Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29061 del 11/11/2019

Cassazione civile sez. I, 11/11/2019, (ud. 24/09/2019, dep. 11/11/2019), n.29061

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30781/2018 proposto da:

R., Alias S.S. Alias R., elettivamente domiciliato

in Roma Via Cunfida 16 presso lo studio dell’avvocato Visentin Maria

che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2013/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 24/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/09/2019 da Dott. RUSSO RITA.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1.- R.S. ha chiesto la protezione internazionale narrando di essere proveniente dal Pakistan e di avere lasciato il paese perchè aveva una relazione con una ragazza, contrastata dalla famiglia; narra di esser stato picchiato dai fratelli della ragazza e che a costei era stato fatto credere che egli fosse morto a causa delle percosse. La ragazza si era quindi suicidata e i familiari gliene addebitavano la morte.

2.-La Commissione territoriale ha ritenuto il soggetto non credibile e ha negato la protezione. Il Tribunale ha confermato il giudizio della Commissione. La Corte adita in appello ha esaminato il profilo della sussistenza del rischio di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) escludendolo, perchè, in base a quanto risulta dai Report dell'(OMISSIS) e dell'(OMISSIS), nel paese di origine non si riscontra un livello di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato tale da mettere a rischio il richiedente asilo; ha quindi esaminato i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, ritenendoli insussistenti, atteso che l’integrazione lavorativa in Italia non è condizione sufficiente per ottenere il permesso di soggiorno e che la storia raccontata -anche a prescindere dalla sua scarsa credibilità – non rivelasse una specifica condizione di vulnerabilità.

3.- Ricorre per cassazione il richiedente asilo affidandosi a due motivi. Non si è costituito il Ministero dell’Interno.

Diritto

RITENUTO

CHE:

Con il primo motivo si censura la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 14. Il ricorrente deduce che ha errato la Corte a non riconoscere i presupposti per la protezione sussidiaria, atteso che egli corre il serio rischio di subire violenza e ritorsioni da privati (i parenti della ragazza morta) e comunque che le condizioni del paese di origine sono tali da costituire grave pericolo per la sicurezza individuale. Riporta quindi il contenuto della sezione “viaggiare sicuri” del sito del MAE, ove si evincono le criticità del paese.

Il motivo è inammissibile. Quanto al dedotto rischio da ritorsioni e persecuzioni private, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. b) legato alla storia raccontata dal richiedente asilo, la Corte di merito ha affermato che, nell’atto di appello, questi ha censurato l’ordinanza impugnata solo sotto il profilo del rischio D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c) e su questo punto si è pronunciata, escludendo il rischio da violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato, in base all’analisi della situazione del paese d’origine, come ricostruita dai Report (OMISSIS) 2017 e della nota (OMISSIS) sui rimpatri. Ciò anche sul presupposto che già la Commissione e il giudice di primo grado avevano ritenuto inattendibile il richiedente asilo; la storia individuale sulla possibilità di una vendetta privata non è quindi stata esaminata dalla Corte d’appello.

Il ricorrente non afferma di avere proposto appello sul punto del difetto di credibilità sulla narrazione della vicenda privata, limitandosi genericamente a sostenere che sono state proposte “una serie di ragioni dirette a far riconoscere sia la bontà della vicenda riferita dal ricorrente e quindi il grave rischio cui sarebbe esposto in caso di rientro in patria; sia la grave condizione di violenza generalizzata sussistente in Pakistan”.

Si tratta, ai fini del requisito di specificità del ricorso in cassazione, di una prospettazione insufficiente, posto che il ricorrente aveva l’onere di specificare in quale parte dell’appello e con quali ragioni – in ipotesi non esaminate dalla Corte d’appello – aveva proposto tali censure sulla ritenuta inattendibilità e quindi sulla insussistenza del rischio art. 14, ex lett. b).

La valutazione il rischio di trattamenti inumani e degradanti da agente privato da cui lo Stato non è in grado di proteggere il suo cittadino non può prescindere dalla esposizione di una storia individuale credibile, mentre la valutazione del rischio ex art. 14, lett. c) può anche farsi sulla base della provenienza, qualora nel pase di origine sussista una situazione di violenza generalizzata derivante da conflitto armato, di livello talmente elevato da far ritenere che un civile per il solo fatto della presenza sul territorio corra un rischio effettivo di subire minaccia grave alla vita o alla persona, entro i limiti rigorosi indicati dalla CGUE nelle sentenze del 17 febbraio 2009 (Elgafaji, C-465/07) e del 30 gennaio 2014, (Diakitè C- 285/12).

Si tratta chiaramente di una ipotesi eccezionale legata alla sussistenza non già di una semplice instabilità socio-politica o del rischio di attentati terroristici generalizzati, ma di un vero e proprio conflitto armato che genera violenza indiscriminata. Sotto questo profilo la Corte, previa l’acquisizione di informazioni sul paese di origine (COI) aggiornate, di cui ha indicato la fonte (Cass. 11312/19) e cioè dei Report (OMISSIS) 2017 e della nota dell'(OMISSIS) sui rimpatri, ha esaminato il caso e ha escluso il rischio ex art. 14, lett. c).

Si tratta quindi di una motivata valutazione in fatto, non sindacabile in questa sede, peraltro solo genericamente censurata dal ricorrente con riferimenti a informazioni non pertinenti perchè dirette a raccogliere informazioni sui rischi da cui proteggere il viaggiatore – rischi diversi da quelli rilevanti per legge ai fini del riconoscimento della protezione internazionale.

Con il secondo motivo di ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19.

La parte deduce che il Tribunale avrebbe erroneamente ancorato la valutazione sul punto ai presupposti previsti per la misura di maggiore tutela, senza considerare la situazione di estrema vulnerabilità del soggetto a causa della giovanissima età e della probabilità di rimanere sprovvisto di tutela da parte della autorità istituzionali. Illustra poi il contenuto della protezione umanitaria e del non refoulement.

Il motivo è inammissibile per genericità, e ciò rende superflua la sospensione del procedimento in attesa della decisione delle sezioni unite di questa Corte sulle questioni sollevate con le ordinanze interlocutorie nn. 11749, 11750, 11751 del 2019, depositate il 3 maggio 2019, (v. Cass. n. 22851/2019).

A fronte di una specifica motivazione da parte della Corte d’appello, autonoma da quella resa sul mancato riconoscimento della protezione sussidiaria, sulla insufficienza della integrazione lavorativa in Italia, in sè considerata, quale presupposto della protezione umanitaria, la parte si limita ad illustrazioni generiche su contenuto e presupposti della protezione umanitaria nonchè del divieto di respingimento, senza specificare -come sopra detto- se egli ha proposto specifico motivo di appello, e per quali ragioni, contro la statuizione del Tribunale che ha ritenuto non credibile il suo racconto.

Il ricorso è da dichiarare inammissibile.

Nulla sulle spese in difetto di costituzione della controparte.

Il richiedente è ammesso al patrocinio a spese dello Stato e pertanto non è tenuto è tenuto al versamento del contributo unificato, stante la prenotazione a debito prevista dal combinato disposto di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 11 e 131 e, di conseguenza, neppure dell’ulteriore importo di cui all’art. 13, comma 1- quater Decreto citato (cfr. Cass. 7368/2017; n. 32319 del 2018), se ed in quanto l’ammissione non risulti revocata.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Nulla sulle spese.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 24 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2019

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