Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2905 del 08/02/2021

Cassazione civile sez. III, 08/02/2021, (ud. 16/09/2020, dep. 08/02/2021), n.2905

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 36355/2018 proposto da:

TOTO HOLDING SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE BRUNO

BUOZZI 99, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO CRISCUOLO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCESCO RAMUNDO;

– ricorrenti –

contro

M.M.V., C.G., M.D.,

elettivamente domiciliati in ROMA, V.LE PARIOLI 79/H, presso lo

studio dell’avvocato MARIA CRISTINA BELLO, rappresentati e difesi

dagli avvocati ELENA VITA, ANNAMARIA BELLO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 826/2018 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 10/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16/09/2020 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSTANO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

con atto di citazione dell’8 aprile 2003, M.D., C.G. e M.V.M. esponevano che, con scrittura privata dell’agosto 1999, avevano concesso alla società Toto S.p.A. l’utilizzo di terreni siti in (OMISSIS) per il deposito di materiali terrosi provenienti dalla costruzione di strade di cui la società Toto era appaltatrice. Il contratto prevedeva, quale corrispettivo, l’esecuzione in favore dei concedenti di alcune opere edili indicate dettagliatamente in contratto. Lamentavano che la S.p.A. Toto aveva eseguito lavori di livellamento dei materiali sui fondi in maniera del tutto difforme dalle previsioni contrattuali, provvedendo anche a scaricare rifiuti di materiale misto a terreno e scarti di inerti. Ciò premesso, chiedevano dichiararsi la scadenza del contratto biennale dall'(OMISSIS) ovvero accertare l’inadempimento della controparte con condanna al risarcimento dei danni determinati in Euro 397.000. Si costituiva la società Toto s.p.a. contestando di essersi discostata dalle previsioni contrattuali, concludendo per il rigetto della domanda. La causa veniva istruita con l’interrogatorio formale, la prova testimoniale e consulenza tecnica;

il Tribunale di Chieti, con sentenza del 14 febbraio 2011, dichiarava la risoluzione del contratto stipulato tra le parti nell’agosto 1999, condannando la S.p.A. Toto al pagamento della somma di Euro 341.600, di cui Euro 14.300 a titolo di risarcimento danni per estirpazione dell’uliveto presente sulla particella (OMISSIS) e la restante parte per danno da inadempimento della società convenuta sia all’obbligo di sistemare il terreno degli attori con uno strato superiore costituito da terreno vegetale dello spessore di 80 cm., sia all’obbligo di realizzare le opere indicate nell’art. 6 della scrittura, nonchè all’obbligo di apporre i confini;

avverso tale sentenza proponeva appello la società Toto Holding S.p.A. criticando il criterio di valutazione del danno adottato dal Tribunale sulla base della consulenza d’ufficio, pur non contestando il proprio inadempimento rispetto alle opere da eseguire. Si costituivano M.D. e M.V. e C.G. contestando l’impugnazione;

la Corte d’Appello di L’Aquila, con sentenza del 10 maggio 2018, riteneva fondata la censura relativa all’errore di calcolo del terreno vegetale da ripristinare. Quanto, invece, al prezzo del terreno vegetale da impiegare, la Corte territoriale rilevava che attraverso i nuovi documenti allegati alla consulenza tecnica di parte depositata in appello, si introducevano elementi non risolutivi rispetto ai quali l’appellante era decaduta, per non avere preso posizione, in primo grado, successivamente al deposito dei chiarimenti da parte del CTU, nè in sede di precisazione di conclusioni e neppure con la memoria conclusionale. Conseguentemente, in parziale riforma della sentenza impugnata, predeterminava l’importo oggetto di condanna in Euro 294.825, provvedendo sulle spese;

avverso tale decisione propone ricorso per cassazione la S.p.A. Toto Holding, affidandosi a cinque motivi illustrati da memoria. Resistono con controricorso M.D., C.G. e M.M.V.. Il Procuratore generale conclude per il rinvio della decisione, in attesa della decisione del ricorso esaminato da questa Corte con ordinanza interlocutoria del 29 gennaio 2020, con la quale ha trasmesso il procedimento al primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con i primi tre motivi la società ricorrente lamenta la mancata considerazione, da parte della Corte territoriale, dei rilievi formulati in sede di memoria di replica e ribaditi in appello, circa la quantificazione del danno operata dal consulente di ufficio;

con il primo motivo, si deduce la violazione degli artt. 190 e 345 c.p.c., in relazione all’art. 115 c.p.c. e conseguente nullità della sentenza in quanto la Corte d’Appello avrebbe dichiarato l’inammissibilità delle contestazioni alla CTU sulla scelta del terreno vegetale, sollevate con la memoria di replica di primo grado e ribadite con consulenza di parte e la documentazione allegata in appello. Secondo la ricorrente il giudice di merito avrebbe dovuto esaminare la memoria di replica e ciò avrebbe impedito la declaratoria di decadenza. Inoltre, la preclusione prevista all’art. 345 c.p.c., riguarderebbe solo le eccezioni e le domande nuove, non anche le difese e le eccezioni in senso lato, nelle quali rientrerebbe la contestazione sul criterio impiegato dal consulente per determinare il costo del terreno. La Corte d’Appello avrebbe errato nel ritenere implicitamente accettate le conclusioni del consulente, nonostante la riproposizione delle critiche alla relazione dell’ausiliario del giudice;

con il secondo motivo si lamenta la violazione dell’art. 345 c.p.c. e art. 2697 c.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4, in quanto la contestazione ritenuta tardiva riguarderebbe un fatto (la diversità tra il terreno da ripristinare e quello originario), rispetto al quale non opererebbe alcuna decadenza. Si tratterebbe di una mera difesa tecnica rispetto ad una pretesa creditoria che sfuggirebbe alle norme in tema di decadenza. La Corte territoriale avrebbe dovuto qualificare gli argomenti spesi dall’odierna ricorrente come mere difese, in quanto tali proponibili in ogni fase del giudizio, che non alterano la ripartizione degli oneri probatori e che non subiscono gli effetti del principio di non contestazione;

con il terzo motivo si deduce la violazione l’art. 345 c.p.c., comma 3. La Corte da appello nel qualificare come “non risolutivi” e, quindi non indispensabili, i nuovi documenti ha fatto derivare tale caratteristica del documento dalla tardività della contestazione pervenendo, quindi, ad una osservazione meramente tautologica. Al contrario, si tratterebbe di una prova indispensabile, perchè idonea ad eliminare ogni incertezza circa la ricostruzione fattuale;

con il quarto motivo si deduce la violazione del D.M. n. 55 del 2014, art. 45 e l’art. 91 c.p.c. e art. 2233 c.c., in relazione alla inclusione di voci di compenso legate a fasi che non sarebbero state compiute. In particolare, nel giudizio di appello non sarebbe stata espletata l’attività istruttoria, atteso il rigetto della richiesta di rinnovazione delle operazioni peritali. Al contrario, in sede di liquidazione delle spese sarebbe stato conteggiato l’importo di Euro 5600 riferito a tale attività;

con il quinto motivo si lamenta la violazione delle medesime disposizioni oggetto della precedente censura riguardo all’erronea individuazione della somma risultante dalla compensazione delle spese di lite nella misura di 1/3. In particolare, l’importo determinato dal giudice di appello in Euro 19.160 non costituirebbe la somma pari ai 2/3 delle spese liquidabili con riferimento allo scaglione che va, da Euro 260.000 ad Euro 520.000, ma l’intero importo. Infatti, sulla base dei parametri di legge, la Corte avrebbe potuto liquidare una somma di poco superiore ad Euro 9000, mentre l’importo in concreto liquidato sarebbe superiore al doppio di quello consentito dalla corretta applicazione dei criteri tabellari;

i primi tre motivi pongono la questione della facoltà per la parte di contestare i risultati della consulenza tecnica d’ufficio, per la prima volta con la memoria di replica e, in via subordinata, se tali contestazioni, seppure considerate tardive in primo grado, possono essere proposte in appello, ritenendo applicabile a tali censure il medesimo principio riguardante la consulenza tecnica di parte, che non è soggetta alla disciplina delle preclusioni previste all’art. 345 c.p.c.;

si pone la questione giuridica dei limiti temporali alla facoltà per la parte di contestare i risultati della consulenza tecnica di ufficio espletata in primo grado e, con riferimento al giudizio di appello, se, nonostante la tardività delle deduzioni di primo grado, le contestazioni alla consulenza possono formare oggetto di impugnazione, ritenendo non applicabile il regime delle preclusioni previsto all’art. 345 c.p.c., a tali deduzioni, analogamente a quanto avviene per la consulenza tecnica di parte;

come evidenziato dal Procuratore generale la tematica è stato oggetto dell’ordinanza interlocutoria del 29 gennaio 2020 n. 1990 di questa Corte, che ha trasmesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite;

tale ordinanza ha posto, sia la questione della possibilità di sollevare per la prima volta in comparsa conclusionale di primo grado le critiche alla consulenza tecnica di ufficio, sia con riferimento ai procedimenti precedenti alla disciplina dettata dalla L. n. 69 del 2009, sia per quelli successivi (questione che potrebbe non essere rilevante per il giudizio in esame), sia se l’inammissibilità in primo grado di tali tardive deduzioni comporti o meno la inammissibilità nel giudizio di appello della riproposizione dei rilievi formulati in comparsa conclusionale (nel caso di specie – per noi – in memoria di replica);

per tale motivo appare opportuno aderire alla richiesta a Procuratore generale di rinvio in attesa della decisione sul ricorso esaminato da questa Corte con l’ordinanza n. 1990 del 20 gennaio 2020;

la questione è preliminare ed assorbente rispetto all’esame delle censure oggetto del quarto e quinto motivo.

P.Q.M.

rinvia a nuovo ruolo.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 16 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 febbraio 2021

 

 

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