Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29033 del 20/10/2021

Cassazione civile sez. trib., 20/10/2021, (ud. 06/05/2021, dep. 20/10/2021), n.29033

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26769-2014 proposto da:

D.N.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

ALBALONGA 7, presso lo studio dell’avvocato CLEMENTINO PALMIERO,

rappresentato e difeso dall’avvocato D.N.G.;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

sul ricorso 23339-2015 proposto da: AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona

del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

D.N.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

ALBALONGA 7, presso lo studio dell’avvocato CLEMENTINO PALMIERO,

rappresentato e difeso dall’avvocato D.N.G.;

– controricorrente –

avverso le sentenze n. 233/2014 della COMM. TRIB. REG. MOLISE,

depositata il 20/10/2014 e n. 178/2015 della COMM. TRIB. REG. MOLISE

depositata il 25/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/05/2021 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI.

 

Fatto

RITENUTO

che:

D.N.G., avvocato, propose ricorsi avverso il provvedimento di diniego di istanze di definizione agevolata ex L. n. 289 del 2002, art. 9 bis, delle dichiarazioni relative alle annualità 2001 e 2002, basato sul mancato versamento nei termini dell’ultima rata dell’importo autoliquidato per regolarizzare la propria posizione nei confronti del fisco, nonché avverso la cartella di pagamento recante l’iscrizione a ruolo di Irpef, Iva, Irap e ritenute alla fonte per l’anno 2001, tributi, in tesi, sanati.

Il contribuente dedusse che il versamento in misura inferiore al dovuto non comportava l’invalidazione del condono ma soltanto il potere-dovere dell’Ufficio di recuperare la differenza non corrisposta tramite iscrizione a ruolo.

Contestò anche i conteggi dell’Ufficio e le sanzioni maggiorate, ed inoltre aggiunse che il ritardo nel pagamento del dovuto per il perfezionamento dei condono non era a lui imputabile, essendosi attenuto alle indicazioni fornite dal proprio consulente finanziario.

L’adita Commissione Tributaria Provinciale di Campobasso riuniti i ricorsi li disattese, con decisione che, in esito all’appello del contribuente, fu riformata dalla Commissione Tributaria Regionale del Molise, con sentenza n. 30/1/07, depositata il 31/3/2008, sul rilievo che il mancato tempestivo pagamento della quarta rata comporta non l’inefficacia del condono, ma il recupero della differenza dovuta, in quanto l’errore scusabile di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 16, comma 9, deve ritenersi applicabile a tutte le forme di condono, anche nella prospettiva di consentire ai contribuenti incorsi in errore di provvedere all’integrazione del dovuto in una materia oggettivamente complessa.

Avverso la sentenza di appello l’Agenzia delle Entrate propose ricorso per cassazione, affidato ad un motivo (violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), cui il contribuente resistette con controricorso, e la Corte, con ordinanza n. 23547/2012, in accoglimento del ricorso erariale, cassò la sentenza impugnata rinviando la causa, anche per la regolamentazione delle spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Molise.

Riassunto il giudizio dal contribuente, il giudice di rinvio, con sentenza n. 233/3/14, depositata il 20/10/2014, ha sostanzialmente respinto l’originario ricorso, con ogni conseguenza anche in ordine alle spese processuali.

La Commissione Tributaria Regionale del Molise, in qualità di giudice di rinvio, osserva che la questione dell’errore scusabile è estranea al thema decidendum del giudizio di rinvio, il quale concerne l’esatta quantificazione di imposte e relative sanzioni, e che i relativi calcoli dell’Ufficio si basano sulle stesse dichiarazioni presentate dal contribuente, non essendo applicabile l’invocata riduzione delle sanzioni al 10% in difetto di pagamento dell’imposta evasa nel previsto termine di 30 giorni dal ricevimento della comunicazione di diniego.

Ricorre (RGN n. 26769/2014) per la cassazione della sentenza il D.N. con due motivi; resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

La decisione del giudice di rinvio (sentenza n. 233/3714) è stata impugnata dal contribuente anche per revocazione, segnatamente, per errore di fatto e violazione del giudicato, e la Commissione Tributaria Regionale del Molise, con sentenza n. 178/2/15, depositata il 26/5/2015, ha accolto il ricorso, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 5, ed annullato la sentenza impugnata.

Il giudice dell’impugnazione revocatoria osserva che la sentenza cassata venne impugnata dall’Agenzia delle Entrate per dedotta “diversità del condono di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 9 bis, rispetto al condono di cui all’art. 16 stessa legge” e non per inapplicabilità al condono clemenziale dell’errore scusabile, “con conseguente passaggio in giudicato di detto capo della sentenza” concernente la sussistenza dell’esimente.

L’Agenzia delle Entrate ricorre (RGN n. 23339/2015) per la cassazione della predetta sentenza, con due motivi; resiste con controricorso il contribuente.

Il ricorrente ha depositato, in prossimità dell’adunanza, istanza di differimento della decisione.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Ricorso del D.N..

Con il primo motivo il ricorrente deduce la nullità della sentenza di per omesso esame, da parte del giudice di rinvio, della eccezione di giudicato in punto di sussistenza dell’errore scusabile di cui alla L. n. 289 del 2012, art. 16, comma 9, ai sensi dell’art. 2909 c.c., dell’art. 24Cost, degli artt. 112 e 352 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avendo l’Agenzia delle Entrate chiesto la cassazione della decisione del giudice di appello per violazione della L. n. 289 del 2002, art. 9 bis, in ragione del mancato pagamento nei termini della quarta rata e della ritenuta inefficacia della domanda di condono clemenziale, e non anche perché il collegio giudicante aveva ritenuto applicabile l’istituto dell’errore scusabile di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 16, comma 9, alla intera materia delle sanatorie fiscali.

Con il secondo motivo, deduce la nullità della sentenza e del procedimento per violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, nn. 4 e n. 3, omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, perché la CTR si è limitata a richiamare per relationem la motivazione della sentenza del primo giudice, sfavorevole al contribuente, senza compiere le attività demandate al giudice di merito dalla Corte di legittimità in ordine alla correttezza dell’operato dell’Ufficio, che senza attivare una formale procedura di contestazione, al fine di consentire al contribuente di avvalersi degli istituti difensivi e oppositivi previsti dalla legge, aveva incamerato le somme versate quali semplici acconti nonché applicato le sanzioni.

Ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate.

Con il primo motivo, la ricorrente Agenzia delle Entrate deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 395 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, perché la CTR non ha rilevato, come avrebbe dovuto invece fare, l’inammissibilità della impugnazione per revocazione proposta dal contribuente al solo scopo di provocare un riesame delle questioni di fatto e di diritto già decise dal giudice di rinvio, obbligato a decidere in conformità del principio di diritto enunciato, con l’ordinanza n. 23547/2012, dalla Corte di Cassazione.

Con il secondo motivo, deduce violazione degli artt. 324 e 392 e segg. c.p.c., dell’art. 2909 c.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 63,, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché la CTR erra nell’affermare che la stessa Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 17/E del 21/3/2010, ha riconosciuto l’estensibilità dell’errore scusabile a tutte le forme di condono e che su tale principio, non investito dal ricorso per cassazione a suo tempo proposto dall’Ufficio, si è formato il giudicato, che vincola il giudice di rinvio, e perché non ha considerato che a quest’ultimo era stato rimesso soltanto l’esame delle “contestazioni (…) in merito ai conteggi operati dall’Ufficio ed alle sanzioni”, tale essendo l’oggetto del giudizio conclusosi con la sentenza impugnata per revocazione.

Preliminarmente, non può essere accolta l’istanza di rinvio formulata dalla parte ricorrente al fine di provvedere al deposito della documentazione concernente un procedimento di “definizione bonaria” della controversia genericamente indicato, atteso che il richiesto differimento dell’udienza si porrebbe in manifesta contraddizione con il principio costituzionale della ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.).

Sempre preliminarmente, va disposta ai sensi dell’art. 274 c.p.c., la riunione dei ricorsi, quello (RGN. n. 26769/2014) proposto dal contribuente avverso la sentenza n. 233/3/14 della CTR del Molise, pronunciata in sede di rinvio, nel giudizio che ha definito il giudizio d’impugnazione del diniego di condono e della cartella esattoriale per Irpef, Iva, Irap e ritenute alla fonte, relativamente all’anno 2001, nonché quello (RGN. n. 23339/2015) proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza n. 178/2/2015, che ha ritenuto ammissibile l’impugnazione per revocazione della suindicata decisione e disposto l’annullamento della impugnata decisione per “violazione del giudicato formatosi sull’errore scusabile con la sentenza della CTR n. 30/1/07, la cui riconosciuta applicabilità anche al condono ex art. 9 bis, ha escluso la colpevolezza e l’antigiuridicità del ritardo da parte del contribuente”.

Il carattere pregiudiziale delle questioni inerenti al giudizio di revocazione ed alla sentenza che lo ha definito, oggetto del riunito ricorso (R.G.N. n. 23339/2015), comporta che il loro esame abbia la precedenza su quelle oggetto del ricorso contro la sentenza di rinvio (Cass. n. 2218/2004, n. 6878/2009; n. 6456/2010, n. 3184/2018).

Il primo motivo del ricorso erariale è fondato e merita di essere accolto per le ragioni di seguito esposte.

L’art. 384 c.p.c., comma 2, stabilisce che la Corte di cassazione, quando accoglie il ricorso, cassa la sentenza, rinviando la causa ad altro giudice, che deve uniformarsi al principio di diritto e comunque a quanto statuito dalla Corte medesima, così distinguendo la fase rescindente dalla fase rescissoria.

Con la richiamata ordinanza n. 23547/2012, questa Corte ha puntualizzato “che, in assenza di disposizioni quali quelle di cui alla L. n. 289 del 2002, artt. 8,9,15 e 16 (che considerano efficaci le ipotesi di condono ivi regolate anche in mancanza di adempimento integrale, ma che sono insuscettibili di applicazione analogica perché di carattere eccezionale), il condono previsto alla L. n. 289 del 2002, art. 9 bis – relativo alla possibilità di definire gli omessi e tardivi versamenti delle imposte e delle ritenute emergenti dalle dichiarazioni presentate, mediante il solo pagamento dell’imposta e degli interessi o, in caso di mero ritardo, dei soli interessi, senza aggravi e sanzioni – è subordinato al pagamento (in un’unica soluzione o in modo rateale) delle imposte, nei modi e nei termini di cui alla medesima disposizione, con la conseguenza che, nel caso di omesso o non puntuale pagamento, l’istanza di definizione diviene inefficace e si verifica la perdita della possibilità di avvalersi della definizione anticipata”.

Ha rilevato, inoltre, che non essendo l’impugnata decisione del giudice di appello ispirata all’indicato criterio, in accoglimento del ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate, la stessa va cassata e “risultando contestazioni anche in merito ai conteggi operati dall’Ufficio ed alle sanzioni”, la causa va rinviata ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Molise.

L’adito giudice di rinvio, con sentenza n. 233/3/14, ha respinto nel merito l’originario ricorso del contribuente e, per quanto qui ancora d’interesse, ha ritenuto superabile l’eccezione di giudicato (interno) in punto di errore scusabile, essendo la questione estranea al thema decidendum e cioè in considerazione “sia dei precisi limiti di devoluzione contenuti nella decisione della Suprema Corte, sia dell’ulteriore circostanza che con tale decisione la sentenza impugnata è stata cassata in toto e non in relata parte”.

Secondo il contribuente, viceversa, sarebbe rimasto fuori della portata del decisum della Corte di cassazione il profilo dell’applicabilità al condono clemenziale di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 9 bis, dell’errore scusabile previsto dal successivo art. 16 per le diverse ipotesi di condono premiale, in quanto questione risolta favorevolmente nel relativo “capo della sentenza” cassata, che non ha costituito oggetto di ricorso per cassazione, e cioè del quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c., questione, pertanto, non più esaminabile in sede di giudizio di rinvio.

Orbene, nel caso di specie, La Corte (Cass. n. 23547/2012) ha chiaramente fissato, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., il principio di diritto per cui, in tema di condono tributario, ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 9 bis, il beneficio è rigorosamente subordinato al pagamento delle imposte, nei modi e nei termini di cui alla medesima disposizione, con la conseguenza che l’omesso o non puntuale pagamento, rende l’istanza di definizione inefficace, con perdita della possibilità di avvalersi della definizione anticipata, non essendo appunto applicabile in quanto previsto dagli artt. 8, 9, 15 e 16 citata L., nella parte in cui esplicitamente considerano efficaci le ipotesi di condono ivi regolate anche in mancanza di adempimento integrale, trattandosi di disposizioni di carattere eccezionale che, in quanto tali, sono insuscettibili di applicazione analogica e non possono colmare, diversamente da quanto prospettato dal contribuente, la mancata previsione dell’errore scusabile nel testo dell’art. 9 bis L. più volte citata.

E’ di tutta evidenza l’erroneità della decisione assunta dalla CTR del Molise che accoglie “il ricorso per revocazione e, per l’effetto, annulla l’opposta sentenza”, invece di rilevare l’inammissibilità dell’impugnazione revocatoria proposta dal contribuente avverso la sentenza del giudice di rinvio, in relazione all’art. 395 c.p.c., n. 5, per violazione del favorevole giudicato (interno) asseritamente formatosi sulla acclarata applicabilità al condono clemenziale dell’errore scusabile, esimente prevista in altra tipologia di sanatoria fiscale e non applicabile estensivamente in ragione del carattere eccezionale delle norme in tema di condono e dunque incompatibile con la definizione agevolata L. n. 289 del 2002, ex art. 9 bis.

Va ricordato, infatti, che secondo la giurisprudenza della Corte, “L’istanza di revocazione, prevista dall’art. 395 c.p.c., n. 5, per essere la sentenza da revocare contraria ad altra precedente avente tra le parti autorità di cosa giudicata, è ammissibile solo quando si tratta di giudicato risultante da un giudizio separato e sempre che, con la sentenza da revocare, il giudice non abbia pronunciato sull’eccezione di giudicato esterno; quando il contrasto con un precedente giudicato si riferisce ad una sentenza pronunciata nell’ambito dello stesso giudizio, il rimedio contro la violazione del giudicato interno è quello del ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4” (Cass. n. 155/2014 e n. 22177/2016).

E’ stato, altresì, precisato che “In tema di giudizio di rinvio, il principio della rilevabilità del giudicato (sia interno che esterno) in ogni stato e grado del giudizio deve essere coordinato con i principi che disciplinano il giudizio di rinvio e, segnatamente, con la prospettata efficacia preclusiva della sentenza di cassazione con rinvio, che riguarda non solo le questioni dedotte dalle parti o rilevate d’ufficio nel giudizio di legittimità, ma anche quelle che costituiscono il necessario presupposto della sentenza, ancorché non dedotte o rilevate in quel giudizio, sicché il giudice di rinvio non può prendere in esame neppure la questione concernente l’esistenza di un giudicato esterno o (come nella specie) interno, qualora l’esistenza di quest’ultimo, pur potendo essere allegata o rilevata, risulti tuttavia esclusa, quantomeno implicitamente, dalla sentenza di cassazione con rinvio.” (Cass. n. 16171/2015).

La impugnata decisione della CTR del Molise neppure appare in linea con la giurisprudenza della Corte secondo cui “La formazione della cosa giudicata su un capo della sentenza per mancata impugnazione può verificarsi solo con riferimento ai capi che siano completamente autonomi perché fondati su distinti presupposti di fatto e di diritto, sicché l’acquiescenza alle parti della sentenza non impugnata non si verifica quando queste si pongano in nesso conseguenziale con altra e trovino in essa il suo presupposto.” (Cass. n. 18713/2016, n. 12649/2010).

Viene, allora, in rilievo il principio generale per cui “L’errore di fatto, quale motivo di revocazione della sentenza ai sensi dell’art. 395, richiamato per le sentenze della Corte di cassazione dall’art. 391-bis c.p.c., deve consistere in una falsa percezione di quanto emerge dagli atti sottoposti al suo giudizio, concretatasi in una svista materiale su circostanze decisive, emergenti direttamente dagli atti con carattere di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, con esclusione di ogni apprezzamento in ordine alla valutazione in diritto delle risultanze processuali; non può, dunque, ritenersi sussistente l’errore revocatorio, allorché la parte abbia denunciato l’erronea presupposizione dell’inesistenza di un giudicato, poiché questo, essendo destinato a fissare la “regola” del caso concreto, partecipa della natura dei comandi giuridicì e, conseguentemente, la sua interpretazione non si esaurisce in un giudizio di fatto, ma attiene all’interpretazione delle norme giuridiche.” (Cass. n. 17443/2008; n. 9193/2009).

Il contribuente, in buona sostanza, si è avvalso di un mezzo d’impugnazione non pertinente, avendo censurato la sentenza del giudice di rinvio in ragione di un preteso errore di accertamento ed interpretazione di un giudicato in tesi preclusivo, questione astrattamente deducibile come violazione dell’art. 2909 c.c. o come vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non come vizio revocatorio.

Dall’accoglimento del primo motivo di ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate, discende l’assorbimento del secondo, in quanto il contribuente ha utilizzato un mezzo d’impugnazione non pertinente, avendo censurato la sentenza del giudice di rinvio in relazione all’erroneo accertamento ed interpretazione di un giudicato (interno) preclusivo, vizio non riconducibile ad alcuna figura di errore revocatorio.

La sentenza n. 178/2/15 della CTP. dei Molise va cassata senza rinvio, ai sensi dell’art. 382 c.p.c., comma 3, e va dichiarata l’inammissibilità dell’impugnazione proposta dal contribuente.

Passando all’esame del ricorso proposto dal contribuente, le censure, che possono essere scrutinate congiuntamente, sono infondate e non meritano accoglimento.

Il ricorrente si duole del fatto che giudice di rinvio non ha tenuto conto del giudicato (interno) formatosi sull’applicabilità, anche nella fattispecie per cui è causa, dell’errore scusabile previsto dalla L. n. 289 del 2002, art. 16, comma 9.

Sostiene, in buona sostanza, il contribuente che il mancato pagamento nei termini di una rata (la quarta) del condono previsto dal L. n. 289 del 2002, art. 9 bis, non avrebbe determinato l’inefficacia della istanza di definizione, né laperdita della possibilità di avvalersi della definizione agevolata degli omessi o tardivi versamenti delle imposte e delle ritenute emergenti dalle dichiarazioni presentate, ma avrebbe legittimato l’Amministrazione finanziaria a recuperare la differenza, dovendo trovare applicazione l’esimente dell’errore scusabile di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 16, comma 9, istituto applicabile a tutte le forme di condono, al fine di consentire ai contribuenti incorsi in errore di provvedere all’integrazione del dovuto.

La richiamata disposizione (L. n. 289 del 2002, art. 16, comma 9) espressamente prevede, nell’ambito della disciplina dettata per la “chiusura delle liti pendenti”, che “in caso di pagamento in misura inferiore a quella dovuta, qualora sia riconosciuta la scusabilità dell’errore, è consentita la regolarizzazione del pagamento medesimo entro trenta giorni dalla data di ricevimento della relativa comunicazione dell’Ufficio”.

Analoga possibilità non è prevista nell’ambito della disciplina del condono di cui all’art. 9-bis L.F. 2003, relativo alla “definizione degli omessi o tardivi versamenti”, che è valido soltanto qualora siano state pagate tutte le rate dovute per la definizione (ipotesi che qui pacificamente ricorre).

L’Agenzia delle Entrate sottolinea come anche nei documenti di prassi richiamati da entrambe le parti, risulti che il versamento della prima rata non è sufficiente per evitare la sanzione, pari al 30 per cento dell’intera somma dovuta originariamente, che i versamenti eseguiti erano stati imputati proporzionalmente alle imposte dovute (annualità 2001 e 2002), e che per la riduzione delle sanzioni al 10 per cento era necessario provvedere al pagamento dell’imposta evasa nel termine di trenta giorni dal ricevimento della comunicazione d, diniego.

L’art. 9 bis in esame, infatti, non prevede che il condono mantenga efficacia in caso di omesso o tardivo versamento di una o più rate successive alla prima, per cui le sanzioni (del 30 per cento) vanno applicate sull’intero debito originario e non soltanto sulle somme residue.

In tal senso si è reiteratamente espressa la Corte, la quale ha affermato il principio secondo cui: “il condono previsto dalla L. n. 289 del 2012, art. 9 bis, relativo alla possibilità di definire gli omessi e tardivi versamenti delle imposte e delle ritenute emergenti dalle dichiarazioni presentate, mediante il solo pagamento dell’imposta e degli interessi o, in caso di mero ritardo, dei soli interessi, senza aggravi e sanzioni, costituisce una forma di condono clemenziale e non premiale come, invece, deve ritenersi per le fattispecie regolate dalla L. n. 289 del 2002, artt. 7,8,9,15 e 16, le quali attribuiscono al contribuente il diritto potestativo di chiedere un accertamento straordinario, da effettuarsi con regole peculiari rispetto a quello ordinario, con la conseguenza che, nell’ipotesi di cui all’art. 9-bis, non essendo necessaria alcuna attività di liquidazione D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36-bis, in ordine alla determinazione del “quantum”, esattamente indicato nell’importo specificato nella dichiarazione integrativa presentata ai sensi del comma 3, con gli interessi di cui all’art. 4, il condono è condizionato dall’integrale pagamento di quanto dovuto ed il pagamento rateale determina la definizione della lite pendente solo quando tale condizione venga rispettata, e si provveda al pagamento delle imposte, nei termini e nei modi di cui alla medesima disposizione, con la conseguenza che, nel caso di omesso o non integrale pagamento, l’istanza di definizione diviene inefficace e si verifica la perdita della possibilità di avvalersi della definizione anticipata” (ex multis Cass. n. 10650/2013, n. 19895/2016, n. 14293/2016, 12312/2016, n. 25238/2013, n. 21346/2012, n. 19546/2011).

Ed anche la sentenza (n. 23547/2012) pronunciata inter partes dalla Corte, come in precedenza osservato, non manca di sottolineare che, in assenza di disposizioni come quelle previste dalla L. n. 289 del 2002, art. 8,9 e 15 (a norma delle quali “l’omesso versamento delle eccedenze entro le date indicate non determina l’inefficacia della definizione”), nonché dalla medesima L., art. 16, comma 2 (secondo cui “l’omesso versamento delle rate successive alla prima entro le date indicate non determina l’inefficacia della definizione”), è possibile non applicare le sanzioni soltanto se si provvede al pagamento (in unica soluzione o rateale che sia) delle imposte nei termini e nei modi stabiliti dalla norma, con la conseguenza che tale effetto non si verifica (neppure parzialmente), se il pagamento non interviene nei suddetti termini e modi (in termini, Cass. n. 12312/2016, n. 15638/2013, n. 15639/2013, n. 21364/2012, n. 20745/2010).

Proprio alla luce di siffatte considerazioni, e segnatamente della rimarcata eccezionalità di ciascuna norma condonistica, nonché della diversità di presupposti e, quindi, di fattispecie, con riguardo alle ipotesi specificamente regolate dall’art. 9 bis, ed a quelle altrettanto specificatamente regolate dalla L. n. 289 del 2002, artt. 16 e 17, la Corte è giunta a ritenere manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9 bis citato “nella parte in cui non sancisce il perfezionamento della definizione con la presentazione dell’istanza di condono e il versamento della prima rata analogamente a quanto previsto dalle ipotesi di definizione previste dalla stessa L. n. 289 del 2002”.

Tanto premesso e considerato, non sussiste la denunciata omessa pronuncia sulla eccepita preclusione da giudicato interno.

Va, in primo luogo, evidenziato che il profilo censorio riferibile alla dedotta violazione del diritto di difesa (art. 24 Cost.) “per avere, il Presidente della C.T.R., impedito al ricorrente di discutere ed illustrare a eccezione di giudicato formulata nel ricorso in riassunzione e la sua ammissibilità e rilevanza nel giudizio di rinvio”, non supera lo scrutinio di ammissibilità per difetto di autosufficienza, avuto riguardo al riferito deposito di pronunce giurisprudenziali asseritamente favorevoli alla tesi del contribuente, e perché la doglianza non contiene l’allegazione di un concreto ed apprezzabile pregiudizio al contraddittorio processuale, essendo insufficiente dedurre genericamente di non aver potuto esercitare la facoltà di fornire ed illustrare gli elementi necessari a confutare la tesi sostenuta dall’Agenzia delle Entrate.

in secondo luogo, il ricorrente lamenta che l’accoglimento del ricorso erariale è rimasto nei limiti dell’oggetto del motivo per come a suo tempo formulato dall’Agenzia delle Entrate, e che l’impugnazione che non investiva direttamente l’affermazione, contenuta nella (cassata) sentenza n. 30/1/07 della CTR del Molise, circa l’estensione dell’errore scusabile a tutte le ipotesi di condono previste dalla L. n. 289 del 2002.

Tuttavia, la sentenza n. 23547/2012 della Corte mette chiaramente in evidenza la circostanza che, “nel suo nucleo essenziale, la decisione impugnata recita: “… In effetti l’Ufficio per il mancato pagamento della quarta rata del condono, disconoscendone la validità, ha ritenuto legittimo agire per il recupero, ritenendo la validità dell’istanza di definizione presentata ai sensi della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 9 bis, subordinata al versamento di tutte le rate previste, dimenticando come, anche ii versamento di un importo inferiore alla somma dei ratei, non lo autorizzava a disconoscere la validità del condono, ma, semmai, lo legittimava ad agire per il recupero della differenza”; ciò anche nella prospettiva di consentire ai contribuenti incorsi in errore di provvedere all’integrazione del dovuto;”.

La CTR del Molise, giudice di rinvio, ha esaminato e motivatamente disatteso l’eccezione del contribuente “in considerazione sia dei precisi limiti di devoluzione contenuti nella decisione della Suprema Corte, sia dell’ulteriore circostanza che con tale decisione la sentenza impugnata è stata cassata toto e non in relata parte”, con ciò ritenendo che “l’unico aspetto che può trovare ingresso in questa fase del giudizio è quello riguardante la quantificazione delle imposte evase e quella delle sanzioni eventualmente applicabili da momento che la Cassazione, con la decisione innanzi richiamata, ha ribadito il principio, più volte affermato in sue precedenti decisioni, che in tema di condono ex art. 9 bis la validità dell’istanza di definizione è subordinata al versamento di tutte le rate previste.”.

Il giudicante ha esattamente interpretato la portata del giudicato escludendo che la nella sentenza impugnata vi fosse un capo autonomo fondato su una autonoma ratio decidendi incentrata sulla dedotta operatività dell’errore scusabile, ed ha ricondotto la relativa questione giuridica a quella, di più ampio respiro, della preventiva individuazione, ed esatta interpretazione, della disciplina applicabile alla ipotesi di condono di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 9 bis.

A ben vedere, la pronuncia cassatoria della Corte di legittimità, avendo demolito in parte qua la impugnata sentenza di appello sul rilievo della non applicabilità della disciplina prevista dalla citata L. n. 289 del 2002, art. 16, ha escluso in radice la sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’invocato istituto dell’errore scusabile.

La motivazione della sentenza della CTR non appare viziata neppure sotto il profilo dedotto con il secondo motivo di ricorso, in quanto dà conto delle modalità di calcolo delle sanzioni applicate, questione pacificamente rientrante nel thema decidendum del giudizio di rinvio.

Nella specie, non è contestato che il recupero a tassazione dell’Ufficio impositore è avvenuto a seguito dell’omesso, integrale, versamento, da parte del contribuente, delle imposte dovute a saldo, risultanti dalla sua dichiarazione dei redditi, e delle ritenute operate, sicché non vi era alcuna ragione o alcuna situazione d’incertezza sulla dichiarazione che rendessero necessario il previo invio della comunicazione d’irregolarità.

La cartella di pagamento. derivando dall’omesso versamento delle imposte dichiarate dal contribuente, non necessitava di una particolare indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche della pretesa impositiva, essendo il contribuente già a conoscenza del contenuto della propria dichiarazione dei redditi, da cui scaturiva l’obbligazione tributaria.

E’ il caso di ricordare, al riguardo, il costante e condivisibile orientamento della Corte, in virtù del quale, “La cartella con cui l’Amministrazione chieda il pagamento delle imposte, dichiarate dal contribuente e non versate, non necessita di specifica motivazione, non risultando a tale fine applicabile né la L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3 (il quale prevede siano messi a disposizione del contribuente gli atti di cui egli già non disponga), né il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 25 (che prescrive il contenuto minimo della cartella), in quanto la pretesa tributaria scaturisce dalla pura e semplice obbligazione di pagamento delle imposte, determinate nella dichiarazione del contribuente. Spetta, eventualmente, a quest’ultimo, in relazione aì principi generali in tema di onere della prova, allegare e provare di avere effettuato in tutto o in parte i versamenti richiesti, in adempimento dell’obbligo in questione. (Fattispecie relativa a cartella recante la dizione “somme dovute a seguito di controllo della dichiarazione dei redditi”).” (Cass. n. 27140/2011).

E’ appena il caso di osservare che le doglianze del contribuente non si confrontano con la decisione impugnata e sono radicalmente inammissibili laddove impostano la questione controversa da un angolo visuale, ed in termini giuridici, affatto diversi da quelli già fissati dalla sentenza n. 23547/2012 della Corte di cassazione a cui le parti ed il giudice di rinvio devono rigorosamente conformarsi.

In conclusione, il ricorso del contribuente va respinto.

Le spese dei riuniti ricorsi seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo, quelle del giudizio di revocazione, stante a peculiare evoluzione della vicenda processuale, sono compensate tra le parti.

P.Q.M.

La Corte, dispone la riunione al ricorso distinto con RGN n. 26769/2014 del ricorso distinto con RGN n. 23339/2015, accoglie il ricorso (RGN n. 23339/2015) dell’Agenzia delle Entrate, cassa la sentenza n. 178/2/15 della CTR del Molise senza rinvio e dichiara inammissibile il ricorso per revocazione proposto da D.N.G., rigetta il ricorso (RGN n. 26769/2014) del predetto contribuente, che condanna al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 4.000,00 per compensi, oltre rimborso spese prenotate a debito. Compensa tra le parti le spese del giudizio di revocazione.

Dichiara che il ricorrente D.N. ha l’obbligo di versare l’ulteriore importo per contributo unificato ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Quinta Sezione Civile, Cassazione, il 6 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2021

 

 

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA