Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29030 del 13/11/2018

Cassazione civile sez. III, 13/11/2018, (ud. 21/09/2018, dep. 13/11/2018), n.29030

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7181-2015 proposto da:

T.V., G.M.G., D.A.,

F.C., elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA COLA DI RIENZO

217, presso lo studio dell’avvocato PAOLO ZAGAMI, rappresentati e

difesi dagli avvocati MAURIZIO ROMOLO, GABRIELLA RUGGIERO giusta

procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

COMUNE CITTANOVA, in persona del Sindaco pro tempore

C.F., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE

DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati ROSARIO

CASELLA, FRANCESCO BRUZZESE giusta procura speciale a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 269/2014 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 17/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/09/2018 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI;

Fatto

RILEVATO

che:

T.V., D.A., F.C. e G.M.G. agirono in giudizio nei confronti del Comune di Cittanova per sentirlo condannare al risarcimento dei danni subiti a causa della “illegittimità degli atti adottati dal Comune convenuto e delle omissioni da questo concretizzate nelle adozioni del Piano di Lottizzazione, approvato con Delib. C.C. n. 31 del 2003, nella successiva convenzione urbanistica con i privati lottizzanti, e nel conseguente rilascio di permessi di costruire (e DIA) ed esecuzione del piano che hanno consentito l’effettivo avvio degli interventi edilizi fonte di indubbio danno alle proprietà degli attori” (così dalla sentenza di appello);

il Tribunale dichiarò il proprio difetto di giurisdizione, ritenendo che la controversia rientrasse nell’ambito della giurisdizione amministrativa esclusiva prevista dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 34, comma 1 e succ. mod.;

la Corte di Appello di Reggio Calabria ha rigettato il gravame ritenendo che “il difetto di giurisdizione dell’A.G.O. emerga chiaro, non dalla natura esclusiva della giurisdizione amministrativa, siccome erroneamente ritenuto dal Giudice di prime cure, ma piuttosto dal tenore del petitum”; ha rilevato “la divisio tra la competenza dell’A.G.O. e quella del T.A.R. è data dal tipo di domanda proposta (causa petendi e petitum): se si chiede l’annullamento di un atto amministrativo e il conseguente risarcimento del danno da esso cagionato, se si chiede la tutela di un interesse legittimo nei confronti della P.A., la giurisdizione spetta al G.A.. Ove invece si agisca ex art. 2043 c.c. nei confronti della P.A. per comportamenti asseritamente dannosi per il privato, la giurisdizione è dell’A.G.O.”; tanto premesso, ha osservato che gli appellanti “hanno esplicitamente chiesto la declaratoria di illegittimità degli atti amministrativi adottati dal Comune (piano di lottizzazione e conseguenti permessi di costruire) e il conseguente risarcimento del danno”, proponendo pertanto “due domande, entrambe con efficacia di giudicato, l’una di declaratoria di illegittimità degli atti amministrativi de quibus; l’altra, consequenziale, di risarcimento del danno derivante”, dovendosi da ciò “inferire che la giurisdizione, anche in ordine alla domanda risarcitoria, si appartiene al Giudice amministrativo”;

hanno proposto ricorso per cassazione il T., il D., la G. e la F., affidandosi ad un unico motivo; ha resistito il Comune intimato con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con l’unico motivo, i ricorrenti hanno denunciato “violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione all’art. 112 c.p.c.: assumono di non aver “mai richiesto alcuna declaratoria di illegittimità degli atti amministrativi adottati dal Comune” (come emergeva dalle note conclusive depositate in primo grado) e che “la domanda, ribadita in appello, aveva ed ha come oggetto di accertare e dichiarare, ai fini della incidenza nella sfera giuridico-soggettiva degli attori/appellanti e con indubbia lesione di un loro diritto soggettivo patrimoniale la illegittimità (intesa come pregiudizialità) degli atti/comportamenti posti in essere dal Comune di Cittanova, atti legittimi ma che così come adottati, pur nella legittima tutela di interessi e diritti di altri privati, costituiscono indubbia fonte di danno dei ricorrenti con conseguente tenutezza risarcitoria secondo il principio neminem laedere”;

il motivo è inammissibile;

se è vero che l’interpretazione della domanda – costituente compito esclusivo del giudice di merito – è sindacabile in sede di legittimità (oltre che deducendo un vizio motivazionale, nei limiti ancora consentiti dal novellato testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5) laddove “da tale interpretazione la parte faccia discendere la violazione del principio di necessaria corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, denunziando quindi un errore “in procedendo”” (Cass. n. 13426/2004; cfr. anche Cass. n. 17109/2009, Cass. n. 18158/2012 e Cass. n. 21421/2014), deve tuttavia considerarsi che:

– perchè possa utilmente dedursi in sede di legittimità un error in procedendo ex art. 112 c.p.c., occorre che le “istanze siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione (…) onde consentire al giudice di verificarne, “in primis”, la ritualità e la tempestività ed, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettatevi”, dovendosi ritenere che, pur essendo la Corte di Cassazione – in questo caso – giudice anche del “fatto processuale”, “il potere – dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato, a pena di inammissibilità, all’adempimento da parte del ricorrente, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione (…) dell’onere di indicarli compiutamente” (Cass. n. 6361/2007; negli stessi termini, Cass. n. 15367/2014; cfr. anche Cass. n. 6055/2003);

– nel caso di specie, i ricorrenti non hanno ottemperato a tale onere, in quanto hanno omesso di trascrivere in ricorso gli esatti termini della domanda proposta in primo grado e di quella riprodotta in appello: quanto alla prima, risulta del tutto inidoneo il richiamo alle note conclusive depositate nel primo giudizio (che hanno una portata meramente illustrativa e non valgono a individuare o modificare i termini della domanda originaria); nè risulta in alcun modo indicato in quali termini la domanda sia stata riproposta in grado di appello;

in difetto di tali indicazioni, la censura ex art. 112 c.p.c. risulta pertanto inammissibile;

il tutto a prescindere dalla evidente infondatezza del motivo, che può essere affermata da questa sezione semplice (ex art. 374 c.p.c., comma 1, u.p.), giacchè sulla questione sussiste consolidata giurisprudenza delle Sezioni Unite;

deve considerarsi, infatti, che (indipendentemente dalla proposizione di una domanda di accertamento dell’illegittimità di atti amministrativi, negata dai ricorrenti, ma affermata dalla Corte di Appello) i danni di cui è richiesto il risarcimento discenderebbero in ogni caso da una attività provvedimentale esplicantesi in atti amministrativi, di talchè l’accoglimento della domanda risarcitoria comporterebbe in ogni caso una pregiudiziale verifica della legittimità di tale attività, da compiersi con efficacia di giudicato e, come tale, esulante dall’ambito della giurisdizione ordinaria;

le spese di lite seguono la soccombenza;

sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, al rimborso degli esborsi (liquidati in Euro 200,00) e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 21 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2018

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