Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29063 del 13/11/2018

Cassazione civile sez. VI, 13/11/2018, (ud. 25/10/2018, dep. 13/11/2018), n.29063

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11561-2017 proposto da:

R.G., elettivamente domiciliato in ROMA, LARGO SOMALIA 67,

presso lo studio dell’avvocato GRADARA RITA, che lo rappresenta e

difende unitamente agli avvocati, CESARI ALESSANDRA, DE BELLIS

MARIO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5748/67/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di MILANO SEZIONE DISTACCATA di BRESCIA, depositata il

07/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 25/10/2018 dal Consigliere Dott. ROBERTO GIOVANNI

CONTI.

Fatto

FATTI E RAGIONI DELLA DECISIONE

R.G. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti dell’Agenzia delle entrate (che si è costituita con controricorso), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia indicata in epigrafe, con la quale – in controversia concernente l’avviso di accertamento notificato per la ripresa a tassazione di IRES, IVA e IRAP per l’anno 2006 – è stato rigettato l’appello contro la decisione di primo grado, che aveva rigettato il ricorso del contribuente, ritenendo che l’Ufficio non era decaduto dal potere accertativo, in assenza di comunicazione di reato, dovendosi valutare unicamente la sussistenza astratta dell’illecito penale.

Il ricorrente prospetta, con il primo motivo, la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 e del D.Lgs. n. 74 del 2000, deducendo che il raddoppio dei termini non potrebbe operare quando il termine ordinario per la notifica dell’accertamento era già maturato al momento della presentazione della denuncia penale.

La censura è infondata.

Ed invero, come già più volte ricordato in precedenti pronunzie la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 247/2011 ha precisato che “i termini raddoppiati di accertamento non costituiscono una “proroga” di quelli ordinari, da disporsi a discrezione dell’amministrazione finanziaria procedente, in presenza di “eventi peculiari ed eccezionali”. Al contrario, i termini raddoppiati sono anch’essi termini fissati direttamente dalla legge, operando automaticamente in presenza di una speciale condizione obiettiva rappresentata dalla sussistenza dell’obbligo di denuncia penale per i reati tributari previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000, senza che all’amministrazione finanziaria sia riservato alcun margine di discrezionalità per la loro applicazione. Ne consegue che i termini raddoppiati non si innestano su quelli “brevi” di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, dell’art. 57, ai primi due commi, in base ad una scelta degli uffici tributari, ma operano autonomamente allorchè sussistano elementi obiettivi tali da rendere obbligatoria la denuncia penale per i reati previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000. Non può, pertanto, parlarsi di “riapertura o proroga di termini scaduti” nè di “reviviscenza di poteri di accertamento ormai esauriti”, poichè i termini “brevi” e quelli raddoppiati si riferiscono a fattispecie ab origine diverse, che non interferiscono tra loro ed alle quali si connettono diversi termini di accertamento – cfr. Cass. n. 1117/2017, Cass. n. 7805/2016, ove si è ulteriormente chiarito che i termini “brevi” di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, i primi due commi, operano in presenza di violazioni tributarie per le quali non sorge l’obbligo di denuncia penale di reati previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000, mentre i termini raddoppiati di cui stesso art. 57, comma 3, sono destinati ad applicarsi in presenza di violazioni tributarie per le quali v’è l’obbligo di denuncia”.

La sentenza impugnata si è dunque adeguata ai superiori principi e resiste ai rilievi censori prospettati dal ricorrente.

Con il secondo motivo si deduce la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 e del D.Lgs. n. 74 del 2000. Si deduce che il raddoppio dei termini non potrebbe operare se al momento della presentazione della denuncia il presunto reato era prescritto.

Con il terzo motivo si prospetta, altresì, la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 e del D.Lgs. n. 74 del 2000 in relazione al fatto che il raddoppio dei termini per l’accertamento non potrebbe operare in caso di mancata produzione in giudizio della denunzia penale.

Le censure meritano un esame congiunto e sono entrambe infondate.

Occorre rammentare che in tema di accertamento tributario, il raddoppio dei termini previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 3, nei testi applicabili “ratione temporis”, presuppone unicamente l’obbligo di denuncia penale, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000 e non anche la sua effettiva presentazione, come chiarito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 247 del 2011″ – cfr. Cass. n. 11117/2016, Cass. n. 30092/2017-. Si è inoltre precisato che il raddoppio opera soltanto nel caso in cui siano obiettivamente riscontrabili, da parte di un pubblico ufficiale, gli elementi richiesti dall’art. 331 c.p.p. per l’insorgenza dell’obbligo di denuncia penale, tale obbligo sussistendo quando il pubblico ufficiale sia in grado di individuare con sicurezza gli elementi del reato da denunciare – cfr. Cass. n. 7805/2016, cit. -.

Inoltre, con specifico riferimento all’incidenza della prescrizione ai fini del raddoppio, si è poi specificato ulteriormente che “…In tema di accertamento tributario, ai fini del raddoppio dei termini previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43,nella versione applicabile “ratione temporis”, rileva unicamente la sussistenza dell’obbligo di presentazione di denuncia penale, a prescindere dall’esito del relativo procedimento e nonostante l’eventuale prescrizione del reato, poichè ciò che interessa è solo l’astratta configurabilità di un’ipotesi di reato, atteso il regime di “doppio binario” tra giudizio penale e procedimento tributario” – cfr. Cass. n. 9322/2017-.

Fermi i superiori principi, le due censure proposte dal ricorrente sono dunque palesemente infondate, non rilevando ai fini del raddoppio nè la presentazione in giudizio della denunzia nè l’eventuale prescrizione del reato.

Il ricorso va quindi rigettato, non potendosi esaminare la questione, introdotta soltanto in memoria, relativa alla non applicabilità del raddoppio dei termini per il tributo IRAP.

Il ricorso va quindi rigettato.

Le spese seguono la soccombenza, dando atto ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in favore dell’Agenzia delle entrate in Euro 2500,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Dà atto ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, il 25 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2018

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