Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29034 del 13/11/2018

Cassazione civile sez. III, 13/11/2018, (ud. 27/09/2018, dep. 13/11/2018), n.29034

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11994-2016 proposto da:

M.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FABIO

MASSIMO 60, presso lo studio dell’avvocato ANGELO AVERNI,

rappresentato e difeso dagli avvocati GIUSEPPE PAGLIAMINUTO,

FRANCESCO SAVERIO CHIARADIA giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

CATTOLICA DI ASSICURAZIONI SCARL, in persona del Procuratore Dott.

B.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI RIPETTA

22, presso lo studio dell’avvocato SERGIO RUSSO, che la rappresenta

e difende giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

VM TRASPORTI SRL, T.T.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 538/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 23/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/09/2018 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO.

Fatto

RITENUTO

che:

1. M.D. ricorre, affidandosi a quattro motivi, per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro che, riformando la pronuncia del Tribunale di Castrovillari, aveva solo parzialmente accolto l’impugnazione principale da lui proposta avverso la liquidazione del danno (che assumeva essere stato riduttivamente determinato dal primo giudice) derivante dalle lesioni subite in qualità di terzo trasportato nell’incidente stradale occorso mentre si trovava a bordo dell’autovettura condotta dal padre.

2. La Società Cattolica Ass.ni Coop a r.l. ha resistito con controricorso e memorie.

Gli altri intimati non si sono difesi.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 990 del 1969, artt. 18, 22 e 23 dell’art. 106 c.p.c. e del principio del litisconsorzio necessario.

Lamenta che la Corte territoriale aveva erroneamente confermato la dichiarazione di improponibilità della domanda pronunciata dal Tribunale nei confronti della Cattolica Ass.ni Spa: assume, al riguardo, che detta società era stata chiamata in causa dalla HDI Ass.ni contestualmente all’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata e che, pertanto, la domanda inizialmente proposta contro l’originario convenuto doveva ritenersi estesa anche nei confronti del chiamato, pur in mancanza di un’apposita richiesta, così come tutti gli atti ad essa preliminari.

1.1. Il motivo è infondato.

Si osserva, infatti, preliminarmente che la giurisprudenza richiamata dal ricorrente e riferita alla fonte dell’obbligazione risarcitoria nel litisconsorzio (cfr. pag. 6 del ricorso che cita Cass. 3567/2013 secondo cui “nei giudizi proposti ai sensi della L. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 18 (oggi abrogato e trasfuso nel D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209, art. 144), gli stessi fatti che determinano la responsabilità e la condanna del danneggiante costituiscono la fonte dell’obbligazione risarcitoria dell’assicuratore, comportando una situazione di litisconsorzio necessario tra entrambi tali soggetti e il terzo danneggiato ed impedendo che si pervenga a decisioni differenziate in ordine ai rapporti tra responsabile e danneggiato, da un lato, e danneggiato ed assicuratore, dall’altro”; nonchè Cass. 11371/2002 e Cass. 4145/2003) sono del tutto inconferenti con il caso in esame, in cui – pacifica l’erroneità della vocatio in ius della HDI in ragione della circostanza che alla data dell’incidente la polizza assicurativa a suo tempo stipulata era già scaduta – la statuizione di improponibilità della domanda della società Cattolica di Assicurazione Coop a r.l. chiamata in garanzia risulta coerente sia con il dovere dell’attore di individuare l’esatto contraddittore delle proprie pretese (cfr. Cass. 4445/2014), sia con il principio secondo cui “in tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, l’onere che la L. n. 990 del 1969, art. 22 (applicabile nella fattispecie “ratione temporis”) pone a carico del danneggiato per la richiesta di risarcimento del danno va osservato anche quando l’assicuratore sia terzo chiamato in causa dal convenuto, senza che, atteso il tenore della norma, tale onere possa considerarsi altrimenti assolto mediante l’atto di chiamata in causa da parte del convenuto o in virtù della comunicazione all’assicuratore da parte del danneggiante circa l’iniziativa giudiziaria intrapresa dal danneggiato.”(Cass. 3449/2012).

La Corte ha fatto corretta applicazione di tali principi e, pertanto, la censura deve essere rigettata.

2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione (ex art. 360 c.p.c., commi. 1 e 3) dell’art. 183 c.p.c. nonchè la carenza di motivazione e I’ omessa statuizione su un punto decisivo della domanda.

Lamenta che la Corte d’Appello non si era pronunciata sul rigetto dell’istanza di rimessione della causa sul ruolo da parte del primo giudice, fondata sull’esigenza di discutere l’eccezione di improponibilità (sottraendola pertanto al contraddittorio e pronunciandosi “a sorpresa” dopo aver deciso sulla istanza di provvisionale, senza menzionare la specifica questione); che non aveva valutato che la lettera di richiesta stragiudiziale del risarcimento era intestata ad entrambe le compagnie e che, comunque la condotta processuale della Cattolica doveva interpretarsi come una rinuncia all’eccezione di improponibilità.

2.1. Il motivo è complessivamente inammissibile.

Infatti, premesso che l’eccezione di improponibilità della domanda fondata sull’omissione di cui alla L. n. 990 del 1969, art. 22 è rilevabile d’ufficio e che, pertanto, non è riscontrabile la violazione dell’art. 183 c.p.c. denunciata, si osserva che la Corte territoriale ha puntualmente dato conto di tutta la documentazione prodotta in primo grado e l’ha minuziosamente riesaminata operando un doveroso confronto fra quanto versato in atti e l’indice dei documenti prodotto dinanzi al Tribunale e rilevando motivatamente (v. pag. 17 della sentenza) la non corrispondenza di esso con le missive presenti nel fascicolo e fra le date di esse e quelle indicate nell’elenco.

La Corte ha anche osservato che la lettera dell’8.5.2011 – nella quale risulta che la Cattolica ammette di aver ricevuto la richiesta risarcitoria relativa al sinistro – oltre a non essere riportata nell’indice (circostanza alla quale è stata correttamente fatta seguire una valutazione di irrilevanza in termini probatori) non proveniva da M.D. ma da M.P. che non era parte del giudizio.

La censura, pertanto, avuto riguardo alla scrupolosa motivazione della sentenza impugnata che ha esaminato compiutamente le medesime emergenze processuali oggetto della censura proposta, maschera una richiesta di rivalutazione delle prove che non può trovare ingresso in sede (cfr. Cass. 8758/2017) di legittimità in presenza di congrua e logica motivazione.

3. Con il terzo motivo, il ricorrente, ex art. 360 c.p.c., n. 3, ha dedotto la violazione e falsa applicazione degli artt. 2054,2059,1126 e 1223 c.c., e del principio di integrità del risarcimento: il ricorrente lamenta infatti che non era stato. riconosciuta la personalizzazione del danno non patrimoniale, nè era stato ricompreso il pregiudizio derivante dalla riduzione della capacità lavorativa conseguente alle lesioni riportate dal M. a seguito del sinistro.

3.1. Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.

Si osserva, infatti, preliminarmente, che i giudici d’appello hanno dato riscontro alla censura relativa al mancato riconoscimento dell’incapacità lavorativa specifica del ricorrente affermando che la domanda era stata avanzata soltanto nella comparsa conclusionale del 12 dicembre 2014 ed era, dunque, tardiva.

La reiterazione, in questa sede, della medesima censura risulta pertanto inammissibile in quanto, sul punto, la statuizione dei giudici d’appello risulta essere esaustiva e corredata da una motivazione al di sopra della sufficienza costituzionale.

3.2. In ordine al mancato riconoscimento della personalizzazione del danno, si osserva che questa Corte ha avuto modo, recentemente, di chiarire che “la natura unitaria c.d. onnicomprensiva del danno non patrimoniale, come predicata dalle sezioni unite della S.C., deve essere interpretata, rispettivamente, nel senso di unitarietà rispetto a qualsiasi lesione di un interesse o valore costituzionalmente protetto non suscettibile di valutazione economica e come obbligo, per il giudice di merito, di tener conto, a fini risarcitori, di tutte le conseguenze derivanti dall’evento di danno, nessuna esclusa, con il concorrente limite di evitare duplicazioni risarcitorie, attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici, e di non oltrepassare una soglia minima di apprezzabilità, procedendo ad un accertamento concreto e non astratto, dando ingresso a tutti i mezzi di prova normativamente previsti, ivi compresi il fatto notorio, le massime di esperienza, le presunzioni” (cfr. Cass. 901/2018). Ed è stato anche affermato che “costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del “danno biologico” e del “danno dinamico – relazionale”, atteso che con quest’ultimo si individuano pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente (quali il pregiudizio alle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale). Non costituisce invece duplicazione la congiunta attribuzione del “danno biologico” e di una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perchè non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado di percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell’animo, la vergogna, la disistima di sè, la paura, la disperazione). Ne deriva che, ove sia dedotta e provata l’esistenza di uno di tali pregiudizi non aventi base medico-legale, essi dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione.”(cfr. Cass. 7513/2018; Cass. 901/2018).

Nel caso in esame, la Corte reggina risulta che sia avvalsa per la quantificazione del danno delle tabelle del Tribunale di Milano (cfr. Cass. 12408/2011) e che nessuna specifica allegazione e prova sia stata dedotta dall’attore, di ciò onerato, in relazione a specifici aspetti dinamico relazionali, estranei ed ulteriori rispetto a quelli medico legali già quantificati attraverso l’applicazione delle tabelle.

3.3. I giudici d’appello, pertanto, hanno fatto corretta applicazione dei principi sopra richiamati avendo ritenuto che nessuna somma era dovuta al M. per “aumento personalizzato” “per mancanza di allegazione e prova specifica sul punto”. (cfr. pag. 28 della sentenza): la relativa censura deve essere, dunque, respinta.

4. Infine, con il quarto motivo, il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., n. 3 e 5, la violazione dell’art. 1224 c.c. sulla quantificazione degli interessi legali.

Il motivo è infondato.

4.1. Il passaggio motivazionale riportato nel ricorso a sostegno della censura (cfr. pag. 20), infatti, risulta privo di due fondamentali espressioni (“devalutando” e “via via rivalutata dalla predetta data”) contenute, invece, nella motivazione della sentenza, attraverso le quali risultano illustrati con chiarezza e senso compiuto i principi da applicare per la determinazione del lucro cessante (cfr. pag. 29: “per cui nel complesso, la somma dovuta al M. va determinata all’attualità in Euro 986.338,86. Secondo i principi statuiti dalla Suprema Corte a decorrere dalla decisione del 1995 n 1712 spettano poi gli interessi legali sulla somma di Euro 761.063,00 ottenuta devalutando alla data del (OMISSIS) (data dell’illecito) la somma di Euro 986.338,86 sopra determinata, in base agli indici Istat (costo vita) via via rivalutata dalla predetta data del (OMISSIS) alla data di pubblicazione della presente sentenza, per il complessivo importo di Euro 300.744,58”).

La critica pertanto, prende le mosse da un presupposto erroneo, laddove i criteri di calcolo utilizzati e esplicitati nella motivazione risultano essere corretti e coerenti con i principi riaffermati, anche recentemente, da questa Corte (cfr. Cass. 1712/1995 e, in termini, Cass. 9950/2017; Cass. 25817/2017).

In conclusione il ricorso deve essere rigettato.

5. Sussistono giusti motivi, riconducibili alla connotazione particolarmente dolorosa della vicenda ed alla complessità delle questioni trattate, per compensare le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte,

rigetta il ricorso.

Dichiara compensate le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione terza civile, il 27 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2018

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