Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29019 del 13/11/2018

Cassazione civile sez. III, 13/11/2018, (ud. 05/02/2018, dep. 13/11/2018), n.29019

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5732-2016 proposto da:

PIETRE GRANITI MARMI SRL, in persona del suo legale rappresentante

pro tempore D.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

ARRIGO BOITO N 31, presso lo studio dell’avvocato MARTA ELENA ANGELA

DIAZ, rappresentata e difesa dall’avvocato PIETRO NATALE DIAZ giusta

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA SPA, non in proprio ma in nome e per

conto della MONTE DEI PASCHI DI SIENA LEASING & FACTORING, BANCA

PER I SERVIZI FINANZIARI ALLE IMPRESE SPA in persona del Dr.

F.R. nella sua qualità di Responsabile Settore Dipartimentale

Recupero crediti Roma come tale rappresentante dell’Istituto,

domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato BILOTTA MAURO

GIULIO DARIO giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza della CORTE D’APPELLO di SASSARI, depositata il

14/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/02/2018 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La società Pietre Graniti Marmi s.r.l. (d’ora in poi, “PGM”) ricorre, ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., comma 3, per la cassazione della sentenza n. 1551/14, emessa dal Tribunale di Sassari il 1 dicembre 2014, che ha accolto l’opposizione a decreto ingiuntivo da essa proposta, sentenza già oggetto di gravame esperito dall’odierna ricorrente e ritenuto inammissibile – per difetto di ragionevole probabilità di accoglimento, ai sensi del combinato disposto dell’art. 348-bis c.p.c., comma 1 e art. 348-ter c.p.c., comma 2, – dalla Corte di Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, con ordinanza n. 247/15 del 14 dicembre 2015.

2. Riferisce, in punto di fatto, il ricorso che PGM ebbe ad adire il Tribunale sassarese per opporre il provvedimento con cui esso le ingiungeva – su istanza di MPS Gestione Crediti Banca S.p.a., e nell’interesse di MPS Leasing e Factoring, Banca per i servizi finanziari alle imprese S.p.a. (d’ora in poi, “MPS”) – il pagamento della somma di Euro 142.267,63 (in solido con il fideiussore D.L.), oltre interessi e spese della procedura, in relazione al mancato pagamento dei canoni relativi ad un contratto di locazione finanziaria concluso il 26 novembre 2008, in forza del quale MPS si impegnava ad acquistare, dalla società Perin s.r.l., due gruppi elettrogeni da fornire in leasing a PGM.

La proposta opposizione ex art. 645 c.p.c., oltre che basata – per quanto qui ancora di interesse – sul difetto di forma scritta “ad substantiam” del contratto di locazione finanziaria, si fondava sul rilievo che PGM potesse fruire della sospensione dei pagamenti, prevista per le piccole e medie imprese in forza di accordo intervenuto il 3 agosto 2009 tra l’ABI e le altre rappresentanze dell’Osservatorio permanente sui rapporti banche e imprese. Deduce, difatti, il ricorso che PGM ebbe ad inviare – in data 6 ottobre 2009 la richiesta di poter usufruire di detta sospensione, ma che MPS (con comunicazione del 27 luglio 2010 e sul presupposto del mancato pagamento dei corrispettivi contrattualmente previsti) dichiarava di volersi avvalere di clausola risolutiva espressa contenuta nel contratto. Tuttavia, con raccomandata del 19 agosto 2010, MPS accoglieva la richiesta di sospensione, inviando un nuovo piano di ammortamento, salvo però successivamente comunicare al gruppo Perin – con raccomandata del 26 agosto 2010 – l’avvenuta risoluzione del contratto, specificando che i beni oggetto di leasing, entro 48 ore, dovessero essere restituiti alla società concedente. Seguiva, infine, l’invio a PGM (il 29 aprile 2011) di comunicazione relativa all’avvenuta offerta di acquisto dei beni in questione da parte di terzi, offerta perfezionatasi nei cinque giorni successivi con risoluzione del contratto di leasing per cui è giudizio.

Peraltro, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, oltre a richiedere la revoca dello stesso (atteso che, come detto, MPS aveva acconsentito alla proroga del termine di adempimento, di talchè il provvedimento monitorio era stato emanato sul presupposto di un inadempimento – con conseguente risoluzione del contratto – che non vi era mai stato), PGM svolgeva domanda riconvenzionale volta a conseguire la restituzione dei canoni versati ed il risarcimento dei danni, la cui entità chiedeva accertarsi mediante CTU. In particolare, i danni lamentati venivano identificati in quelli conseguenti sia al blocco dello sviluppo della propria attività (attesa l’impossibilità di concludere un contratto per la fornitura di energia in media tensione, se non a prezzo esorbitante), sia della vendita a terzi del bene e, dunque, per mancato esercizio del diritto di opzione d’acquisto, nonchè in quello da illegittima iscrizione nella “Centrale Rischi” della Banca d’Italia, oltre che da mancata erogazione di un finanziamento a seguito di tale (a suo dire) indebita segnalazione.

Revocato dall’adito Tribunale il decreto ingiuntivo, sul rilievo che l’invio da parte di MPS – il 19 agosto 2010 – del nuovo piano di ammortamento valesse come rinuncia a valersi della clausola risolutiva espressa (e, dunque, quale “contrarius actus” rispetto alla comunicazione del precedente 27 luglio, che il creditore ingiungente aveva posto alla base del ricorso monitorio), il giudice dell’opposizione respingeva, invece, la domanda riconvenzionale di PGM, con decisione dalla stessa gravata con appello.

3. Dichiarato il gravame inammissibile, in difetto di ragionevole probabilità di accoglimento dello stesso, avverso la sentenza resa dal giudice di prime cure ha proposto ricorso per cassazione PGM, sulla base di tre motivi.

3.1. Con il primo motivo, che accorpa, in realtà, almeno quattro diverse censure, si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), il “vizio di omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c.”, nonchè – ai sensi, congiuntamente, del medesimo art. 360, comma 1, nn. 3) e 4) – violazione o falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 1175 e 1458 c.c., ed ancora “difetto assoluto di motivazione su fatti decisivi della controversia” e, comunque, “omessa motivazione su fatti controversi decisivi di essa”, l’uno rilevante a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), (in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4), l’altra in forza del medesimo art. 360, successivo n. 5.

Si censura l’omessa pronuncia, da parte del Tribunale, “relativamente alla restituzione di tutti i canoni versati” da PGM, nonchè “relativamente ai danni (…) per la vendita del bene ed il mancato esercizio del diritto di opzione d’acquisto”, ciò che inficerebbe la sentenza impugnata di “nullità ex art. 112 c.p.c.”. Si lamenta, inoltre, che la Corte di Appello non ha colto “il rilevato ed eccepito omesso esame e la seguente mancata pronuncia sulle cennate richieste”, ciò che le avrebbe imposto non di pronunciare l’ordinanza ex art. 348-ter c.p.c., bensì – rilevata la suddetta nullità – di emettere sentenza per provvedere su tali richieste.

In particolare, si evidenzia che, una volta escluso che PGM si sia resa inadempiente, si sarebbe dovuto riconoscere l’illiceità del comportamento di MPS, o meglio il suo inadempimento (e ciò “ancor più a fronte della vendita del bene”), e pertanto accogliersi la domanda di restituzione dei canoni, e ciò anche in ragione del fatto che “il venir meno della causa delle prestazioni già erogate comporta l’insorgenza dell’obbligo di restituire ex art. 1458 c.c.”.

Inoltre, sia che si reputi l’invio del nuovo piano di ammortamento come rinuncia ad avvalersi della clausola risolutiva, ovvero come novazione tacita del contratto di leasing, essa – si sostiene nel ricorso – avrebbe assunto il significato di “una manifestazione di volontà in senso stretto” costitutiva di una nuova obbligazione, volontà che PGM “avrebbe potuto convalidare mediante esecuzione dell’obbligazione, in modo analogo alla convalida prevista dall’art. 1444 c.c., comma 2”, ma ciò solo alla condizione, non verificatasi nella specie, che “il bene non fosse stato venduto”.

Inconferente, poi, sarebbe – secondo il ricorso – l’affermazione del Tribunale secondo cui PGM si sarebbe resa inadempiente al piano di ammortamento, e ciò “posto che la vendita del bene è antecedente all’invio del nuovo piano di ammortamento e posto che la vendita non poteva sorreggere il persistere dell’obbligo di versare il corrispettivo”, di talchè la sentenza impugnata avrebbe dovuto riconoscere l’inadempimento di MPS e condannarla alla restituzione dei canoni e accertare che essa “non si è resa neanche garante dell’esercizio del diritto di opzione”.

3.2. Il secondo motivo, che accorpa anch’esso diverse censure, deduce – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4) – violazione e falsa applicazione dell’art. 2 Cost., degli artt. 1715, 1374, 1375 e 2043 c.c., ovvero “difetto assoluto di motivazione su fatti decisivi della controversia” e, comunque, “omessa motivazione su fatti controversi decisivi di essa”, l’uno rilevante a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), (in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4 medesimo codice), l’altro in forza del medesimo art. 360, successivo n. 5).

Si censura la sentenza impugnata (e l’ordinanza della Corte di Appello) giacchè essa, sebbene non neghi “l’illiceità della segnalazione della Centrale dei Rischi” esclude che “il danno subito dall’odierna ricorrente sia in re ipsa”, laddove, invece, ricorre un danno “all’immagine e alla reputazione riconosciuto anche alle persone giuridiche ex art. 2 Cost.”, che il giudice avrebbe dovuto quantificare “ex art. 1226 c.c.”.

3.3. Il terzo motivo, articolato secondo il medesimo schema dei precedenti, deduce “difetto assoluto di motivazione su fatti decisivi della controversia” e, comunque, “omessa motivazione su fatti controversi decisivi di essa”, vizi che si assumono l’uno rilevante a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), (in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4), l’altro in forza del medesimo art. 360, successivo n. 5 nonchè “violazione dell’art. 134 c.p.c.” e degli “artt. 24 e 111 Cost. in relazione all’art. 159 c.p.c. “.

Ci si duole della mancata ammissione della CTU, “che non fungeva in alcun modo da mezzo di accertamento dei fatti di causa”, ma occorrendo solo per “evidenziare e determinare nel dettaglio” i danni patiti da PGM, quali – esemplificativamente – “il lucro cessante e l’esatto ammontare dei versamenti effettuati”.

4. Ha resistito all’avversaria impugnazione, con controricorso, MPS, chiedendone la declaratoria di inammissibilità ovvero, in subordine, il rigetto.

5. Ha presentato memoria la ricorrente, ex art. 378 c.p.c., insistendo nelle proprie argomentazioni.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

6. Il ricorso è inammissibile.

6.1. Difetta, nel caso di specie, il rilascio di valida procura speciale ex art. 365 c.p.c..

Infatti, il ricorso – le cui pagine, peraltro, non sono neppure numerate – reca, tra la sua ultima pagina e la prima delle relate di notificazione dello stesso, un foglio (nel quale è riprodotta la prima pagina del presente atto di impugnazione) a margine del quale si indica, quale oggetto della procura, la presentazione di ricorso per cassazione avverso “sentenza n. 354/2012 emessa dalla Corte di Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari”. Si fa, dunque, riferimento ad un provvedimento diverso non solo da quello del Tribunale oggetto della presente impugnazione, ma anche dall’ordinanza ha dichiarato inammissibile, ai sensi del combinato disposto dell’art. 348-bis c.p.c., comma 1 e art. 348-ter c.p.c., comma 2, il gravame già proposto avverso di esso.

Opera, pertanto, nella specie il principio secondo cui “è inammissibile il ricorso per cassazione allorquando la procura, apposta su foglio separato e materialmente congiunto al ricorso ex art. 83 c.p.c., comma 2, contenga espressioni incompatibili con la proposizione dell’impugnazione ed univocamente dirette ad attività proprie di altri giudizi e fasi processuali” (da ultimo, Cass. Sez. 6-3, ord. 24 luglio 2017, n. 18257, Rv. 645155-01; nello stesso senso già Cass. Sez. Lav., sent. 21 marzo 2005, n. 6070, Rv. 580207-01).

7. Le spese del presente giudizio vanno poste a carico del legale della ricorrente, Avv. Pietro Diaz.

Trova, infatti, applicazione il principio secondo cui, “in materia di spese processuali, qualora il ricorso per cassazione sia stato proposto dal difensore in assenza di procura speciale da parte del soggetto nel cui nome egli dichiari di agire in giudizio, l’attività svolta non riverbera alcun effetto sulla parte e resta nell’esclusiva responsabilità del legale, di cui è ammissibile la condanna al pagamento delle spese del giudizio” (da ultimo, Cass. Sez. 6-3, ord. 7 gennaio 2016, n. 58, Rv. 637917-01; nello stesso senso anche Cass. Sez. Lav., sent. 4 giugno 2015, n. 11551, Rv. 635845-01; Cass. Sez. Un., sent. 10 maggio 2006, n. 10706, Rv. 589872).

8. A carico di Pietro Diaz, attesa l’inammissibilità del ricorso, sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso, condannando Pietro Diaz a rifondere a MPS Gestioni Crediti Banche S.p.a. le spese del presente giudizio, che liquida in Euro 3.700,00, più Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, all’esito di pubblica udienza della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 5 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2018

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