Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2904 del 07/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 07/02/2020, (ud. 25/09/2019, dep. 07/02/2020), n.2904

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11556-2018 proposto da:

C.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FIRENZE 32,

presso lo studio dell’avvocato ELENA IEMBO, rappresentata e difesa

dall’avvocato ANNAMARIA TROPIANO;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, V. CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE

DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati CLEMENTINA

PULLI, NICOLA VALENTE, MANUELA MASSA, EMANUELA CAPANNOLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 296/2018 del TRIBUNALE di LOCRI, depositata

l’08/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 25/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott.ssa DE

FELICE ALFONSINA.

Fatto

RILEVATO

CHE:

il Tribunale di Locri in sede di giudizio di opposizione ad Accertamento Tecnico Preventivo ha riconosciuto in capo a Carmen C. la sussistenza delle condizioni per usufruire dell’assegno mensile di assistenza (I. n. 118 del 1971); ha quindi condannato l’Inps a corrispondere all’avvocato difensore antistatario Euro 1300 a titolo di compenso professionale;

la cassazione della sentenza è domandata da C.C. sulla base di un unico motivo; l’Inps ha opposto difese con tempestivo controricorso; è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

con l’unico motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la ricorrente deduce “Violazione dell’art. 91 c.p.c., del D.M. 20 luglio 2012, n. 140, art. 41, e del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 5”; il Tribunale avrebbe omesso di liquidare gli onorari dovuti al difensore dichiaratosi anticipatario relativamente alla fase sommaria e, nella liquidazione, non avrebbe distinto le varie fasi del giudizio; neppure avrebbe tenuto conto del valore della controversia nè della natura della stessa quantificando le spese processuali senza indicare il sistema di liquidazione adottato e comunque in violazione dei parametri fissati dal D.M. n. 55 del 2014 citato in epigrafe con riferimento allo scaglione medio-alto;

il motivo è fondato alla luce del consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, agli effetti del D.M. n. 140 del 2012, art. 41, che ha dato attuazione al D.L. n. 1 del 2012, art. 9, comma 2 (conv. con L. n. 27 del 2012), i nuovi parametri cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti in luogo delle abrogate tariffe professionali sono da applicare ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto e si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, sebbene tale prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta quando ancora erano in vigore le tariffe abrogate, evocando l’accezione omnicomprensiva di “compenso” la nozione di un corrispettivo unitario per l’opera complessivamente prestata (Sez. Un. 17405/2012);

alla stregua del superiore insegnamento, alla presente fattispecie va applicato il D.M. n. 55 del 2014, in vigore dal 3.4.2014, essendo stata, la liquidazione qui censurata, adottata con sentenza dell’8 marzo 2018;

quanto alla determinazione degli scaglioni applicabili, va ribadito che, ai fini della determinazione del valore della causa per la liquidazione delle spese di giudizio, nelle controversie relative a prestazioni assistenziali deve applicarsi il criterio previsto dall’art. 13 c.p.c., comma 1, di tal che, se il titolo è controverso, il valore si determina in base all’ammontare delle somme dovute per due anni (Sez. Un. 10455 del 2015);

non sussiste, dunque, alcun obbligo per il giudice di liquidare il compenso nella misura media, dal momento che al citato D.M. n. 55 del 2014, artt. 1 e 4, gli impongono soltanto di liquidare il compenso tra il minimo ed il massimo delle tariffe, peraltro derogabili con idonea motivazione (Cass. nn. 18167 del 2015, 2386 del 2017, 4747 del 2018); applicando tali principi al caso in esame, il valore della causa va individuato tra Euro 5.200,00 ed Euro 26.000,00, in tale scaglione rientrando l’ammontare di due annualità della prestazione richiesta, ed i parametri minimi stabiliti per tale scaglione, computando tre fasi per il procedimento di istruzione preventiva e tre per la causa di merito (non essendo stata svolta attività istruttoria come dichiarato dalla stessa ricorrente), vanno individuati in Euro 911,00 per la fase di istruzione preventiva (risultanti dalla somma di Euro 270,00 per studio della controversia, Euro 337,50 per la fase introduttiva del giudizio ed Euro 303,00 per la fase istruttoria e/o di trattazione, dovendosi ridurre le prime due del 50% e la terza del 70%, ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, art. 4) e, trattandosi di causa inquadrabile nella tab. 4 (cause di previdenza), in Euro 1774,50 per il giudizio di merito (risultanti dalla somma di Euro 442,50 per la fase di studio, Euro 370,00 per la fase introduttiva del giudizio, ed Euro 962,00 per la fase decisionale, dovendosi ridurre le prime due e la fase decisionale del 50% e la fase istruttoria del 70%, e non essendosi svolta la fase istruttoria ancora ai sensi del citato D.M. n. 55 del 2014, art. 4);

avuto riguardo all’importo dianzi delineato, appare evidente come la liquidazione delle spese contenuta nell’impugnata sentenza sia inferiore a detti minimi, nè risulta alcuna motivazione in ordine alla non riconoscibilità, nel caso concreto, di alcuni compensi stabiliti dal citato D.M. n. 55 del 2014, in relazione alle singole fasi processuali; pertanto, in accoglimento del ricorso, la sentenza va cassata per quanto di ragione e, non apparendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito liquidando le spese in complessivi Euro 2.685,50 per compensi professionali relativi alle fasi di istruzione preventiva e di merito, oltre rimborso spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento;

le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza, sono poste a carico dell’INPS e vengono liquidate come da dispositivo, disponendosene la distrazione in favore dell’avv. Annamaria Tropiano, dichiaratasi antistataria;

in considerazione dell’accoglimento del ricorso, non sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa per quanto di ragione la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, liquida le spese giudiziali in Euro 2685,50, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento e accessori di legge. Condanna l’INPS alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200 per esborsi ed in Euro 1.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento e accessori di legge, con distrazione in favore del difensore della ricorrente, dichiaratosi antistatario.

Così deciso in Roma, all’Adunanza camerale, il 25 settembre 2019.

Depositato in cancelleria il 7 febbraio 2020

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