Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29016 del 17/12/2020

Cassazione civile sez. lav., 17/12/2020, (ud. 14/10/2020, dep. 17/12/2020), n.29016

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18979-2014 proposto da:

S.B., D.V.M., M.L., R.A.,

SI.GI., tutti elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 38, presso lo studio dell’avvocato PAOLO MARIA MONTALDO, che

li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

E.N. A.C. – ENTE NAZIONALE PER L’AVIAZIONE CIVILE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia

ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 2851/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 07/08/2013 R.G.N. 5779/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/10/2020 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato PAOLO MARIA MONTALDO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Roma ha respinto l’appello di S.B. e degli altri litisconsorti indicati in epigrafe, tutti ex dipendenti della Direzione Generale per l’Aviazione Civile del Ministero dei Trasporti transitati nei ruoli dell’E.N. A.C., avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato la domanda volta ad ottenere l’accertamento del diritto a percepire l’indennità di fine rapporto calcolata con le modalità e secondo i criteri propri dell’indennità di anzianità dei dipendenti degli enti pubblici non economici.

2. La Corte territoriale ha ritenuto la pretesa azionata in contrasto con il chiaro tenore letterale del D.Lgs. n. 250 del 1997, art. 10, comma 3, che ha dettato una disciplina speciale prevedendo per i dipendenti ministeriali trasferiti all’ENAC l’applicazione della L. n. 297 del 1982 a decorrere dall’inquadramento, precisando che “il maturato dell’indennità di buonuscita costituirà la quota iniziale da trasferire all’ente”.

3. Il giudice d’appello ha richiamato la sentenza n. 822/1988 della Corte Costituzionale per sostenere che ben può il legislatore intervenire a modificare la normativa anche in una fase avanzata del rapporto salvo che la modifica peggiori, in assenza di esigenze inderogabili, in modo non esiguo e in maniera definitiva il trattamento pensionistico spettante. Nel caso di specie, peraltro, il peggioramento era stato scongiurato prevedendo che l’indennità di buonuscita maturata sino al momento del passaggio avrebbe costituito la quota iniziale del trattamento di fine rapporto.

4. Infine la Corte territoriale ha escluso l’eccepito difetto di delega ed ha anche precisato che il legislatore delegato aveva dettato una disposizione coerente con la disciplina generale di cui alla L. n. 335 del 1995 e, in ragione della istituzione di un nuovo ente, si era sostituito alla contrattazione collettiva nel disciplinare le modalità del passaggio fra i due differenti regimi.

5. Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso S.B., D.V.M., M.L. e Si.Gi. sulla base di tre motivi, illustrati da memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c., ai quali non hanno opposto difese l’E.N. A.C. poichè l’Avvocatura ha solo depositato atto di costituzione, al fine di partecipare all’udienza di discussione.

6. La causa, dapprima avviata alla trattazione camerale, è stata fissata in pubblica udienza in ragione dell’importanza delle questioni giuridiche coinvolte.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano ex art. 360 c.p.c., n. 3 la violazione del D.Lgs. n. 250 del 1997, art. 10, comma 3, e, richiamando giurisprudenza di merito, sostengono che la trasformazione in ente pubblico economico, mai avvenuta, costituiva il necessario presupposto per l’applicazione del regime privatistico ai dipendenti dell’ENAC.

2. La violazione del D.Lgs. n. 250 del 1997, art. 10 è denunciata, sotto altro profilo, anche con la seconda censura che addebita alla Corte territoriale di avere affermato la piena compatibilità della disciplina speciale con quella generale senza tener conto degli interventi normativi successivi all’approvazione della L. n. 335 del 1995 con i quali il regime del TFR è stato reso obbligatorio unicamente per i dipendenti pubblici assunti con decorrenza dal 1 gennaio 2001. I ricorrenti aggiungono che solo con il D.L. n. 78 del 2010 e per le anzianità contributive maturate a far tempo dal 1 gennaio 2011 il legislatore ha esteso al personale delle pubbliche amministrazioni i criteri di calcolo previsti dall’art. 2120 c.c. a prescindere dall’opzione e dalla data di assunzione. Sulla base delle richiamate premesse assumono che la norma qui in rilievo, se interpretata nei termini dedicati dalla Corte territoriale, determinerebbe una disparità di trattamento con i dipendenti di altri enti pubblici non economici, non giustificata nè dall’esigenza di dare applicazione al processo di privatizzazione nè dalla necessità di equiparare il personale dell’ENAC proveniente da enti diversi.

3. Con il terzo motivo i ricorrenti ripropongono la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 250 del 1997, art. 10 anche sotto il profilo della violazione dell’art. 76 Cost. e sostengono che la L. n. 549 del 1995 non autorizzava la disposta trasformazione del TFS in TFR.

4. I primi due motivi di ricorso, da trattare unitariamente in ragione della loro connessione logica e giuridica, sono infondati perchè, nel censurare la corretta interpretazione effettuata dalla Corte territoriale del D.Lgs. n. 250 del 1997, artt. 1 e 10 istitutivo dell’E.N. A.C., prospettano un’esegesi alternativa che non trova riscontro nel tenore letterale delle disposizioni in rilievo nè coglie l’effettiva ratio delle stesse.

E’ utile premettere che con gli artt. 1 e 2 del richiamato decreto il legislatore ha previsto l’attribuzione al nuovo ente pubblico non economico, dotato di autonomia regolamentare, organizzativa, amministrativa, patrimoniale e contabile, delle competenze già assegnate alla Direzione generale dell’aviazione civile (D.G.A.C.), al Registro aeronautico italiano (R.A.I.) ed all’Ente nazionale della gente dell’aria (E.N. G.A.) nelle materie espressamente indicate dallo stesso art. 2. Ha conseguentemente disposto, con l’art. 10, il passaggio alle dipendenze del soggetto di nuova istituzione del personale in precedenza assegnato alle attività trasferite e, poichè lo stesso proveniva da enti diversi, ha fissato il termine di dodici mesi dall’entrata in vigore del decreto legislativo per provvedere, con decreto del Ministro dei trasporti e della funzione pubblica, “alla unificazione giuridica ed economica del personale dell’ente”, da realizzare attraverso l’adozione di un unico criterio di inquadramento e sulla base delle tabelle di corrispondenza proposte dal consiglio di amministrazione, sentite le organizzazioni sindacali (art. 10, comma 2).

Nell’art. 10, comma 3 inoltre, il legislatore ha espressamente disciplinato il trattamento di fine rapporto, stabilendo che “Ai fini della costituzione del trattamento di fine rapporto del personale già in servizio presso la Direzione generale dell’aviazione civile, a decorrere dall’inquadramento definitivo, si applica la L. 29 maggio 1982, n. 297, ed il maturato dell’indennità di buonuscita costituirà la quota iniziale da trasferire all’Ente”.

4.1. Il tenore letterale della disposizione, speciale rispetto alla disciplina generale dettata per l’impiego pubblico contrattualizzato, non consente in alcun modo di collegare la stessa alla previsione, contenuta nell’art. 1, comma 3 della trasformazione, mai attuata, dell’E.N. A.C. in ente pubblico economico.

Il legislatore, infatti, non solo non ha condizionato espressamente, come sarebbe stato necessario, l’applicazione del nuovo regime alla diversa natura dell’ente, ma anzi ha con chiarezza reso indipendente dalla trasformazione l’operatività della disciplina del trattamento di fine rapporto, per la quale ha previsto un termine antecedente rispetto a quello fissato per la trasformazione (31 luglio 1999), ancorandola all’inquadramento definitivo da effettuarsi ex art. 10, comma 2, “entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto” e, quindi, entro il 1 agosto 1998 (il decreto è stato pubblicato sulla G.U. n. 177 del 31 luglio 1997 e l’art. 15 prevede che lo stesso “entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana”).

Sul piano logico e giuridico non è, quindi, sostenibile che la disposizione presupponesse l’acquisizione della natura di ente pubblico economico perchè, a fronte di attività da compiere entro termini in successione, un nesso condizionante può essere ipotizzato per la prima rispetto alla seconda e mai viceversa.

4.2. La ratio della norma va individuata nell’intento del legislatore di unificare la disciplina giuridica ed economica del personale dell’ente, espressamente manifestato nell’art. 10, comma 2 intento che giustifica l’immediata applicazione della L. n. 297 del 1982 agli unici dipendenti, quelli provenienti dalla Direzione generale dell’aviazione civile, per i quali sino al momento del passaggio era prevista l’indennità di buonuscita, disciplinata dalla L. n. 1032 del 1973, artt. 3 e 38 e non l’indennità di anzianità di cui alla L. n. 70 del 1975, art. 13 prevista per i soli dipendenti degli enti pubblici non economici e posta a carico dell’ente.

D’altro canto la disciplina dettata, seppure speciale, si armonizza con quella generale all’epoca vigente, ossia con la L. n. 335 del 1995, art. 2 che, nel testo originario vigente alla data di istituzione dell’E.N. A.C., prevedeva per tutti i dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni assunti dal 1 gennaio 1996, in linea con il disegno di contrattualizzazione dell’impiego pubblico, l’applicazione dell’art. 2120 c.c. e delegava alla contrattazione collettiva di definire, nell’ambito dei singoli comparti, “le modalità per l’applicazione, nei confronti dei lavoratori già occupati alla data del 31 dicembre 1995, della disciplina in materia di trattamento di fine rapporto” (art. 2, comma 7).

Se si legge il D.Lgs. n. 250 del 1997, art. 10, comma 3, anche alla luce della disciplina dettata per l’impiego pubblico contrattualizzato all’epoca vigente, risulta del tutto ragionevole la scelta operata dal legislatore che, nell’istituire un nuovo ente, rispetto al quale andava definito anche il trattamento giuridico ed economico applicabile al personale, ha voluto da subito attuare quella armonizzazione fra nuovi assunti e personale in servizio alla quale era tendenzialmente ispirata anche la disciplina generale, e si è quindi sostituito alla contrattazione collettiva dettando in via normativa le regole per il passaggio dall’uno all’altro regime.

4.3. Non vi è dubbio che con l’art. 59, comma 56, della successiva L. 27 dicembre 1997 n. 449, con la L. 23 dicembre 1998, n. 448, art. 26, commi 18 e 19 con l’accordo quadro del 29 luglio 1999 e con il D.P.C.M. 20 dicembre 1999, sui quali è incentrato il secondo motivo, sia stata differita nel tempo la realizzazione dell’obiettivo di un regime unico del trattamento di fine rapporto per tutti i dipendenti dei settori pubblici e privati e sia stata, invece, privilegiata, per il personale già assunto, la perdurante efficacia della disciplina previgente, salva una diversa opzione individuale (sul punto si rimanda alla motivazione di Cass. n. 15998/2006 e di Cass. n. 5892/2020).

La disciplina sopra richiamata, peraltro, non può spiegare effetti nella fattispecie nella quale si è in presenza di una norma speciale, dettata dal richiamato art. 10, comma 3 e, pertanto, opera il principio, riassunto dal brocardo lex posterior generalis non derogat priori speciali, secondo cui, in caso di successione di leggi nel tempo, il criterio della specialità prevale su quello cronologico e, pertanto, la disposizione successiva non abroga quella antecedente speciale, salvo che dalla lettera o dalla ratio della prima si evinca una chiara volontà in tal senso del legislatore o la discordanza tra le due norme sia tale da rendere inconcepibile la loro coesistenza.

Nessuna di dette ipotesi ricorre nella fattispecie perchè, da un lato, il legislatore non ha nè abrogato nè modificato la disciplina speciale dettata dalla L. n. 250 del 1997, legge richiamata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 70, comma 4 dall’altro il diverso regime trova la sua giustificazione in quanto si è già detto nei punti che precedono, ossia nella istituzione di un nuovo ente, destinato ad assorbire personale proveniente da soggetti giuridici diversi oltre che a disporre nuove assunzioni, circostanza, questa, che rendeva ragionevole ed opportuna l’opzione espressa per l’armonizzazione, pressochè contestuale all’attribuzione delle funzioni, del regime economico e giuridico dei dipendenti.

5. Le considerazioni sopra esposte valgono a fugare ogni dubbio sulla legittimità costituzionale della normativa, riproposta, inammissibilmente, come terzo motivo di ricorso.

Occorre ribadire al riguardo l’orientamento, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui “non può costituire motivo di ricorso per cassazione la valutazione negativa del giudice di merito circa la rilevanza e la non fondatezza di una questione di legittimità costituzionale, perchè il relativo provvedimento (benchè eventualmente ricompreso, da un punto di vista formale, in una sentenza) ha carattere puramente ordinatorio” (Cass. n. 284/2018). Si è precisato, peraltro, che la questione di legittimità può essere riproposta in ogni stato e grado del giudizio, sicchè le critiche mosse alla sentenza impugnata vanno ritenute mera sollecitazione del potere del giudice di legittimità di promuovere, anche a prescindere dalle prospettazioni delle parti, l’incidente di costituzionalità.

5.1. Ciò premesso va osservato che il trattamento differenziato del quale qui si discute non viola l’art. 3 Cost. in quanto giustificato dalla storia particolare dell’ente, al quale sono state attribuite competenze e risorse, umane ed economiche, in precedenza riferibili in parte allo Stato ed in altri ad altri enti.

D’altro canto, come correttamente evidenziato dalla Corte territoriale, attraverso il meccanismo previsto dall’art. 10, comma 3, secondo cui il maturato dell’indennità di buonuscita alla data del nuovo inquadramento costituisce la quota iniziale del trattamento di fine rapporto da trasferire all’ente, sono stati salvaguardati i diritti già acquisiti dal personale in servizio presso la Direzione Generale dell’Aviazione Civile, rispetto ai quali il nuovo sistema di calcolo è destinato ad operare solo per il futuro, non per il passato.

5.2. Infine non è ravvisabile alcun eccesso di delega rispetto ai margini concessi dal legislatore delegante. La Corte Costituzionale, in recente decisione (Corte Cost. n. 79/2019) alla cui motivazione si rinvia, nel ribadire principi già espressi in passato, ha precisato che il Governo non è tenuto ad un’attività di mera esecuzione o di riempimento automatico di disposti cristallizzati nella delega perchè, al contrario, è chiamato a sviluppare, non solo ad eseguire, le previsioni della legge delega entro i confini da quest’ultima segnati. La disciplina del trattamento di fine rapporto, dettata dal più volte richiamato art. 10, comma 3, è coerente con gli obiettivi di razionalizzazione delle strutture operanti nel settore dell’aviazione civile, da attuare attraverso l’istituzione di un’unica struttura (L. n. 549 del 2005, art. 2, commi 48 e 49) implicante anche la rideterminazione del trattamento spettante al personale, e non contrasta con i limiti posti dall’art. 2, comma 50 (secondo cui “In fase di prima applicazione il personale conserva il trattamento giuridico ed economico previsto dai contratti vigenti nei settori di provenienza…”), perchè garantisce, attraverso la previsione della conservazione dell’indennità di buonuscita maturata sino alla data di inquadramento, il rispetto del divieto di reformatio in peius.

6. In via conclusiva il ricorso deve essere rigettato e, conseguentemente, occorre dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dai ricorrenti.

Non occorre provvedere sulle spese del giudizio di legittimità perchè l’E.N. A.C. non ha notificato controricorso nè ha svolto altra attività difensiva.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Nulla sulle spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 14 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2020

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