Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29017 del 17/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 17/12/2020, (ud. 08/10/2020, dep. 17/12/2020), n.29017

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4858/2019 R.G. proposto da:

C.G., rappresentata e difesa, per procura speciale

in calce al ricorso, dall’avv. Vincenzo CONFORTI, presso il cui

studio legale, sito in Milano, alla via Pirandello, n. 8, è

elettivamente domiciliata;

– ricorrente –

contro

COMUNE di MAIORI, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e

difeso, per procura in calce al controricorso, dall’avv. Vincenzo

SCARANO, elettivamente domiciliato in Roma, alla via Barnaba

Tortolini, n. 30, presso lo studio del Dott. Alfredo PLACIDI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7339/09/2018 della Commissione tributaria

regionale della CAMPANIA, Sezione staccata di SALERNO, depositata in

data 17/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 08/10/2020 dal Consigliere Lucio LUCIOTTI.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1 – bis, comma 1, lett. e), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016, osserva quanto segue.

Con la sentenza in epigrafe indicata, emessa nel giudizio di impugnazione di un avviso di accertamento ICI per l’anno d’imposta 2011, la CTR ha rigettato l’appello che C.G. aveva proposto avverso la sfavorevole sentenza di primo grado lamentando l’erronea liquidazione delle spese processuali ed il rigetto della domanda di condanna del Comune per responsabilità aggravata.

Sosteneva la CTR che l’infondatezza del motivo di impugnazione dell’atto impositivo incentrato sul difetto di espletamento del contraddittorio endoprocedimentale, non esaminato dal giudice di prime cure, avrebbe addirittura giustificato la compensazione delle spese processuali per soccombenza reciproca e che, pertanto, andava confermata la statuizione della CTP “dacchè fin troppo generosa a vantaggio della contribuente”. Rigettava anche la domanda ex art. 96 c.p.c. perchè “generica nell’an e nel quantum, ma anche perchè iperbolicamente strumentata, non potendosi certo postulare alcuna illiceità nell’agire del Comune per il soddisfo di un credito ritenuto sussistente in base alla divisata natura pertinenziale di un bene rispetto ad altro”, posto che “ravvisarle implica la soluzione di una quaestio facti ordinariamente non agevole, attingendo a valutazioni interpretative che sono, in quanto tali, controvertibili”.

Avverso tale statuizione d’appello la contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui replica l’intimata con controricorso.

Con il primo motivo deduce, con un primo profilo, la violazione dell’art. 91 c.p.c., comma 1, e del D.M. n. 55 del 2014, lamentando l’erronea liquidazione del compenso professionale, effettuata dai giudici di primo grado e confermata in appello, al di sotto dei minimi previsti dal citato decreto.

Con un secondo profilo deduce la violazione dell’art. 96 c.p.c., commi 1 e 3, sostenendo che aveva errato la CTR nel rigettare il motivo di appello proposto con riferimento alla domanda, non esaminata dai giudici di primo grado, di condanna dell’amministrazione comunale al risarcimento del danno per lite temeraria, sul presupposto, sconfessato dal contenuto degli atti processuali (ricorso in appello e memorie illustrative), della genericità della richiesta e “volutamente” rifiutando “di prendere atto della complessiva condotta del Comune” (ricorso, pag. 13) che, pur in presenza di un’evidente illegittima pretesa impositiva, aveva rigettato l’istanza di annullamento in autotutela e omesso di costituirsi e partecipare al giudizio di primo grado.

Con il secondo motivo deduce la nullità della sentenza per motivazione perplessa ed incomprensibile oltre che apodittica ed apparente, in violazione dell’art. 132 c.p.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36.

Tale ultimo motivo, che va logicamente esaminato per primo, è infondato e va rigettato.

E’ noto che la motivazione è solo apparente – e la sentenza è nulla perchè affetta da error in procedendo – quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., Sez. U, Sentenza n. 22232 del 2016, Rv. 641526-01; conf. Cass., Sez. 6-5, Ordinanza n. 14927 del 2017).

Nel caso di specie, per come risulta dall’apparto motivazionale sopra trascritto nella parte in questa sede rilevante, i giudici di secondo grado hanno ritenuto di rigettare il motivo di appello incentrato sull’errata liquidazione delle spese processuali di primo grado sostenendo che, nel caso di specie, l’infondatezza del motivo di impugnazione dell’atto impositivo per omesso espletamento del contraddittorio endoprocedimentale, non esaminato dal giudice di prime cure, avrebbe addirittura giustificato la compensazione delle spese processuali per soccombenza reciproca sicchè andava confermata la statuizione della CTP “dacchè fin troppo generosa a vantaggio della contribuente”.

Quanto, invece, al rigetto della domanda di condanna al risarcimento del danno per responsabilità aggravata, ex art. 96 c.p.c., la CTR ha rigettato il motivo di appello per un verso, perchè la domanda era “generica nell’an e nel quantum” e, per altro verso, perchè non era ravvisabile alcuna illiceità nel comportamento dell’ente comunale essendo controvertibile la valutazione della natura pertinenziale di un bene immobile.

Hanno poi ritenuto di rigettare il motivo di appello incentrato sull’erroneità della liquidazione delle spese processuali di primo grado in ragione della sussistenza di una soccombenza reciproca non rilevata dalla CTP che aveva omesso di esaminare e ritenere infondata la domanda di annullamento dell’atto impositivo per mancato espletamento del contraddittorio endoprocedimentale.

Orbene, ritiene il Collegio che, a prescindere dalla correttezza delle statuizioni d’appello (di cui si dirà esaminando le censure di cui all’altro motivo di ricorso), i giudici di appello hanno espresso delle chiare ed identificabili rationes decidendi, sicchè deve escludersi l’imperscrutabilità delle stesse, che rende nulla la sentenza per apparenza motivazionale (Cass., Sez. U., n. 22232/2016 cit.).

Passando quindi all’esame del primo motivo di ricorso, la prima censura con esso formulata ed incentrata sull’erronea liquidazione del compenso professionale, effettuata dai giudici di primo grado e confermata in appello, è fondata e va accolta in quanto la CTP aveva liquidato a titolo di spese processuali un importo complessivamente determinato in misura inferiore ai minimi previsti dalla tariffa forense con riferimento al valore della causa, senza adottare alcuna motivazione sull’applicata riduzione, ponendosi così in contrasto con il principio della inderogabilità dei minimi edittali sancito dalla L. n. 794 del 1942, art. 24 (cfr. Cass., Sez. L, Ordinanza n. 22991 del 02/10/2017, Rv. 645613 01). In tale violazione è incorsa anche la CTR che ha confermato quella statuizione sul presupposto – in realtà erroneo, essendo la contribuente rimasta completamente vittoriosa in primo grado – che nel caso di specie era ravvisabile una soccombenza parziale in quanto doveva ritenersi infondata la domanda, non esaminata dai giudici di primo grado, di illegittimità dell’atto impositivo per omesso espletamento del contraddittorio endoprocedimentale.

Orbene, la CTR, che non poteva effettuare alcun vaglio di fondatezza di una domanda neppure riproposta in grado di appello, non ha tenuto conto del principio in base al quale “In materia di procedimento civile, il criterio della soccombenza deve essere riferito alla causa nel suo insieme, con particolare riferimento all’esito finale della lite, sicchè è totalmente vittoriosa la parte nei cui confronti la domanda avversaria sia stata totalmente respinta, a nulla rilevando che siano state disattese eccezioni di carattere processuale o anche di merito” (cfr. Cass. n. 18503 del 2014; conf. Cass. n. 10685 del 2019).

Pertanto, ha errato la CTR che, in presenza anche di una nota specifica prodotta dalla parte vittoriosa (cfr. Cass. n. 20604 del 2015), ha ritenuto corretta una liquidazione effettuata al di sotto dei limiti legali, senza neppure fornire adeguata motivazione delle ragioni di una eventuale riduzione delle spese processuali che riteneva liquidata in maniera “fin troppo generosa”, peraltro violando il disposto di cui al D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 1, u.p., secondo cui la riduzione non può essere comunque inferiore al 50 per cento delle tariffe previste per le fasi diverse da quella istruttoria e del 70 per cento per quest’ultima e che, ove applicata al caso di specie, avrebbe determinato un importo comunque maggiore di quello liquidato.

La seconda censura del primo motivo, incentrata sulla violazione dell’art. 96 c.p.c., comma 3, è anch’essa fondata.

Invero, la responsabilità processuale aggravata può derivare anche da una pretesa impositiva “temeraria”, in quanto connotata da mala fede e colpa grave (Cass., Sez. U., n. 13899 del 2013), richiedendosi, ai fini della sua sussistenza, la violazione di quel grado minimo di diligenza che consente di avvertire facilmente l’infondatezza o l’inammissibilità di quella pretesa, con la precisazione che comunque non è sufficiente la mera infondatezza, anche manifesta, della stessa (arg. da Cass., Sez. U., n. 9912 del 2018).

Orbene, nella specie la CTR ha violato la disposizione censurata atteso che, pur escludendo la sussistenza di profili di responsabilità ex art. 96 c.p.c., comma 3, in capo all’amministrazione comunale per la ritenuta controvertibilità della nozione di pertinenza e conseguente difficoltà di individuazione in concreto del vincolo pertinenziale tra beni (nella specie tra abitazione principale e box auto) ed attribuendo rilevanza ad elementi, quali la genericità dell’an e del quantum della domanda, che non ne avevano affatto – posto che “la responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3, a differenza di quella di cui ai primi due commi della medesima norma, non richiede la domanda di parte nè la prova del danno” (Cass., Sez. U., n. 9912 del 2018) -, non ha comunque considerato la manifesta infondatezza dell’imposizione fiscale applicata dall’amministrazione comunale ad un immobile costituente prima casa e ad un altro che non era di proprietà della contribuente.

Ne consegue che il motivo di ricorso in esame va accolto e la causa rinviata alla competente CTR che rivaluterà le questioni poste dalla contribuente con i motivi di appello tenendo conto, ai fini della responsabilità ex art. 96 c.p.c., comma 3, del complessivo comportamento delle parti, anche nella fase endoprocedimentale, nonchè la mancata partecipazione della contribuente al procedimento di mediazione attivato dall’amministrazione comunale D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 17-bis.

P.Q.M.

accoglie il primo motivo di ricorso, rigetta il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2020

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