Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29042 del 11/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 11/11/2019, (ud. 12/06/2019, dep. 11/11/2019), n.29042

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – rel. Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19887-2018 proposto da:

AGUSTA WESTLAND SPA, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELL’ASSIETTA N.

8/A, presso lo studio dell’avvocato NICOLA MAZZA, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato LUCIANO BONITO OLIVA;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 593/28/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della LOMBARDIA, depositata il 14/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ROSARIA

MARIA CASTORINA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1-bis, comma 1, lett. e), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016 osserva;

Con sentenza n. 593/08/2018, depositata il 14.2.2018 notificata il 27.4.2018, la CTR della Lombardia ha rigettato l’appello di Agusta Westland s.p.a. nei confronti dell’Agenzia delle Entrate per la riforma della sentenza di primo grado della CTP di Varese che aveva rigettato la impugnazione avverso il diniego di rimborso di tributi corrisposti negli anni dal 2001 al 2004, sul presupposto della decadenza dei termini fissati per la richiesta di rimborso.

La contribuente ricorre per la cassazione della sentenza affidando il suo mezzo a due censure, illustrate con memoria.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

1. Preliminarmente la ricorrente solleva la eccezione di illegittimità costituzionale del D.L. n. 201 del 2011, art. 2, comma 1 quater, il quale ha introdotto uno ius superveniens ad efficacia retroattiva nella parte in cui esclude dall’applicazione della deduzione Irap il costo lavoro relativo ai periodi di imposta antecedenti il 2007.

2. Con articolata, distinta censura, la ricorrente deduce la illegittimità della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione e falsa applicazione del D.L. n. 201 del 2011, art. 2, comma 1 quater, di cui la CTR aveva fornito una interpretazione in conflitto con gli artt. 3,24,42 e 53 Cost..

2.a. In sostanza la contribuente eccepisce la illegittimità costituzionale della norma posta a base della richiesta di rimborso come interpretata dalla CTR, cosicchè è necessario esaminare anzitutto la prospettata violazione di legge, alla luce della quale si appalesa la ratio delle dedotta incostituzionalità

3. Le censure di violazione di legge non sono fondate.

Il D.L. 6 dicembre 2011, n. 2, art. 2, convertito dalla L. 22 dicembre 2011, n. 214, prevede, a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2012, la deducibilità, ai sensi del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 99, comma 1, e successive modificazioni, di un importo pari all’imposta regionale sulle attività produttive determinata ai sensi del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, artt. 5,5-bis, 6,7 e 8, relativa alla quota imponibile delle spese per il personale dipendente e assimilato al netto delle deduzioni spettanti ai sensi del medesimo D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 11, comma 1, lett. a), commi 1-bis, 4-bis, 4-bis.1.

Tale deduzione analitica si aggiunge alla previgente deduzione forfettaria del 10% dell’Irap, a suo tempo introdotta dal D.L. n. 185 del 2008, art. 6.

La deducibilità è stata estesa anche ai periodi di imposta precedenti a quello in corso al 31 dicembre 2012, se alla data del 28 dicembre 2011 era ancora pendente il termine di 48 mesi per richiedere il rimborso.

Il citato art. 2, comma 1 quater, (inserito dal D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 4, comma 12), prevede, infatti, che “in relazione a quanto disposto al comma 1, e tenuto conto di quanto previsto dal citato D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 6, commi da 2 a 4, convertito, con modificazioni, dalla L. 28 gennaio 2009 n. 2, con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate sono stabilite le modalità di presentazione delle istanze di rimborso relative ai periodi di imposta precedenti a quello in corso al 31 dicembre 2012, per i quali, alla data di entrata in vigore del presente decreto, sia ancora pendente il termine di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38, nonchè ogni altra disposizione di attuazione del presente articolo”.

E’ stato pertanto, previsto, il rimborso delle maggiori imposte versate per effetto della mancata deduzione IRAP nei quattro periodi d’imposta precedenti a quello in corso al 31 dicembre 2012, purchè alla data del 28 dicembre 2011 (entrata in vigore del Salva Italia) fosse ancora pendente il termine di 48 mesi (quattro anni) previsto dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38, (in pratica, dal 28 dicembre 2007).

Le istanze di rimborso per cui è causa, siccome relative all’IRPEG/IRES versata negli anni dal 2001 al 2004 non rientrano nella previsione di limitata “retroattività” dello ius superveniens.

4. La eccezione di illegittimità costituzionale della norma appare manifestamente infondata.

In tema di imposte dirette la legge, in generale, ha sempre tendenzialmente escluso la deducibilità dall’imponibile di oneri di natura fiscale e, dall’altro, solo il legislatore può discrezionalmente regolare la materia degli oneri deducibili, in particolare di natura fiscale.

La legittimità dell’esercizio di potere ampiamente discrezionale del legislatore, nella disciplina agevolativa, è reiteratamente, ribadita dalla Corte Costituzionale – la quale ha affermato che “norme di tale tipo, aventi carattere eccezionale e derogatorio, costituiscono esercizio di un potere discrezionale del legislatore, censurabile solo per la sua eventuale palese arbitrarietà o irrazionalità (sentenza n. 292 del 1987; ordinanza n. 174 del 2001; sentenze n. ri 117 del 2017 e 17 del 2018)- e dalla Corte EDU secondo cui la materia dell’imposizione fiscale fa parte del nucleo duro delle prerogative della potestà pubblica (Ferrazzini c. Italia, 12 luglio 2011,) con vasta discrezionalità entro i confini di riserva di legge (James e altri c. Regno Unito, 21 febbraio 1986, conf. Spack c. Rep. Ceca) e ragionevole finanza pubblica (National & pro vincial building society c. Regno Unito, 23 ottobre 1997) (Cass. 11087/2019).

Nell’ordinamento tributario vige, per la ripetizione del pagamento indebito, un regime speciale basato sull’istanza di parte, da presentare, a pena di decadenza dal relativo diritto, nel termine previsto dalle singole leggi di imposta o, in mancanza di queste, dalle norme del contenzioso tributario (Cass. n. 11456/2011): il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, e il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2, norma quest’ultima residuale e di chiusura del sistema. Costituisce principio connaturato alla logica dello Stato di diritto quello in virtù del quale qualsiasi situazione o rapporto giuridico diviene irretrattabile in presenza di determinati eventi, quali lo spirale di termini di prescrizione o di decadenza, l’intervento di una sentenza passata in giudicato o altri motivi previsti dalla legge, e ciò a tutela del principio, di preminente interesse costituzionale, della certezza delle situazioni giuridiche.

Spetta al solo legislatore, in casi come quello del sopravvenire di pronunce comunitarie ovvero di una legge retroattiva, la valutazione discrezionale, nel rispetto dei principi costituzionali coinvolti, in ordine all’eventuale introduzione di termini e modalità di “riapertura” di rapporti esauriti, nel rispetto dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza.

Nella specie la retroattività del diritto al rimborso è stata ancorata alla norma generale per la ripetizione dell’indebito tributario (del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38).

Anche a voler ammettere la configurabilità di un affidamento incolpevole nella legittimità della norma vigente, la tutela di una tale situazione deve ritenersi recessiva rispetto al principio della certezza delle situazioni giuridiche, soprattutto in materia di entrate tributarie, che riceverebbe un grave vulnus, in ragione della sostanziale protrazione a tempo indeterminato dei rapporti tributari che ne deriverebbe (cfr. Cass. 13676/2014).

5. La questione di costituzionalità deve essere dichiarata manifestamente infondata. Il ricorso deve essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, va dichiarata la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara manifestamente infondata la questione di costituzionalità. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 29.000,00 oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2019

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