Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29070 del 18/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 18/12/2020, (ud. 10/09/2020, dep. 18/12/2020), n.29070

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – rel. Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 335-2017 proposto da:

COSTRUZIONI GENERALI SRL, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

DEL VIGNOLA 5, presso lo studio dell’avvocato LIVIA RANUZZI,

rappresentata e difesa dall’avvocato LUIGI QUERCIA;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1356/2016 della COMM. TRIB. REG. di BARI,

depositata il 30/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/09/2020 dal Consigliere Dott. VENEGONI ANDREA.

 

Fatto

RITENUTO

CHE:

La società Costruzioni Generali srl, con sede in Bari, a seguito di verifica fiscale condotta dalla Direzione Regionale della Puglia dell’Agenzia delle Entrate, da cui derivava processo verbale di constatazione, riceveva cinque avvisi di accertamento, relativi rispettivamente agli anni 2007, 2008, 2009, 2010 e 2011, con cui, ai fini ires, previa qualificazione, sulla base di una valutazione di antieconomicità, quale mero prestito alla promittente venditrice, del contratto preliminare di acquisto da parte della società del 99,5% delle quote di partecipazione nella società SELP srl, per Euro 14.600.000, recuperava a tassazione gli interessi attivi sulla somma versata a titolo di acconto, maturati per gli anni suddetti.

La società impugnava, con atti separati ma contestuali, i primi quattro avvisi di accertamento (anni 2007 – 2010) davanti alla CTP di Bari, che riuniva i ricorsi e li rigettava. Il ricorso relativo all’anno 2011, depositato non contestualmente ai primi quattro, veniva invece trattato separatamente e veniva accolto.

La società proponeva appello contro la sentenza relativa alle prime quattro annualità 2007-2010, e l’ufficio proponeva a sua volta appello contro la sentenza relativa all’anno 2011.

Riuniti tutti i ricorsi, la CTR della Puglia rigettava l’appello della società ed accoglieva quello dell’ufficio relativo all’anno 2011.

Per la cassazione di questa sentenza ricorre a questa Corte la società contribuente sulla base di otto motivi.

Si costituisce l’ufficio con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

Con il primo motivo la società deduce nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione del D.L. n. 185 del 2008, art. 27, commi da 9 a 15, convertito con modificazioni, dalla L. n. 2 del 2009. Incompetenza della Direzione regionale della Puglia ad effettuare accessi, ispezioni e verifiche; denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La sentenza ha errato a considerare la Direzione Regionale della Puglia legittimata a condurre la verifica fiscale, atteso che la società non ricadeva nella categoria “grandi contribuenti” (contribuenti con ricavi non inferiori a 100 milioni di Euro) e la competenza spettava all’ufficio locale dell’Agenzia delle Entrate.

Il motivo è infondato.

Secondo il D.L. n. 185 del 2008, art. 27, comma 13:

Ferme restando le previsioni di cui ai commi da 9 a 12, a decorrere dal 1 gennaio 2009, per i contribuenti con volume d’affari, ricavi o compensi non inferiore a cento milioni di Euro, le attribuzioni ed i poteri previsti dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 31 e ss. nonchè quelli previsti dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 51 e ss. sono demandati alle strutture individuate con il regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle entrate di cui al D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, art. 71.

Il regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle Entrate, all’art. 4, comma 3, afferma:

Gli organi di cui al comma 1 (tra i quali le direzioni regionali) esercitano, nell’ambito della rispettiva regione o provincia, funzioni di programmazione, indirizzo, coordinamento e controllo nei confronti degli uffici, curano i rapporti con gli enti pubblici locali e svolgono attività operative di particolare rilevanza nei settori della gestione dei tributi, dell’accertamento, della riscossione e del contenzioso, e in specie, a decorrere dal 1^ gennaio 2009, quelle di cui al D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 27, commi 9, 11, 12 e 14, convertito, con modificazioni, dalla L. 28 gennaio 2009, n. 2, con le attribuzioni e i poteri di cui al comma 13 del medesimo articolo nei confronti dei soggetti con volume d’affari, ricavi o compensi non inferiori a cento milioni di Euro.

Questa Corte (sez. V, n. 33289 del 2018, Rv. 652121-01) ha avuto modo di affermare che:

In tema di accertamenti tributari, il D.L. n. 185 del 2008, art. 27, conv. in L. n. 2 del 2009, non ha attribuito alle Direzioni regionali delle entrate una competenza in materia di accertamento fiscale prima inesistente, ma ha inteso fondare su una norma di fonte primaria il riparto delle competenze relative all’attività di verifica fiscale, istituendo una riserva esclusiva di competenza, in relazione alla rilevanza economico fiscale del soggetto accertato, a favore della Direzione regionale, già titolare, per disposizione regolamentare, della competenza a svolgere attività istruttoria, utilizzabile dalle Direzioni provinciali ai fini della emissione degli atti impositivi.

Peraltro, il presente motivo non eccepisce che la direzione regionale abbia condotto una verifica ante 2009 senza averne il potere, nè si versa nell’ipotesi in cui la verifica contro un “grande contribuente” sia stata compiuta da ufficio diverso dalla Direzione Regionale, ma ci si duole della situazione opposta, cioè del fatto che la Direzione regionale abbia effettuato una verifica, successiva al 2009 contro un soggetto che non rientrava nella sua competenza perchè non era “grande contribuente”.

In sostanza, l’atto sarebbe viziato da una sorta di incompetenza “per materia” o “per valore”, o, per meglio dire, da una violazione delle regole interne dell’Agenzia di ripartizione dei compiti.

In questo senso, sez. V, n. 20915 del 2014, all’esito di una approfondita ricognizione della normativa in materia, ha affermato che:

Alle Direzioni regionali delle entrate (DRE) deve riconoscersi pertanto, per disposizione regolamentare, la competenza a svolgere anche attività istruttoria (ispezioni, accessi, controlli, acquisizione informazioni e documenti, redazione dei relativi processi verbali) i cui risultati potranno essere utilizzati dalle Direzioni provinciali ai fini della emissione degli atti impositivi”, da cui si deduce che la DRE, nel cui ambito rientra l’ufficio “grandi contribuenti” può compiere accertamenti relativi a soggetti che rientrerebbero nella competenza della Direzione Provinciale.

Inoltre, a differenza, quindi, di quanto affermato, in epoca peraltro non recente, da sez. V n. 5826 del 1994 in materia di incompetenza per territorio, nel caso di specie la dedotta incompetenza non avrebbe neppure effetto sull’individuazione del giudice naturale, che resta in ogni caso la CTP di Bari, quindi si tratterebbe, comunque, di una violazione che non ha alcun riflesso dal punto di vista processuale.

Questa considerazione, unita a quella per cui non è sancita alcuna nullità in caso di verifica condotta da una direzione regionale in luogo di quella provinciale, portano a ritenere il motivo infondato.

Con il secondo motivo deduce nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12. Denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La CTR ha errato a ritenere validi gli ‘avvisi, laddove l’ufficio non aveva esplicitato la ragione della verifica iniziale.

Il motivo è infondato.

Sul tema, questa Corte (sez. V ord. n. 28692 del 2018) ha affermato:

In tema di accertamento, ove non siano state indicate al contribuente, in sede di verifica, le specifiche ragioni per le quali la stessa è iniziata, motivando gli accessi con generici riferimenti agli indirizzi di programma annuali ovvero al settore economico di particolare interesse, non si configura la nullità dell’atto impositivo per violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 2, atteso che, non essendo tale sanzione espressamente prevista dalla legge, è onere del contribuente dedurre e dimostrare il concreto pregiudizio derivato alla sua difesa dalla denunciata violazione.

La recentissima pronuncia della sez. V n. 1299 del 2020, dopo avere ricordato che:

già questa Suprema Corte ha statuito come in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’inosservanza della L. 20 luglio 2000, n. 212, art. 12, commi 1 e 3, funzionali ad assicurare un’equilibrata composizione delle contrapposte esigenze delle parti nell’espletamento della verifica, garantendo, da un lato, la necessaria efficacia all’attività ispettiva dell’ufficio, e assicurando, dall’altro, la tutela dei diritti del contribuente sia come persona sia come soggetto economico, possa determinare, pur in assenza di espressa previsione, la nullità del provvedimento impositivo solo qualora i verbalizzanti abbiano eseguito un accesso nei locali della impresa in difetto delle indicate esigenze di ricerca e rilevazione in loco e, dunque, non anche nell’ipotesi di verifica condotta in luoghi diversi, e cita sez. V, n. 28390/2013);

ha poi proseguito:

Altresì, si è precisato che in materia di garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’inosservanza degli obblighi informativi determina la nullità degli atti della procedura nei casi in cui l’effetto invalidante sia espressamente previsto dalla legge, mentre, negli altri casi, occorre valutare, anche alla luce dell’interpretazione offerta dalla giurisprudenza Europea che impone di verificare se la prescrizione normativa si riferisca ad una formalità o circostanza essenziale per il raggiungimento dello scopo cui l’atto è preordinato, se la violazione di legge abbia comportato la mera irregolarità dell’atto (o della procedura) ovvero sia idonea a determinare l’invalidità dello stesso.

Nel caso di specie, l’effetto pregiudizievole della asserita mancata informazione non è esplicitato.

Oltretutto, va anche osservato che, secondo quanto il ricorrente riporta a pag. 23 del ricorso, è pacifico che, nella specie, una motivazione nell’autorizzazione all’accesso per la verifica era presente: “al fine di controllare l’adempimento delle disposizioni contemplate dalla normativa fiscale in materia di imposte sui redditi, iva e irap”, quindi, piuttosto, la doglianza dovrebbe essere interpretata come relativa alla genericità dell’indicazione delle ragioni. Certo, “mancanza” può essere intesa come eccessiva genericità, ma nessuna norma prescrive, a questo riguardo, quanto dettagliata debba essere l’informativa, mentre comunicare che l’accesso è compiuto per verificare l’adempimento delle normative fiscali costituisce già, di per sè, una informazione.

Con il terzo motivo deduce nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 347 c.p.p. Denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La CTR ha errato a ritenere non sussistente la violazione dell’obbligo di comunicazione della notitia criminis alla Procura da parte della Direzione regionale, in modo da consentire al contribuente l’esercizio del diritto di difesa

Il motivo è infondato.

Se con esso, infatti, il contribuente lamenta, come sembra, che, essendo emersi nel corso della verifica elementi di reità, i verificatori dovevano informare subito il pubblico ministero e proseguire l’accertamento con le garanzie del processo penale, questa osservazione rileva per l’eventuale procedimento penale che avrebbe dovuto iniziare; il concetto è quello espresso anche dall’art. 220 disp. att. c.p.p., ma con riferimento al procedimento penale. Il processo tributario, invece, prosegue con le garanzie proprie dello stesso. In altre parole, sembra quasi che il contribuente invochi nel processo tributario le garanzie del processo penale, mentre i due procedimenti restano distinti. Oltretutto, non specifica quali sarebbero le garanzie di cui non ha potuto usufruire.

Con il quarto motivo deduce nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 2, e dell’art. 112 c.p.c. Denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4.

L’eccezione dell’agenzia secondo cui, con il pagamento di tale acquisto, la società aveva svuotato il suo patrimonio in un momento in cui soffriva di vistose esposizioni bancarie era nuova, perchè introdotta solo in appello, e doveva essere dichiarata inammissibile.

Con il quinto motivo la società deduce nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. Denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4.

L’eccezione delle esposizioni bancarie era stata introdotta solo nel giudizio relativo all’anno 2011, ma è stata utilizzata dalla CTR anche decidere la causa sugli anni 2007-2010 in cui non era mai stata dedotta.

I due motivi possono essere trattati congiuntamente, e sono infondati.

L’antieconomicità dell’operazione è sempre stata dedotta dall’ufficio fin dall’avviso di accertamento sia per gli anni 2007-10 che relatiVamente al 2011 (pag. 4 ricorso) in cui si è evidenziata l’anomalia dell’operazione nei seguenti termini:

– pagamento di 14 milioni al preliminare in due mesi, e solo 600.000 Euro al saldo,

– tale importo rappresenta il 66% del fatturato della società verificata,

– operazione riguardante un piano industriale del tutto ipotetico,

– nessuna garanzia cautelativa e contrattuale.

Il fatto che l’importo versato al preliminare fosse superiore alle esposizioni bancarie appare, in realtà, un elemento che conferma il dato dell’antieconomicità, non un fatto autonomo che fonda una autonoma e separata “ratio” dell’accertamento.

La sentenza cita anche tale fatto per motivare l’accoglimento dell’appello dell’ufficio, ma come uno dei tanti elementi, non l’unico.

L’art. 57 afferma:

1. Nel giudizio d’appello non possono proporsi domande nuove e, se proposte, debbono essere dichiarate inammissibili d’ufficio. Possono tuttavia essere chiesti gli interessi maturati dopo la sentenza impugnata.

2. Non possono proporsi nuove eccezioni che non siano rilevabili anche d’ufficio.

Il motivo nuovo amplia i confini della causa; nel caso di specie, al contrario, il dato quantitativo dell’esborso in relazione alle esposizioni bancarie rappresenta solo un fatto aggiuntivo che non ampia i confini della causa; l’elemento presuntivo su cui si fonda l’accertamento rimane sempre la antieconomicità dell’operazione.

Secondo sez. V n. 25970 del 2013:

si ha domanda nuova, inammissibile in appello, per modificazione della causa petendi, soltanto quando il diverso titolo giuridico della pretesa, dedotto innanzi al giudice di secondo grado sia impostato su presupposti di fatto e su situazioni giuridiche non prospettate in primo grado, in tal modo comportando il mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato e alterando l’oggetto sostanziale dell’azione e i termini della controversia, mediante l’introduzione nel processo di un nuovo tema di indagine e di decisione.

Così, sez. V n. 3404 del 2015 non considera nuova l’eccezione sulla individuazione di data certa di documenti sui quali si discuteva fin dall’inizio della certezza della stessa.

Quanto al fatto poi che sia stato dedotto solo nella causa relativa al 2011, ma utilizzato anche per decidere gli anni 2007-2010, va anche osservato che in appello tutte le cause sono state riunite, e quindi il procedimento è diventato unico.

Con il sesto motivo la società deduce nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, e dell’art. 2697 c.c., nonchè dell’art. 1322 c.c. Denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La CTR ha confermato gli accertamenti sulla base del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, senza presunzioni gravi precise e concordanti

Il motivo è infondato in quanto inammissibile, tendendo ad un riesame del merito della causa, che non può avere accesso in questa sede.

Con il settimo motivo la società deduce violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 85, comma 2, e dell’art. 2697 c.c. Denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La CTR ha errato nel ritenere l’operazione estranea alle finalità dell’impresa.

Anche in merito a questo motivo va rilevata l’infondatezza, in quanto non deducibile in questa sede, tendendo ad un riesame delle circostanze di fatto.

La CTR ha richiamato le motivazioni degli avvisi di accertamento, ed il ragionamento in essi contenuto non è illogico.

Con l’ottavo motivo deduce nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. con riguardo all’applicazione delle sanzioni. Denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4.

La CTR non si è pronunciata sul motivo dedotto dalla società in merito ai requisiti per l’inapplicabilità delle sanzioni, o comunque per la loro applicazione in misura inferiore a quella irrogata dall’ufficio, non avendo l’ufficio esplicitato i criteri in base ai quali le sanzioni sono state applicate.

Il motivo è infondato.

La CTR non ha omesso di prendere in considerazione il motivo relativo alle sanzioni, avendolo riportato nella parte narrativa, con riferimento al procedimento relativo agli anni 2007-2010. Nella motivazione, poi, la CTR conclude espressamente nel senso di condividere tutte le considerazioni della sentenza di primo grado (n. 1854/8/14) che aveva, in sostanza, rigettato sotto ogni profilo, compreso quello delle sanzioni, il ricorso, per cui anche la motivazione della sentenza impugnata può agevolmente essere interpretata come un rigetto implicito dell’appello della società sul punto.

Del resto, le stesse motivazioni esplicite sul merito della vicenda, nelle quali la condotta del contribuente viene apertamente qualificata come tendente scientemente a svuotare le casse della società e, previa qualificazione dell’operazione come un prestito, si giustifica appieno il recupero a tassazione degli interessi attivi, non lasciano dubbi sul fatto che la CTR abbia inteso confermare integralmente la pretesa impositoria dell’ufficio, anche sotto il profilo sanzionatorio.

Infatti, questa Corte (sez. L, n. 16788 del 2006) ha affermato che:

Ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia.

Tale principio deve ritenersi che operi non solo quando la sentenza ha deciso questioni logicamente assorbite da quelle esplicitamente decise, ma anche quando la incompatibilità con l’impostazione logico-giuridica della sentenza emerga da quanto espresso esplicitamente da quest’ultima. Nel caso di specie, le parole utilizzate dalla CTR per rigettare l’appello, e la ricostruzione della vicenda, sono così chiare, che deve ritenersi che la stessa abbia voluto escludere la ricorrenza di qualunque situazione che potesse portare all’annullamento o alla riduzione delle sanzioni.

Le spese seguono la soccombenza. Sono, pertanto, a carico del contribuente e, considerato il valore della causa, si liquidano in Euro 15.000.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio, liquidate in Euro 15.000.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2020

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA