Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29022 del 13/11/2018

Cassazione civile sez. III, 13/11/2018, (ud. 28/06/2018, dep. 13/11/2018), n.29022

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27682-2016 proposto da:

B. SRL, in persona del Presidente del C.d.A. e legale

rappresentante pro-tempore, sig. B.E., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA CARLO DENINA 50, presso lo studio

dell’avvocato MASSIMO IANNI FICORILLI, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati ALBERTO BONANDRINI, CARLO GIOVANNI CATTANEO

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

ACCEDO S.P.A., già INTESA SANPAOLO PERSONAL FINANCE SPA, in persona

del Responsabile Centro Recupero crediti, Avv. ANDREA TOMASSETTI,

elettivamente domiciliata in ROMA, SALITA POGGIO S. LORENZO 10,

presso lo studio dell’avvocato ALESSIA SANTOSTEFANO, rappresentata e

difesa dall’avvocato FEDERICA BITELLI giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

e contro

NEOS FINANCE SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 979/2016 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 08/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/06/2018 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI.

Fatto

RILEVATO

che:

B. s.r.l. propose innanzi al Tribunale di Bologna opposizione al decreto ingiuntivo emesso in favore di Neos Banca s.p.a. per l’importo di Euro 23.173,59 oltre interessi convenzionali, credito derivante da convenzione stipulata fra l’opponente e Finemiro Banca s.p.a. per finanziamenti da erogarsi da parte di quest’ultima in favore di acquirenti di autoveicoli venduti da B. e per non essere state rimborsate le rate di finanziamento da parte di R.E., con fideiussione di P.C., in relazione a modulo di finanziamento i cui dati erano risultati falsi. Il Tribunale adito rigetti l’opposizione. Avverso detta sentenza propose appello B. s.r.l.. Con sentenza di data 8 giugno 2016 la Corte d’appello di Bologna rigetta l’appello.

Osservò la corte territoriale, con riferimento al primo motivo di appello in punto di idoneità della documentazione probatoria posta a base del decreto ingiuntivo, che, a parte l’idoneità della documentazione per le ragioni esposte dal giudice di primo grado, non era stata censurata l’affermazione assorbente secondo cui oggetto dell’opposizione doveva essere l’accertamento della sussistenza del credito a prescindere dall’idoneità della prova fornita in sede monitoria. Aggiunse che l’appellante si era espressamente impegnata a rispondere dell’inadempimento del finanziato nel caso di non autenticità dei dati raccolti, a prescindere dalle ragioni che avevano reso possibile tale circostanza, e che l’avere eseguito in modo diligente quanto previsto in contratto per la raccolta dei dati e dei documenti non equivaleva ad escludere la responsabilitàdi B., responsabilità contrattualmente prevista e non esclusa dall’incolpevole raccolta di dati risultati non corretti perchè non autentici. Osservò inoltre che il documento prodotto in udienza non era ammissibile in quanto del tutto irrilevante (dallo stesso risultava che un soggetto qualificatosi come R.E. aveva alienato l’autovettura, utilizzando documenti risultati non autentici).

Ha proposto ricorso per cassazione B. s.r.l. sulla base di cinque motivi e resiste con controricorso la parte intimata. E’ stato fissato il ricorso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2. E’ stata presentata memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 50 e artt. 633 e 634 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la ricorrente che il fatto che la liquidazione delle spese del decreto illegittimamente emesso non potesse gravare sull’opponente ingiustamente onerato corrispondeva a censura che era stata proposta in sede di appello, come risultante dalla comparsa conclusionale d’appello, e che il decreto ingiuntivo, emesso in base al D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 50 era invalido, non costituendo la scheda di conto prodotta l’estratto conto certificato conforme come prescritto dalla legge, ma semplice fotocopia di non si sa quale documento (il Tribunale lo aveva riqualificato scrittura contabile).

Il motivo è inammissibile. La corte territoriale ha ritenuto inammissibile il motivo di appello per non essere stata censurata l’affermazione assorbente secondo cui oggetto dell’opposizione doveva essere l’accertamento della sussistenza del credito a prescindere dall’idoneità della prova fornita in sede monitoria. La ricorrente impugna la statuizione affermando che la censura è stata proposta con l’appello, ma richiama ai fini dell’indicazione del contenuto del gravame quanto affermato con la comparsa conclusionale di appello. In violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 non risulta indicato quanto specificamente devoluto con l’atto di appello davanti alla corte territoriale, non potendosi desumere l’esistenza del motivo di appello dal contenuto della comparsa conclusionale. In mancanza dell’assolvimento di tale onere processuale non è possibile accedere agli atti processuali, come pure sarebbe consentito dalla natura processuale della violazione contestata.

Non è inutile comunque rammentare che il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo ha ad oggetto la cognizione piena in ordine all’esistenza ed alla validità del credito posto a base della domanda d’ingiunzione; pertanto, va esclusa l’ammissibilità di una autonoma pronuncia sulla legittimità dell’ingiunzione di pagamento agli effetti dell’incidenza delle spese della sola fase monitoria, dato che tale fase e quella di opposizione fanno parte di un unico processo nel quale l’onere delle spese è regolato in base all’esito finale del giudizio ed alla complessiva valutazione del suo svolgimento (fra le tante Cass. 23 settembre 2004, n. 19126).

Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1710 c.c. e ss. e art. 1176 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la ricorrente, premesso che in base all’art. 3 della convenzione qualora emergano dati falsi il convenzionato deve rimborsare al finanziatore l’ammontare del debito e che in base all’art. 6 a cura del convenzionato, assumendone la responsabilità, deve avvenire la raccolta e l’inoltro della documentazione, nonchè la verifica dell’identità del cliente e degli eventuali coobbligati garanti, che B. ha diligentemente eseguito quanto previsto dalla clausola 6 e che le norme citate non prevedono la responsabilità oggettiva del mandatario.

Con il terzo motivo si denuncia omessa considerazione di prova documentale, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Osserva la ricorrente che il giudice di appello ha dichiarato inammissibile il certificato PRA con cui il notaio ha autenticato la sottoscrizione di R.E. e che tale documento è decisivo se posto in relazione ai documenti prodotti dalla controparte, ed in particolare: il certificato dell’ufficio anagrafe del Comune di Milano (nel quale non risultano vicende anagrafiche a carico del R.), contrastato da quanto certificato dal notaio e dal contenuto della denuncia presentata da P.C., ove si afferma che R.E. è un collega della denunciante presso un’azienda ospedaliera; l’inattendibilità della stessa querela presentata dalla P., interessata a sottrarsi alla obbligazione di garanzia.

Con il quarto motivo si denuncia nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osserva la ricorrente che è del tutta omessa ogni motivazione in ordine al percorso logico della valutazione degli elementi probatori, posto che la decisione sembra basarsi sulla denuncia della P. ed il certificato dell’ufficio anagrafe, senza considerare quanto evidenziato nel precedente motivo circa tali elementi.

Con il quinto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2703 e 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la ricorrente che il valore probatorio dell’atto del notaio fa piena prova sino a querela di falso dell’identificazione di Emilio R. e della sua sottoscrizione, sicchè l’affermazione del giudice di appello in ordine al contenuto dell’atto notarile costituisce un travisamento e che decisivo era tale documento. Aggiunge che rispetto alla querela proposta dalla P. vi è stata erronea valutazione della prova.

I motivi dal secondo al quinto, da valutare unitariamente, sono inammissibili. Ha affermato il giudice di appello che l’appellante si era espressamente impegnata a rispondere dell’inadempimento del finanziato nel caso di non autenticità dei dati raccolti, a prescindere dalle ragioni che avevano reso possibile tale circostanza. Tale statuizione, evidentemente basata sull’art. 3 della convenzione richiamato nel secondo motivo, non è stata impugnata dalla ricorrente, sicchè le censure sono prive di decisività.

Peraltro non può sfuggire che il giudizio di rilevanza sui mezzi istruttori (ed in particolare del documento prodotto in udienza nel giudizio di appello) e la loro valutazione spetta al giudice di merito (Cass. 13 giugno 2014, n. 13485 e 10 giugno 2016, n. 11892) e che nel quarto motivo, sotto le spoglie della denuncia di carenza del requisito motivazionale, la ricorrente propone una censura sulla base della formulazione non più vigente dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1 – quater al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 28 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2018

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