Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29018 del 17/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 17/12/2020, (ud. 08/10/2020, dep. 17/12/2020), n.29018

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 9966/2019 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei

Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

P.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1502/06/2018 della Commissione Tributaria

Regionale del PIEMONTE, depositata il 26/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 08/10/2020 dal Consigliere Dott. Lucio LUCIOTTI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– con la sentenza in epigrafe indicata la CTR piemontese rigettava l’appello dell’Agenzia delle entrate confermando la sentenza di primo grado di annullamento dell’avviso di accertamento catastale con cui l’amministrazione finanziaria ripristinava la categoria e la rendita catastali variata dal contribuente P.A. con dichiarazione Docfa presentata in data 15/03/2013, con proposta di variazione della categoria catastale dell’immobile di sua proprietà, dall’originaria cat. A/10 (uffici) a cat. C/3 (laboratorio), e della rendita da 1.997,40 Euro ad 89,24 Euro, ponendo, a sostegno della decisione assunta, il difetto di motivazione dell’atto impositivo;

– avverso tale statuizione l’Agenzia delle entrate ricorre per cassazione sulla base di due motivi, cui non replica l’intimato;

– sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente, deducendo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, della L. n. 241 del 1990, art. 3 e del D.L. n. 16 del 1993, art. 2 convertito con modificazioni dalla L. n. 75 del 1993, nonchè del D.M. 19 aprile 1994, n. 701, sostiene che la CTR non si era attenuta al consolidato orientamento giurisprudenziale in materia di motivazione dell’avviso di accertamento catastale emesso nelle ipotesi, come quella di specie, di classamento di immobili a seguito di procedura DOCFA proposta dal contribuente.

2. Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 1142 del 1949, del R.D.L. n. 652 del 1939, convertito nella L. n. 1249 del 1939 e delle Istruzioni catastali adottate in attuazione di tale R.D.L., sostenendo che l’immobile in questione era stato classificato fin dal 1969 in categoria A/10 e nello stesso non erano stati eseguiti lavori edili che ne potessero giustificare la variazione proposta, fondata invece soltanto sull’irrilevante diversa utilizzazione dello stesso, da ufficio a laboratorio per arti e mestieri.

3. I motivi vanno accolti in quanto fondati.

4. Quanto al primo motivo, con specifico riferimento alla fattispecie oggetto del presente giudizio (attribuzione di rendita catastale a seguito della procedura disciplinata dal D.L. n. 16 del 1993, art. 2 convertito in L. n. 75 del 1993, e dal D.M. n. 701 del 1994, ovvero la c.d. DOCFA, che è procedimento a struttura fortemente partecipativa – cfr. Cass. n. 17971 del 2018), è orientamento di questa Corte, al quale il Collegio intende dare continuità e al quale, invece, la CTR non si è attenuto, quello secondo cui l’obbligo di motivazione dell’avviso di classamento può intendersi soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita se, come nel caso in esame, “gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano stati disattesi dall’Ufficio e l’eventuale discrasia tra rendita proposta e rendita attribuita derivi da una valutazione tecnica sul valore economico dei beni classati”, sussistendo, solo in caso contrario, l’obbligo di una motivazione più articolata, che specifichi le differenze riscontrate, “sia per consentire il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente, sia per delimitare l’oggetto dell’eventuale contenzioso” (Cass. n. 3394 del 2014, n. 12497 del 2016, n. 23237 e n. 6065 del 2017, n. 31809 e n. 12777 del 2018, n. 30166 del 2019, n. 13336 e n. 13371 del 2020).

5. Nel caso di specie, come si evince dall’avviso di accertamento, riprodotto per autosufficienza nel ricorso, e dal contenuto stesso della sentenza impugnata, l’Agenzia delle entrate si è limitata a ripristinare la situazione catastale dell’immobile preesistente alla proposta di variazione presentata dal contribuente con la procedura DOCFA, essendo rimasti immutati, in assenza peraltro di variazioni edilizie apportate all’immobile in questione, gli elementi di fatto oggetto di valutazione, dovendosi ritenere che in tali ipotesi è, invece, onere del contribuente, nella specie non assolto, di dimostrare in giudizio la fondatezza della diversa classificazione catastale dell’unità immobiliare proposta.

6. Altrettanto fondato è il secondo motivo di ricorso in relazione al quale deve ricordarsi che “Il provvedimento di attribuzione della rendita catastale di un immobile è un atto tributario che inerisce al bene che ne costituisce l’oggetto, secondo una prospettiva di tipo “reale”, riferita alle caratteristiche oggettive (costruttive e tipologiche in genere), che costituiscono il nucleo sostanziale della cd. “destinazione ordinaria”, sicchè l’idoneità del bene a produrre ricchezza va ricondotta, prioritariamente, non al concreto uso che di esso venga fatto, ma alla sua destinazione funzionale e produttiva, che va accertata in riferimento alle potenzialità d’utilizzo purchè non in contrasto con la disciplina urbanistica. (Nella specie, il giudice di merito aveva riconosciuto ad un immobile, attualmente in uso per attività di estetista, la categoria C3 in luogo di quella C1, assegnata dall’ufficio, nonostante che struttura e caratteristiche dell’immobile fossero rimaste invariate)” (Cass. n. 12025 del 2015; conf. Cass. n. 22103 del 2018).

7. Ha quindi errato la CTR nel ritenere che l’immobile in questione non potesse essere ricompreso in categoria A/10 ma che andasse classificato in categoria C/3, come proposto dal contribuente con la procedura DOCFA, in quanto destinato a “laboratorio”, sulla base, quindi, dell’uso fattone in concreto.

8. Alla stregua delle considerazioni svolte la sentenza impugnata va cassata in accoglimento del ricorso dell’Agenzia delle entrate e la causa rinviata alla CTR competente territorialmente per nuovo esame e per la regolamentazione delle spese processuali del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2020

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