Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29025 del 17/12/2020

Cassazione civile sez. I, 17/12/2020, (ud. 13/10/2020, dep. 17/12/2020), n.29025

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso 1081/2019 proposto da:

R.N., elettivamente domiciliato in Brescia, Via Moretto, 70,

presso lo studio dell’Avv. Luca Zuppelli, che lo rappresenta e lo

difende;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno;

– intimato –

Avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 28/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/10/2020 da Dott. ACIERNO MARIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Tribunale di Ancona ha rigettato la domanda di protezione internazionale ed umanitaria proposta dal cittadino (OMISSIS) R.N.. A sostegno della decisione ha affermato:

– In merito al riconoscimento dello status di rifugiato, difettano i presupposti normativi richiesti dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2 e D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 8. Nello specifico, il ricorrente non ha allegato di essere affiliato politicamente o di appartenere ad una minoranza etnica e/o religiosa oggetto di persecuzioni, nè di essere esposto al rischio di subire torture o altre forme di violenza a cagione dei motivi previsti dagli articoli sopra menzionati.

Per quanto concerne la domanda di protezione sussidiaria, non viene in rilievo nessuno dei profili di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), dal momento che non emergono, a carico del ricorrente, circostanze tali da ritenere fondata la possibilità di essere sottoposto a pena capitale o a trattamenti inumani o degradanti nel Paese di origine. Invero, il sistema giudiziario del Pakistan presenta sicuramente dei profili di criticità, dovuti a leggi processuali obsolete, all’esiguo numero dei giudici, all’ingente carico di contenziosi ed alla lentezza dei procedimenti, tuttavia, vengono assicurate le ordinarie garanzie difensive (presunzione di innocenza, cross examination, appellabilità delle decisioni di primo grado, diritto di assistenza da parte di un avvocato, eventuale sussidio pubblico per le spese processuali di secondo grado).

Non risulta tantomeno integrata l’ipotesi di danno grave di cui all’art. 14 cit., lett. c posto che il richiedente ha riferito un unico episodio di violenza e, in ogni caso, le istituzione presenti nel Paese di origine sono in grado di fornirgli tutela adeguata. Deve quindi escludersi che il (OMISSIS) sia caratterizzato da un grado di violenza indiscriminata tale da pregiudicare la vita e l’incolumità di un civile per la sola presenza nell’area in questione, così come richiesto dalla giurisprudenza italiana ed Europea (si veda la sentenza della CGUE Elgafaji c. Staatssecretaris Van Justitie del 17 febbraio 2009, nel procedimento C-465/07).

Quanto al rilascio del permesso per motivi umanitari, il giudizio prognostico di elevata vulnerabilità del ricorrente, in caso di rimpatrio forzoso, ha esito negativo. Il richiedente ha allegato un contratto di lavoro a tempo determinato, ma questo non legittima, di per sè, la protezione umanitaria, in assenza di elementi individualizzanti che, tenuto conto della situazione del Paese di origine, dimostrino la sussistenza di gravi motivi di carattere umanitario di cui al D.L. n. 113 del 2018, art. 1, comma 9.

Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il cittadino straniero. Non ha svolto difese il Ministero intimato.

Nel primo motivo di ricorso viene censurata la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 14 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per non avere il Tribunale preso atto della documentazione prodotta e delle dichiarazioni rilasciate, nonchè per non aver attivato i poteri officiosi finalizzati ad ottenere un’adeguata conoscenza della situazione del Paese di origine del richiedente. Di fatti, in (OMISSIS), vige la c.d. legge del taglione e la pena rappresenta una forma di vendetta pubblica esercitata dall’autorità.

Nel secondo motivo si lamenta l’insufficiente e contraddittoria motivazione su fatti o questioni controverse e decisive ai fini del giudizio. Più precisamente, il Tribunale rigetta il ricorso sulla base di ragionamenti che hanno un presupposto errato, immaginando che il (OMISSIS) sia un Paese ove vige lo Stato di diritto, ignorando, invece, la situazione di forte instabilità socio-poiltica che lo caratterizza. Il ricorrente ha dichiarato di aver lasciato il Paese a causa di un incidente stradale con esiti mortali e di aver ricevuto minacce da parte della famiglia del deceduto, pertanto, è fondato il timore di subire violenze e/o danni alla sua integrità personale.

Con il terzo motivo di ricorso si censura la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 poichè il giudice di merito ha omesso di prendere in considerazione le minacce già subite dal Sig. R., le quali, ai sensi della suddetta disposizione, costituiscono un serio indizio della fondatezza del timore di subirne di nuove.

Invero, i parenti della persona deceduta durante il sinistro hanno provveduto a spezzare le ossa al padre del richiedente.

I motivi di impugnazione non superano il vaglio di ammissibilità per difetto di specificità.

La difesa non ha fornito alcuna prova della gravità delle minacce subite nel Paese di origine, le quali peraltro non hanno interessato direttamente il ricorrente, bensì il padre dello stesso. A fronte del racconto di un singolo episodio di violenza, sommariamente asserito e non comprovato da elementi ulteriori rispetto alle mere dichiarazioni del richiedente, il Tribunale ha correttamente escluso l’operatività dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e la conseguente infondatezza del timore di subire atti persecutori diretti ed attuali, ovvero, danni gravi alla persona D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b). In conclusione, le minacce subite non sono di entità tale da integrare i presupposti legittimanti il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria di cui alle lett. a) e b) cit.

In merito alla situazione socio-politica attualmente vigente in (OMISSIS), la difesa deduce una generica situazione di instabilità senza allegare fonti che depongano in tal senso. Se il giudice di merito ha motivato le sue conclusioni sulla base di informazioni precise ed aggiornate (si veda pag. 4 del provvedimento impugnato), diversamente, il ricorrente è venuto meno all’onere di indicare le fonti che, secondo la sua prospettazione, avrebbero potuto condurre ad un diverso esito del giudizio. Come affermato dalla recente giurisprudenza di questa Corte, in mancanza di tale allegazione, si paventa l’impossibilità, per la stessa, di valutare la teorica rilevanza e decisività della censura (Cass., Sez. I, 22769/2020).

In ultima istanza, la difesa solleva questione incidentale di legittimità costituzionale del D.L. n. 13 del 2017 per violazione del requisito della straordinaria necessità ed urgenza, nonchè per violazione degli artt. 77 e 111 Cost. e dei limiti previsti dalla L. n. 400 del 1988, art. 15. Più precisamente il D.L. cit. non contiene norme di immediata applicazione, posto che, ai sensi dell’art. 21 dello stesso, le disposizioni più significative si applicano a partire dal 180 giorno successivo alla sua entrata in vigore. In aggiunta, il suo contenuto non è omogeneo, considerato che, nella competenza dei Tribunali specializzati, sono inserite materie estranee alla protezione internazionale. Da ultimo, il modello processuale di tipo camerale previsto dal legislatore, caratterizzato da un unico grado di merito, con udienza meramente eventuale e senza altra difesa che quella scritta, comporta la palese violazione del diritto di difesa e delle regole del giusto processo sancite dall’art. 111 Cost.

Questa Corte (Cass., Sez. I, n. 17717/2018) ha già avuto modo di affermare la manifesta infondatezza della questione inerente al preteso difetto dei requisiti di necessità ed urgenza ex art. 77 Cost., poichè la disposizione transitoria – che differisce di 180 giorni dall’emanazione del decreto l’entrata in vigore del nuovo rito – è connaturata all’esigenza di predisporre un congruo intervallo temporale al fine di consentire alla complessa riforma processuale di entrare a regime.

La questione è manifestamente infondata anche in relazione all’art. 111 Cost., poichè il rito camerale di cui agli artt. 737 c.p.c. e ss., da sempre impiegato anche per la trattazione di controversie in materia di diritti e status, è idoneo a garantire l’adeguato dispiegarsi del contraddittorio con riguardo al riconoscimento della protezione internazionale. Quanto asserito rimane fermo anche nel caso in cui non sia disposta l’udienza, sia perchè tale eventualità è limitata solo alle ipotesi in cui, in ragione dell’attività istruttoria precedentemente svolta, essa appaia superflua, sia perchè in tal caso le parti sono comunque garantite dal diritto di depositare difese scritte (si rinvia sempre a Cass., Sez. I, 17717/2018). Peraltro, va tenuto conto del fatto che il procedimento giurisdizionale è preceduto da una fase amministrativa che si svolge davanti alle commissioni territoriali deputate ad acquisire, attraverso il colloquio con l’istante, l’elemento istruttorio centrale ai fini della valutazione della domanda di protezione (Cass., 27700/2018; Cass., 28119/2018).

Esclusa la possibilità di accogliere alcuna delle censure sollevate dalla difesa, il ricorso va dichiarato inammissibile. In mancanza di difese della parte intimata non deve essere adottata alcuna statuizione sulle spese processuali.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 13 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2020

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