Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29036 del 27/12/2011
Cassazione civile sez. VI, 27/12/2011, (ud. 24/11/2011, dep. 27/12/2011), n.29036
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUCCIOLI Maria Grazia – Presidente –
Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –
Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –
Dott. GIANCOLA Maria Cristina – rel. Consigliere –
Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 15040-2010 proposto da:
T.G. (OMISSIS) elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA DELLE MEDAGLIE D’ORO 169, presso lo studio dell’avvocato
MANNIAS ITALA, rappresentato e difeso dall’avvocato GRASSO GIUSEPPA
giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
L.S., elettivamente domiciliata in ROMA VIALE DELLE
MILIZIE, 34, presso lo studio dell’avvocato AGOSTINO ROCCO,
rappresentata e difesa dall’avvocato BUTTA’ ANTONINO giusta mandato a
margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 25/2010 della CORTE D’APPELLO di CATANIA del
3/12/09, depositata l’11/01/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
24/11/2011 dal Consigliere Relatore Dott. MARIA CRISTINA GIANCOLA;
udito l’Avvocato Grasso Giuseppa difensore del ricorrente che si
riporta agli scritti;
udito l’Avvocato Buttà Antonino difensore della contro ricorrente
che si riporta agli scritti;
è presente il P.G. in persona del Dott. FEDERICO SORRENTINO che
aderisce alla relazione.
Fatto
FATTO E DIRITTO
Il Collegio, all’esito dell’adunanza in camera di consiglio del 24.11.2011, svoltasi con la presenza del Sost. Proc. Gen. dr F. Sorrentino, osserva e ritiene:
– il relatore designato, nella relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., ha formulato la proposta di definizione che di seguito interamente si trascrive: “il relatore, cons M. C. Giancola, esaminati gli atti, osserva:
contro la sentenza in tema di separazione personale, resa il 3.12.2009 – 11.01.2010, dalla Corte di appello di Catania, T. G. ha proposto ricorso per cassazione (notificato il 28.05.2010) nei confronti della moglie L.S., che ha resistito con controricorso (cui accedono formalità di notifica a mezzo posta, avviate il 5.07.2010) con l’impugnata sentenza la Corte distrettuale, in accoglimento del gravame della L., ha ritenuto che la separazione dei coniugi non potesse essere addebitata anche alla appellante (ma solo al marito e conseguentemente ha imposto a quest’ultimo di corrispondere alla moglie il chiesto assegno di mantenimento, determinandolo nell’importo di Euro 500,00 mensili, nonchè di pagare le spese dei due gradi del giudizio di merito, liquidate in complessivi Euro 4.000,00, per ciascuna delle fasi a sostegno del ricorso il T. formula quattro motivi, di cui i primi tre inerenti all’addebito della separazione a sè e l’ultimo al regime delle spese processuali, in particolare denunziando:
1. “Violazione e/o errata interpretazione ed applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e dell’art. 113 c.p.c.”.
2. “L’omessa ed insufficiente motivazione circa il punto decisivo della controversia da luogo alla violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e dell’art. 113 c.p.c.”.
3. “Violazione e falsa applicazione della legge che regola la materia”.
4. “Sulle spese processuali dei trascorsi gradi di merito”.
le censure appaiono manifestamente prive di pregio, in quanto:
a) il primo, il secondo ed il terzo motivo del ricorso, che connessi consentono esame congiunto, si sostanziano in rilievi critici o generici e non decisivi o infondati, posto che la pronuncia della Corte distrettuale appare aderente al dettato normativo e compiutamente argomentata anche dal richiamo non al solo contenuto della sentenza penale, quand’anche non ancora definitiva, di condanna del T. per il reato dì violenza sessuale di cui all’art. 609 bis c.p. ma al complesso delle risultanze istruttorie anche documentali, emerse in questa e nella diversa sede, le quali univocamente dimostravano la perpretazione da parte del ricorrente di reiterate violenze fisiche e psicologiche in danno della moglie, l’una delle quali anche alla presenza dei due figli, violenze di cui tra l’altro, le ammesse ragioni risultavano ancorate a retaggi ancestrali e che la Corte non ha mancato dì inquadrare nel contesto familiare, puntualmente verificando anche la condotta tenuta dalla moglie, di cui ha evidenziato i prevalenti estremi e circostanziato pure temporalmente le poche occasioni in cui aveva potuto assumere plausibili connotati reattivi alle subite vessazioni;
b) il terzo (recttus quarto,) motivo è inammissibile per genericità e difetto di specifica censura avverso la statuizione impositiva al ricorrente, soccombente, delle spese di entrambi i gradi del giudizio di merito;
il ricorso può, quindi, essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380 bis e 375 c.p.c., per esservi respinto”.
la relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero, che non ha depositato conclusioni scritte, e notificata ai difensori delle parti, che hanno presentato memorie;
il ricorso non è soggetto alla formulazione del quesito di diritto, giacchè l’art. 366-bis cod. proc. civ. che lo prevedeva è stato abrogato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47 il cui art. 58 chiarisce che tale abrogazione concerne i ricorsi per cassazione proposti, quale quello di specie, avverso i provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore della medesima Legge (4 luglio 2009);
anche dalle memorie depositate non emergono rilievi atti ad inficiare le valutazioni espresse nella relazione in particolare, il contenuto della memoria depositata dal T. si sostanzia essenzialmente:
a) quanto ai primi tre motivi d’impugnazione, in reiterazione di pregresse e già sfavorevolmente valutate censure o in irrilevanti nuovi richiami a vicende familiari e processuali, non evidenziate nell’impugnata pronuncia, e/o di nuovo in inammissibili, generiche critiche di errori valutativi con connesse e del pari inammissibili richieste di un diverso apprezzamento dei dati in tale pronuncia considerati;
b) quanto al quarto motivo d’impugnazione, sostanzialmente nell’auspicio della compensazione delle spese inerenti ai gradi di merito, in contrasto con le note regole per le quali con riferimento al regolamento delle spese, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato – come nella specie non è avvenuto – il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite.
Conclusivamente non emergono elementi che possano portare a conclusioni diverse da quelle rassegnate nella condivisa relazione di cui sopra il ricorso va, quindi, respinto, con conseguente condanna del T., soccombente, al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il T. a rimborsare alla L. le spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000.00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 24 novembre 2011.
Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2011