Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29064 del 27/12/2011

Cassazione civile sez. VI, 27/12/2011, (ud. 25/11/2011, dep. 27/12/2011), n.29064

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

P.B. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA ENNIO QUIRINO VISCONTI 20, presso lo studio dell’Avvocato BUCCICO

ANGELA, rappresentata e difesa dall’Avvocato SANTOCHIRICO VINCENZO,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE SPA (OMISSIS), in persona del Presidente del

Consiglio di Amministrazione e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25b, presso lo studio

dell’Avvocato PESSI ROBERTO, che la rappresentata e difende, giusta

procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 945/2009 della CORTE D’APPELLO di POTENZA del

02/07/2009, depositata il 17/07/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/11/2011 dal Consigliere relatore Dott. GIANFRANCO BANDINI;

è presente il P.G. in persona del Dott. MARIO FRESA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1. Con sentenza del 2 – 17.7,2009 la Corte d’Appello di Potenza, rigettando l’impugnazione proposta da P.B. nei confronti della Poste Italiane spa, ha confermato, con diversa motivazione, la pronuncia di prime cure che aveva respinto la domanda della P. volta alla declaratoria di nullità del termine apposto ai contratto di lavoro subordinato stipulato fra le parti il 13.12.2000; la Corte territoriale ha accolto l’eccezione di risoluzione del contratto per mutuo consenso (non esaminata dal primo Giudice), ritenendo la sussistenza di elementi incompatibili con la volontà di prosecuzione del rapporto, ravvisabili nell’accettazione de TFR senza riserve, nella prestazione di altra attività lavorativa, nell’acquiescenza alla cessazione alla scadenza, nell’omissione di qualsivoglia iniziativa anche stragiudiziale e non formale nel confronti dei datore di lavoro e, “…soprattutto nel decorso di un periodo di tempo oggettivamente lungo e del tutto sovradimensionato rispetto alle esigenze di ponderazione riflessione che una qualsivoglia azione giudiziale impone e nella evidente sproporzione tra la durata del rapporto di lavoro (nella fattispecie 5 mesi e 18 giorni) ed i tempi di reazione al torto subito (tre anni e sei mesi) decorso che crea uno iato incompatibile con la volontà di lavorare per la spa e soprattutto di continuare in quel medesimo rapporto di lavoro”;

avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale P.B. ha proposto ricorso per cassazione deducendo violazione dell’art. 1372 c.c., comma 1, e vizi di motivazione, evidenziando, tra l’altro, che la sentenza impugnata non aveva preso in considerazione la richiesta di tentativo di conciliazione (spedita nell’ambito del triennio dalla cessazione del contratto), con la quale la parte datoriale era stata espressamente invitata e diffidata al ripristino del rapporto lavorativo;

l’intimata Poste Italiane spa ha resistito con controricorso; a seguito di relazione e previo deposito di memoria da parte della controricorrente, la causa è stata decisa in camera di consiglio ex art. 380 bis c.p.c.;

2. la giurisprudenza di questa Corte (cfr, ex plurimis, Cass., n. 23554/2004) ritiene che nel giudizio instaurato per il riconoscimento di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato (sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale scaduto) è configurabile la risoluzione del rapporto per mutuo consenso ove sia accertata – per il tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto, nonchè, per le modalità di tale conclusione, per il comportamento tenuto dalla parti e per altre eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà di porre fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della portata di tali elementi compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto;

3. al riguardo è stato peraltro reiteratamente affermato che la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto non può ritenersi sufficiente a far ritenere la sussistenza dei presupposti della risoluzione del rapporto per mutuo consenso (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 20390/2007; 26935/2008; 65/2011; 5887/2011); inoltre la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di rilevare che non appaiono indicative di una intenzione risolutoria l’accettazione del TFR e la mancata offerta della prestazione, trattandosi di “comportamenti entrambi non interpretabili, per assoluto difetto di concludenza, come tacita dichiarazione di rinunzia ai diritti derivanti dalla illegittima apposizione del termine” (cfr, Cass., n. 15628/2001, in motivazione), ovvero la condotta di chi sia stato costretto ad occuparsi o comunque cercare occupazione dopo aver perso il lavoro per cause diverse dalle dimissioni (cfr, Cass., n. 839/2010, in motivazione, nonchè, in senso analogo, Cass., n. 15900/2005, in motivazione);

4. deve pertanto convenirsi che la motivazione addotta dalla Corte territoriale va considerata insufficiente, in quanto è principalmente fondata su un fatto (il mero trascorrere del tempo) di per sè giuridicamente non rilevante, risulta accompagnata dalla valorizzazione di circostanze non interpretabili come sintomatiche di una chiara e certa volontà di entrambe le parti di considerare definitivamente chiuso il rapporto lavorativo ed appare lacunosa netta considerazione di una emergenza processuale (l’invito al ripristino del rapporto prima della proposizione della domanda giudiziale) obiettivamente indicante la non acquiescenza della lavoratrice atta cessazione dei contratto per decorrenza del temine finale al medesimo apposto;

5. Il ricorso va pertanto accolto, siccome manifestamente fondato, e, conseguentemente, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio al Giudice indicato in dispositivo, che procederà a nuovo esame conformandosi ai suddetti principi e provvederà altresì sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Napoli.

Così deciso in Roma, il 25 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2011

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