fatti storici, ma denuncia, da un lato, l’erronea valutazione della dichiarazione dei redditi (in quanto “non contiene elementi atti a indicare nè il consumo orario nè l’incasso orario”) e delle “fonti ufficiali” cui fa riferimento la sentenza impugnata (in quanto “possono al più esporre medie o indicare dati generali di una certa categoria, ma non riportano sicuramente i dati relativi al consumo e all’incasso orario di un singolo contribuente”) e, dall’altro lato, l’omessa considerazione dell’argomentazione o deduzione difensiva secondo cui “ogni imbarcazione ha un consumo orario differente e ogni tassista/conducente di barche a noleggio è in grado di contrattare prezzi orari differenti”, con riguardo alla prova di due fatti – il consumo orario di carburante del motoscafo del contribuente e l’introito orario da questi incassato – che, come risulta dalla sentenza impugnata, la CTR ha senza meno preso in considerazione;

pertanto, alla luce dei ricordati principi, affermati da Cass., S.U., n. 8053 e n. 8054 del 2014 e, successivamente, tra le altre, da Cass., n. 25216 del 2014, n. 9253 del 2017 e n. 27415 del 2018, il motivo in esame, lamentando l’erronea valutazione di atti o di elementi istruttori o l’omessa considerazione di un’argomentazione o deduzione difensiva con riguardo a fatti storici comunque presi in considerazione dal giudice – ancorchè, in ipotesi, non dando conto di tutte le risultanze probatorie o valutando erroneamente le stesse – non corrisponde al paradigma delineato dall’invocato “nuovo” art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5);

lo stesso motivo deve, perciò, essere dichiarato inammissibile;

anche il sesto motivo è inammissibile;

questa Corte ha affermato il principio di diritto secondo cui, “(i)n tema di accertamento induttivo cd. puro, l’Amministrazione finanziaria deve ricostruire il reddito del contribuente tenendo conto anche delle componenti negative emerse dagli accertamenti compiuti ovvero, in difetto, determinate induttivamente, al fine di evitare che, in contrasto con il principio della capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost., venga sottoposto a tassazione il profitto lordo, anzichè quello netto” (Cass., 23/10/2018, n. 26748; nello stesso senso, Cass., 19/02/2009, n. 3995, 10/02/2006, n. 2946);

la CTR, disconoscendo la deducibilità dei costi correlati ai maggiori ricavi accertati con la motivazione che “il primo Giudice ha rigettato la domanda di riconoscimento dei maggiori costi perchè il contribuente non ha mai certificato tali maggiori costi” e che “(n)ei riguardi di tal(e) element(o), al di là della pura e semplice censura, il contribuente non aveva prodotto e non produce neppure ora alcun elemento di contrasto”, ha implicitamente negato che l’accertamento impugnato fosse di tipo induttivo cosiddetto puro, considerandolo invece, evidentemente, di tipo analitico-induttivo;

da ciò consegue che la censura del ricorrente, in quanto necessariamente primariamente incentrata sull’asserita erronea qualificazione, da parte della CTR, del metodo di determinazione del reddito (analitico- induttivo anzichè induttivo puro) che risultava dall’esame dell’avviso di accertamento impugnato, doveva essere supportata dalla specifica indicazione dei punti di tale avviso la cui considerazione sia ritenuta determinante ai fini della qualificazione come induttivo del suddetto metodo, non potendosi demandare a questa Corte il compito di procedere a un’autonoma individuazione degli stessi;

il ricorrente non ha compiutamente ottemperato a tale onere, atteso che, pur avendo riportato ampi stralci dell’avviso di accertamento impugnato, non ha adeguatamente specificato i punti dello stesso avviso all’esito del cui esame questa Corte, nell’esercizio dei propri poteri ex officio, avrebbe dovuto pervenire all’invocata corretta qualificazione giuridica del metodo di determinazione del reddito in concreto utilizzato dall’Ufficio;

le allegazioni contenute al riguardo nel ricorso risultano, perciò, insufficienti a sostenere autonomamente la censura avanzata;

il motivo in esame deve pertanto essere dichiarato inammissibile per difetto di specificità e autosufficienza;

in conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., comma 1, e sono liquidate come indicato in dispositivo.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia delle entrate, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in 5.600,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2020

 

 

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