Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29061 del 27/12/2011

Cassazione civile sez. VI, 27/12/2011, (ud. 14/12/2011, dep. 27/12/2011), n.29061

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

FIAT GROUP AUTOMOBILES SPA (OMISSIS) (nuova denominazione della

FIAT AUTO SPA) in persona del suo procuratore speciale, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 21/23, presso lo studio

dell’avvocato DE LUCA TAMAJO RAFFAELE, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati DIRUTIGLIANO DIEGO, BONAMICO FRANCO, giusta

procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

T.M.C. (OMISSIS), elettivamente

domiciliata in ROMA, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dagli avvocati PELLERITO GIUSEPPE, CHIODO SILVIO, BENEDETTO

PELLERITO, giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1111/2009 della CORTE D’APPELLO di TORINO del

27.10.09, depositata il 04/11/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/12/2011 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE MELIADO’;

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. MARIO FRESA.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

Con sentenza in data 27.10.2009/4.11.2009 la Corte di appello di Torino confermava la decisione di primo grado che accoglieva la domanda proposta da T.M.C. nei confronti della Fiat Group Automobiles spa per far dichiarare l’illegittimità della sua collocazione in cassa integrazione guadagni straordinaria nel periodo 11.9.2003/14.11.2003.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso la Fiat con cinque motivi, illustrati con memoria. Resiste con controricorso l’intimata.

1. I motivi contrastano con i precedenti di questa Suprema Corte (v.

fra le altre Cass. n. 2155, 2156 e 2157 del 2011; Cass. n. 4151/2011;

Cass. n. 4152/2011) e non offrono elementi per confermare o revocare l’orientamento che su tali questioni si è ormai consolidato.

2. In particolare, col primo motivo di gravame la società ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione della L. 15 marzo 1997, n. 59, art. 20 in relazione alla L. n. 223 del 1991, art. 1 ed al D.P.R. n. 218 del 2000, nonchè violazione dell’art. 15 preleggi (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione al rapporto fra il D.P.R. n. 218 del 2000 e la L. n. 223 del 1991, art. 1.

I rapporti tra le due fonti sono stati definiti dalla giurisprudenza di questa Corte nel senso che la disciplina del D.P.R. n. 218 non abroga la L. n. 223 del 1991 e lascia, quindi, intatti gli oneri di comunicazione fissati dall’art. 1 di quest’ultimo testo. Il D.P.R. n. 218 non incide, infatti, sulle prescrizione del combinato disposto della L. n. 164 del 1975, art. 5 e della L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7 – riguardanti l’obbligo per il datore di lavoro di comunicare l’avvio della procedura per l’integrazione salariale alle organizzazioni sindacali, i criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere nonchè le modalità di rotazione – atteso che la disciplina da esso prevista attiene unicamente alla fase propriamente amministrativa del procedimento di concessione della integrazione salariale (cfr. in tal senso già Cass. 28.11.08 n. 28464).

Con la conseguenza che resta fermo che per la scelta dei lavoratori da porre in cassa integrazione trova perdurante applicazione la L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7, che prescrive che il datore di lavoro comunichi alle organizzazioni sindacali i criteri di scelta dei lavoratori da sospendere, in base a quanto previsto dalla L. n. 164 del 1975. Tale disposizione tutela, nella gestione della cassa integrazione, i diritti dei singoli lavoratori e le prerogative delle organizzazioni sindacali, e ciò anche dopo l’entrata in vigore della disciplina del D.P.R. 10 giugno 2000, n. 218, atteso che tale disciplina non incide con effetto abrogativo o modificativo sulle suddette disposizioni, ma è volta unicamente a diversamente regolamentare il procedimento amministrativo, di rilevanza pubblica, di concessione dell’integrazione salariale.

Ad analoga conclusione questa Corte è pervenuta per quel che riguarda gli obblighi di rilevanza collettiva del datore di lavoro (L. n. 223, art. 1, commi 7 e 8), precisando, altresì, che la normativa regolamentare non ha spostato l’informazione circa i criteri di scelta e le modalità della rotazione dal momento iniziale della comunicazione del datore di lavoro di avvio della procedura a quello, immediatamente successivo, dell’esame congiunto, in quanto, altrimenti, il contenuto della norma del D.P.R. n. 218, art. 2 sarebbe estraneo all’esigenza di semplificazione del procedimento amministrativo e avrebbe come conseguenza solo l’alleggerimento degli oneri del datore di lavoro con la compressione dei diritti di informazione spettanti al sindacato, dando luogo ad un sistema di consultazione sindacale palesemente inadeguato (v. in tal senso già Cass. 9.6.09 n. 13240 e 1.7.09 n. 15393, entrambe emanate a conclusione del procedimento per condotta antisindacale promosso dalle oo.ss. nei confronti di Fiat con riferimento alla procedura di cigs in esame).

Sulla base di queste considerazioni può ritenersi, pertanto, corretto l’assunto del giudice di merito che – pur dopo l’entrata in vigore del D.P.R. n. 218 del 2000 – la comunicazione che il datore di lavoro è tenuto a dare, ai sensi della L. 164 del 1975, art. 5 alle rappresentanze sindacali aziendali deve contenere l’indicazione dei criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere e le modalità della rotazione, i quali solo successivamente dovranno costituire oggetto del prescritto esame congiunto.

3. Da tali considerazioni deriva l’assorbimento dell’ulteriore motivo con il quale si contesta la mancata assegnazione di “valore asseverativo della regolarità della procedura” al verbale del Ministero del Lavoro del 5.12.02, essendo evidente che ove si ritenga che i criteri di individuazione e le modalità della rotazione debbano essere predeterminati ( e cioè, indicati ab initio) nella comunicazione di avvio della procedura, è superfluo scrutinare l’asserito valore asseverativo di un documento che dovrebbe certificare che quell’indicazione si è perfezionata, invece, solo in un momento successivo, e cioè in sede di esame congiunto.

4. Col terzo motivo la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7, e della L. n. 164 del 1975, art. 5, commi 4, 5 e 6, dell’art. 2697 c.c. e del D.P.R. n. 218 del 2000, art. 2 in relazione al contenuto della lettera di apertura della procedura (art. 360 c.p.c., n. 3).

In particolare rileva la società che, pur qualora si ritenesse applicabile la procedura di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7 non si sarebbe potuto dubitare della esaustività del contenuto delle comunicazioni di avvio della procedura di c.i.g.s., basandosi la diversa conclusione cui era pervenuta la corte territoriale su una “rigoristica e fuorviante” lettura della L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7, e della L. n. 164 del 1975, art. 5, commi 4, 5 e 6.

In proposito, deve ribadirsi come la giurisprudenza di questa Suprema Corte abbia reiteratamente precisato, con riferimento alla disposizione della L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7, e quindi circa l’obbligo di comunicazione dei “criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere …”, che tali criteri debbono essere connotati dal requisito della specificità, ovvero dalla “idoneità dei medesimi ad operare la selezione e nel contempo a consentire la verifica della corrispondenza della scelta ai criteri”, precisandosi che l’aggettivazione “non individua una specie nell’ambito del genere criterio di scelta ma esprime la necessità che esso sia effettivamente tale, e cioè in grado di operare da solo la selezione dei soggetti da porre in cassa integrazione”, atteso che “un criterio di scelta generico non è effettivamente tale, ma esprime soltanto, non un criterio, ma un generico indirizzo nella scelta” (v. Cass. 1.7.09 n. 15393, che richiama Cass. 23.4.04 n. 7720, e fa chiaro riferimento a S.U. n. 302 del 2000).

Tale specificità non è stata riscontrata dal giudice di merito, il quale ha ravvisato nella comunicazione una mera clausola di stile, dalla quale non poteva evincersi il percorso aziendale che aveva portato all’individuazione dei singoli lavoratori da sospendere.

Trattasi di valutazione di merito che, in quanto congruamente motivata, non è suscettibile di censura in sede di legittimità.

5. Con gli ultimi due motivi (4 e 5), infine, la società ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 1, commi 2, 7 e 8, della L. n. 223 del 1991, art. 2, comma 1, della L. n. 164 del 1975, art. 5 commi 4, 5, 6 e del D.P.R. n. 218 del 2000, art. 2 nonchè vizio di motivazione, rileva che la sentenza censurata si è limitata ad una astratta valutazione della legittimità della procedura, senza valutare la specifica posizione soggettiva della parte intimata e l’efficacia sanante degli accordi sindacali raggiunti in corso di gestione della cigs e su quest’ultimo punto richiama, fra l’altro, alcune pronunce di questa Corte che si sono espresse in tal senso (Cass. n. 14721 del 2.8.2004 ; Cass. n. 12307 del 21.8.2003 ed altre).

In proposito va ribadito, in conformità ai precedenti, che queste decisioni hanno quale presupposto fattuale che l’accordo sia di per sè risolutivo, nel senso che il suo contenuto sia esaustivo delle esigenze conoscitive e di esternazione imposte dal combinato disposto della L. n. 164 del 1975, art. 5 e della L. n. 223 del 1991, art. 1, commi 7 e 8, dato che, in tal caso, costituirebbe solo un inutile formalismo imporre al datore di lavoro di comunicare alle oo.ss.

quei criteri di selezione che proprio con esse ha elaborato (cfr. in particolare Cass. 3.5.2004 n. 8353).

All’applicazione di questa giurisprudenza nel caso di specie, tuttavia, ostano, per come si è già osservato, considerazioni sia fattuali che giuridiche.

Sotto il primo aspetto, ha osservato il giudice di appello, con motivazione esente da vizi logici e ricostruttivi e che assume carattere del tutto assorbente, che l’accordo sindacale – anche con riferimento ai lavoratori addetti al modello Panda- – “incorre negli stessi vizi di genericità ed indeterminatezza rilevati in relazione alla comunicazione iniziale, contaminando un discrimine preciso ed oggettivo (i carichi familiari) con dati generici ed affidati alla piena discrezionalità datoriale (le esigenze di carattere tecnico- organizzative e le precedenti esperienze professionali)”. Inoltre, per il fatto di essere intervenute a procedura già iniziata, le modalità concordate in sede di accordo non potevano, comunque, soddisfare l’esigenza cui la preventiva comunicazione è preposta, e cioè quella di consentire (non solo alle oo.ss. di confrontarsi sul punto, ma anche) ai lavoratori coinvolti nella procedura – tanto prima che dopo il raggiungimento dell’accordo – di verificare se l’utilizzo della cassa integrazione da parte del datore di lavoro fosse coerente col programma di superamento della crisi adottato e, quindi, di tutelare la loro posizione individuale, sottoponendo a controllo il potere del datore di collocarli in cassa integrazione (v. anche Cass. 10.5.2010 n. 11254).

Con il che deve conclusivamente ritenersi che il giudice di merito si è sostanzialmente attenuto ad una lettura della norma basata sul principio consolidato (dopo l’intervento delle S.U., con la sentenza n. 302 dell’11.5.2000) secondo cui, in caso di intervento straordinario di integrazione salariale per l’attuazione di un programma di ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale che implichi una temporanea eccedenza di personale, il provvedimento di sospensione dall’attività lavorativa è illegittimo qualora il datore di lavoro ometta di comunicare alle oo.ss., ai fini dell’esame congiunto, gli specifici criteri, eventualmente anche diversi dalla rotazione, di individuazione dei lavoratori che debbono essere sospesi e che tale illegittimità può essere fatta valere dai lavoratori interessati davanti al giudice ordinario, in via incidentale, per ottenere il pagamento della retribuzione piena e non integrata. Il ricorso va, pertanto, rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e vanno distratte in favore dei difensori anticipatari.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 30,00 per esborsi ed in Euro 2000,00 per onorari, oltre a spese generali, IVA e CPA, con distrazione in favore degli avv. Silvio Chiodo, Giuseppe Pellerito e Benedetto Pellerito.

Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2011

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