Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2903 del 15/02/2016


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 2903 Anno 2016
Presidente: CECCHERINI ALDO
Relatore: DIDONE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 3321-2010 proposto da:
FALLIMENTO DELLA INECOMA S.P.A. (P.I. 00185020617), in
persona del Curatore avv. GAETANO PASTENA,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE BELLE
ARTI 7, presso l’avvocato GIUSEPPE AMBROSIO,

Data pubblicazione: 15/02/2016

rappresentato e difeso dall’avvocato AMEDEO BASSI,
giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente contro

INTESA SANPAOLO S.P.A. (c.f. 00799960158), in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

1

domiciliata in ROMA, L.G0 DI TORRE ARGENTINA 11,
presso l’avvocato DARIO MARTELLA, rappresentata e
difesa dall’avvocato ERNESTO SPARANO, giusta procura a
margine del controricorso;

controrícorrente

di NAPOLI, depositata il 29/12/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 17/12/2015 dal Consigliere Dott. ANTONIO
DIDONE;
udito,

per

il

ricorrente,

l’Avvocato

GIUSEPPE

AMBROSIO, con delega, che ha chiesto l’accoglimento
del ricorso;
udito, per la controricorrente, l’Avvocato ERNESTO
SPARANO che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ROSARIO GIOVANNI RUSSO che ha concluso
per il rigetto del secondo motivo, per l’accoglimento
del primo

(Cass.

Sent.

23393/07),

in subordine

avverso la sentenza n. 4459/2008 della CORTE D’APPELLO

rimessione alle SS.UU..

2

Ragioni di fatto e di diritto della decisione
1.- Con la sentenza impugnata (depositata il 29.12.2008) la
Corte di appello di Napoli ha confermato la decisione del
tribunale con la quale era stata rigettata la domanda di
revoca di rimesse bancarie solutorie eseguite in periodo

sospetto proposta dal curatore del fallimento della s.p.a.
INECOMA nei confronti del Banco di Napoli (cui, poi, è
succeduta Intesa San Paolo).
La domanda era riferita a tre versamenti su conto scoperto
(oltre i limiti dell’affidato). I primi due sono stati
ritenuti privi di natura solutoria perché finalizzate a
costituire provvista subito utilizzata dalla società per il
pagamento di debiti vari. La corte di merito ha ritenuto
che dall’andamento del conto si potesse trarre la prova
dell’accordo diretto a consentire le c.d. “partite
bilanciate” in deroga all’art. 7 NBU.
Il terzo versamento – pari a lire 831.290.440 – di cui era
stata chiesta la revoca per la parte eccedente la somma di
lire 500.000.000, pari all’apertura di credito, non era
revocabile perché eseguito dall’amministratore della
società ad estinzione della propria obbligazione quale
fideiussore della fallita. Non vi era prova dell’utilizzo
di somme di spettanza della società (anzi vi era la prova
dell’addebito della somma sul c/c personale
dell’amministratore) né che il solvens avesse esercitato il
regresso contro la debitrice principale. Infine, era
3

pacifico che l’amministratore avesse prestato fideiussione
in favore della fallita.
Contro la sentenza di appello il curatore del fallimento ha
proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
Resiste con controricorso la s.p.a. Intesa Sanpaolo.

Nel termine di cui all’art. 378 c.p.c. le parti hanno
depositato memorie.
2.1.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione
e falsa applicazione dell’art. 67 1. fall., anche in
relazione all’art. 7 NBU nonché vizio di motivazione.
Formula, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. – applicabile
ratione temporis – il seguente quesito di diritto: «se
l’onere probatorio avente ad oggetto la esistenza del
collegamento funzionale fra le operazioni contrapposte
eseguite su di un conto corrente scoperto – collegamento
idoneo a qualificare le operazioni medesime come bilanciate
e a sottrarle alla disciplina contemplata dall’art. 67 II
co. 1. fall. – possa ritenersi assolto dalla sola analisi
dell’andamento del conto; o se invece la banca, sulla quale
grava il menzionato onere, sia tenuta alla allegazione di
una specifica convenzione derogatoria dell’art. 7 delle
Norme Bancarie Uniformi, la quale impedisca al credito
della banca di essere esigibile e alla rimessa di assumere
la funzione di pagamento».
Il motivo – inammissibile nella parte in cui denuncia vizio
di motivazione senza formulare la prescritta sintesi ex
4

art. 366 bis c.p.c.

è infondato perché secondo la

giurisprudenza della S. .C.

in tema di revocatoria

fallimentare delle rimesse bancarie in conto corrente
bancario, per potersi escludere la revocabilità di rimesse
affluite su un conto scoperto, in quanto dipendenti da

funzione solutoria delle stesse, in virtù di accordi
intercorsi tra il “solvens” e l'”accipiens”, che le abbiano
destinate a costituire la provvista di coeve o prossime
operazioni di prelievo o di pagamenti mirati in favore di
terzi, così da potersi escludere che la banca abbia
beneficiato dell’operazione sia prima, all’atto della
rimessa, sia dopo, all’atto del suo impiego (Sez. 1,
Sentenza n. 17195 del 29/07/2014) e la prova dei predetti
accordi può risultare anche da “facta concludentia” (Cass.
n. 1834/2011), nella concreta fattispecie ritenuti
sussistenti dalla corte di merito con accertamento in fatto
non censurato ritualmente.
2.2.- Con il secondo motivo il ricorrente denuncia
violazione e falsa applicazione dell’art. 67 1. fall. in
relazione agli artt. 1180 e 2697 c.c. Formula il seguente
quesito di diritto: «se, in caso di rimessa solutoria
eseguita sul conto della fallita dal legale
rappresentante/garante della debitrice, sia onere della
banca convenuta – la quale eccepisca la irrevocabilità del
versamento in quanto finalizzato all’adempimento di un

fl

t
/

—–

operazioni bilanciate, è necessario il venir meno della

obbligo di garanzia – fornire la prova della natura del
pagamento e quindi fornire la prova della natura non
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solutoria della rimessa, mediante la allegazione di
elementi opponibili alla curatela».
Deduce che avrebbe dovuto essere accertata una espressa

dichiarazione del solvens che ricollegasse il giroconto
alla garanzia piuttosto che a un finanziamento.
L’amministratore era il dominus dell’intero gruppo e si
comportava come imprenditore individuale. E’ mancata
l’escussione della garanzia.
Il motivo – là dove non è inammissibile perché veicola
censure in fatto – è infondato perché secondo la
giurisprudenza di legittimità in tema di azione revocatoria
fallimentare, le rimesse effettuate dal terzo fideiussore
w
sul conto corrente dell’imprenditore, poi fallito, non sono
revocabili ai sensi dell’art. 67, secondo comma, della
legge fallimentare, quando risulti che attraverso la
rimessa il terzo non ha posto la somma nella disponibilità
giuridica e materiale del debitore, ma – senza utilizzare
una provvista del debitore e senza rivalersi nei suoi
confronti prima del fallimento- ha adempiuto in qualità di
terzo fideiussore l’obbligazione di garanzia nei confronti
della banca creditrice. Infatti, in questa ipotesi il
pagamento è effettuato dal garante allo scopo di adempiere
l’obbligazione di garanzia, autonoma, ancorché accessoria e
di contenuto identico rispetto all’obbligazione principale,
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per evitare le conseguenze cui resterebbe esposto per
effetto dell’inadempimento, mentre la modalità del
pagamento non determina, di per sé, l’acquisizione della
disponibilità della somma da parte del titolare del conto
corrente perché essa è soltanto contabile ed è priva di

terzo-, non incide sulla provenienza della somma dal terzo
e sulla causa del pagamento (estinzione dell’obbligazione
fideiussoria, in difetto di una diversa imputazione) e
perciò non viola la ‘par condicio creditorum’ (Sez. U,
Sentenza n. 16874 del 12/08/2005). Principio correttamente
applicato dalla corte di merito.
Il ricorso è rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità – liquidate in
dispositivo – seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità,
liquidate in euro 8.200,00 di cui euro 200,00 per esborsi,
oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 17
dicembre 2015

autonomia rispetto all’estinzione del debito da parte del

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