Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29061 del 05/12/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 05/12/2017, (ud. 12/07/2017, dep.05/12/2017),  n. 29061

Fatto

CONSIDERATO

Che la Corte d’Appello di Napoli con sentenza in data 25/5/2011, a conferma della decisione del Tribunale di S. Maria Capua Vetere n. 302/2008, rigettava il ricorso di P.S., rivolto a sentir dichiarare la nullità dell’apposizione del termine apposto al contratto di lavoro semestrale dallo stesso sottoscritto il 18/01/2005 con il Consorzio Aurunco di Bonifica.

Che come comprovato dalla delibera della Deputazione amministrativa del Consorzio n. 4854 del 4/5/2004, richiamata nel contratto di lavoro del P., il Consorzio Aurunco di Bonifica era stato individuato, dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, con decreto n. 131 del 16/4/2004, ente aggiudicatario dei lavori per la realizzazione dell’intervento “(OMISSIS)” e quale autorità espropriante ai sensi del D.P.R. n. 327 del 2001. Che, com’è risultato dagli atti processuali, le procedure espropriative erano state avviate in data 1/1/2005, il contratto di lavoro aveva avuto inizio il 18/1/2005 e si era concluso il 17/7/2005 per raggiungimento del termine di scadenza contrattuale.

Che la Corte d’Appello, affermata la natura di ente pubblico economico del Consorzio di Bonifica, dunque la sua piena assoggettabilità alla L. n. 368 del 2001, ha ritenuto raggiunta la prova in merito alla sussistenza delle ragioni di carattere tecnico e organizzativo che giustificavano l’adozione del contratto a termine, così come effettivamente coincidenti con le mansioni di collaborazione tecnico-amministrativa consistente nel supporto agli uffici consortili nell’attuazione delle procedure espropriative nell’ambito della realizzazione del lavoro di “(OMISSIS)”.

Che avverso tale sentenza interpone ricorso in Cassazione P.S. con due censure, illustrate da memoria, cui resiste con tempestivo controricorso il Consorzio Aurunco di Bonifica, il quale propone altresì ricorso incidentale condizionato, cui oppone controricorso P.S..

Diritto

RITENUTO

Che nella prima censura parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, poichè la sentenza gravata avrebbe erroneamente ritenuto soddisfatto da parte del Consorzio l’obbligo di specificità della causale, prescritto dalla norma richiamata in epigrafe.

Che nella seconda censura il ricorrente deduce vizio di motivazione circa le mansioni concretamente svolte dal ricorrente, in quanto diverse dalle esigenze straordinarie oggetto della causale appositiva del termine, e coincidenti, di contro, con le esigenze dell’ordinaria attività del datore di lavoro; che lo stesso ricorrente deduce altresì violazione e falsa applicazione dell’art. 210 c.p.c., art, 420 c.p.c., comma 5 e art. 437 c.p.c., comma 2, per avere il Giudice d’Appello omesso di ordinare all’Ente l’esibizione di documenti decisivi per il giudizio. Che la Corte, avrebbe errato nel mancare di acquisire al giudizio la Delib. 21 settembre 2005, n. 5014 del Consorzio, poichè da essa si sarebbe potuto desumere che, essendo state le procedure espropriative, approvate e iniziate in una data in cui termine contrattuale era già estinto (17/7/2005), il rapporto si sarebbe instaurato senza una ragione giustificativa, in spregio a quanto sancito dalla legge, e per lo svolgimento di compiti concernenti l’ordinaria attività del Consorzio.

Che la prima censura è infondata.

Che va, in questa sede, preliminarmente riaffermato che i Consorzi di Bonifica hanno natura giuridica di ente pubblico economico, e che, l’applicabilità agli stessi della disciplina sui contratti a termine di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001 – in particolare della regola sull’onere di specificazione ex art. 1 – costituisce ormai oggetto di un consolidato orientamento da parte di questa Corte (Cass. n. 12242/2012; Cass. n. 26166/2016).

Che, come questa Corte ha più volte avuto modo di affermare (Cass. n. 27052/2011, Cass. n. 1577/2010 e n. 1576/2010), a partire dal D.Lgs. n. 368 del 2001, il legislatore ha scelto di abbandonare il sistema rigido delle fattispecie tipizzate di contratto a termine, quale fu quello rappresentato nella L. n. 230 del 1962, e di adottare il diverso sistema, articolato per clausole generali, in cui l’apposizione del termine deve essere motivata da ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo per la sua validità.

Che, l’onere di specificazione della ragione giustificatrice con atto scritto, costituisce una perimetrazione della facoltà, riconosciuta al datore di lavoro, di ricorrere al contratto a tempo determinato per soddisfare una vasta gamma di esigenze aziendali (di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o aziendale), a prescindere da fattispecie predeterminate. Che il venir meno del sistema delle fattispecie astrattamente legittimanti determina, infatti, che il collegamento alle obiettive situazioni aziendali non più standardizzate da norme di legge, crei un legame maggiore con le realtà specifiche in cui il contratto viene a essere applicato. Che sotto tale profilo, pertanto, l’elemento della specificità può recare un certo grado di elasticità, che diviene inevitabilmente oggetto di controllo giudiziale secondo criteri di congruità e ragionevolezza.

Che la decisione impugnata conformandosi alle indicazioni di questa Corte, ha compiuto un’accurata verifica del requisito della specificità del motivo, nel riscontrare coerenza tra contratto e destinazione reputando, così, sussistente il rapporto di derivazione causale dell’assunzione del lavoratore. Che, in base alla Delib. della deputazione Amministrativa del Consorzio 4 maggio 2004, n. 4854 richiamata nel contratto di lavoro, era risultato provato che il Consorzio, individuato dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali (Delib. 16 aprile 2004, n. 131) quale amministrazione aggiudicatrice dei lavori per la realizzazione dell’intervento “(OMISSIS)” e quale Autorità espropriatrice ai sensi del T.U. n. 327 del 2001, avesse assunto il ricorrente per sei mesi, in funzione di supporto tecnico-amministrativo agli uffici consortili per l’attività procedimentale connessa all’espropriazione delle aree (in particolare alle attività finalizzate all’imposizione del vincolo preordinato all’esproprio e alla dichiarazione di pubblica utilità delle aree ivi soggette). Che la Corte ha rilevato, con motivazione adeguata ed esente da vizi logico-argomentativi, che la ragione giustificatrice posta a fondamento del contratto a termine fosse, quindi, correlata all’attuazione delle predette procedure espropriative e che, pertanto, la legittimità del termine fosse giustificata dal dover esso stesso ritenersi riferito all’espletamento delle attività espropriative avviate nel gennaio 2005.

Che tanto ha rilevato la sentenza gravata sulla base non di un esame meramente formale del contratto, ma sul riscontro della conformità della contestata assunzione a quei criteri maggiormente elastici che la nuova formulazione del quadro normativo impone e che, come già detto, consentono di verificare, attraverso l’indicazione di tutti gli elementi ricavabili dal contesto aziendale, se l’esigenza di specificità sia stata assolta o meno (vedi, ex plurimis, Cass. n. 182/2016).

Che la seconda censura è inammissibile.

Che la Corte d’Appello, dall’esame di tutti gli atti processuali, ha ritenuto concordanti alcune circostanze, tali da escludere quanto lamentato, circa la supposta non corrispondenza tra la ragione giustificatrice del termine e le mansioni svolte in concreto dal ricorrente. Che la Corte, dopo aver rilevato che in seguito a sollecitazioni del Ministero aggiudicante al puntuale rispetto delle scadenze contrattuali, alla data di assunzione di P.S. l’attività espropriativa risultava ancora in pieno svolgimento, ha ritenuto che fosse pienamente giustificata l’assunzione con contratto a termine del ricorrente, per le esigenze di fornire un supporto tecnico-amministrativo agli uffici consortili, proprio al precipuo fine di dare impulso all’attività procedimentale. Che, pertanto, la seconda censura appare rivolta a ottenere un giudizio sulla ricostruzione delle circostanze adottata dal Giudice d’Appello nel legittimo esercizio dei suoi poteri istruttori. Che secondo il costante orientamento di questa Corte il motivo di cassazione è inammissibile qualora parte ricorrente si limiti a fornire una diversa ricostruzione dei fatti, contrastante con quella accertata nella sentenza impugnata, ovvero censuri l’apprezzamento e il convincimento del giudice di merito che risulti difforme da quello auspicato, così mirando a un riesame del merito non consentito nel giudizio di legittimità (ex plurimis, Cass. n. 3881/2006; Cass. n. 828/2007; Cass. n. 7972/2007; Cass. n. 25332/2014).

Che il ricorso incidentale condizionato è assorbito.

Che pertanto, essendo infondata la prima censura, inammissibile la seconda, il ricorso principale va rigettato, mentre il ricorso incidentale condizionato è assorbito.

Che le spese del presente giudizio vanno poste a carico del ricorrente principale per il principio della soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e dichiarare assorbito quello accidentale. Condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4000 per compensi professionali in favore del controricorrente, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200 e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza Camerale, il 12 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2017

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