Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29014 del 20/10/2021

Cassazione civile sez. III, 20/10/2021, (ud. 26/04/2021, dep. 20/10/2021), n.29014

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 14619/18 proposto da:

G.A., elettivamente domiciliato a Riace, v. Nazionale

s.n.c., difeso dall’avvocato Salvatore Zurzolo, in virtù di procura

speciale apposta in margine al ricorso;

– ricorrente –

contro

Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato a Roma, v. A.

Bosio n. 2, difeso dagli avvocati Maria Dalla Serra, e Massimo

Luconi, in virtù di procura speciale apposta in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Reggio Calabria

6.11.2017 n. 646;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26 aprile 2021 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2001 G.A. garantì con fideiussione i debiti della società Krono s.a.s. nei confronti della Banca Antoniana Popolare Veneta s.p.a. (che in seguito sarà incorporata per fusione nella Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a.).

Poiché il debitore principale non adempì le proprie obbligazioni, la Banca chiese ed ottenne nel 2003 un decreto ingiuntivo nei confronti, oltre che della debitrice principale, anche del fideiussore.

2. Divenuto inoppugnabile il decreto ingiuntivo, la banca pignorò un immobile di proprietà del fideiussore G.A..

Questi propose allora opposizione all’esecuzione allegando, per quanto in questa sede ancora rileva:

-) l’impignorabilità dell’immobile, in quanto conferito in un fondo patrimoniale;

-) la nullità del decreto ingiuntivo;

-) la nullità della fideiussione;

-) la sopravvenuta estinzione della garanzia ex art. 1956 c.c.;

-) l’illegittimità della misura degli interessi pretesi dalla banca, in quanto anatocistici.

3. Con sentenza 3 novembre 2005 n. 520 il Tribunale di Locri rigettò l’opposizione.

Ritenne il Tribunale che le obbligazioni per il cui adempimento era iniziata la procedura esecutiva erano state contratte da G.A. nell’interesse della famiglia, con la conseguenza che legittimamente la società creditrice poteva aggredire in executivis l’immobile conferito nel fondo patrimoniale.

La sentenza venne appellata dal soccombente.

4. Con sentenza 6 novembre 2017 n. 648 la Corte d’appello di Reggio Calabria rigettò il gravame.

La Corte d’appello ritenne che:

-) sul motivo di gravame concernente l’impignorabilità dell’immobile andava dichiarata cessata la materia del contendere. Nelle more del giudizio, infatti, era deceduta B.L., moglie del debitore esecutato. Questo fatto aveva determinato lo scioglimento del matrimonio e, con esso, del fondo patrimoniale. Di conseguenza, ha concluso la Corte d’appello, l’opponente non aveva interesse ad opporre il vincolo di destinazione del bene pignorato, “per la sopravvenuta rimozione dell’ostacolo giuridico alla proseguibilità dell’esecuzione” (così la sentenza, p. 10);

-) i motivi di gravame concernenti la proponibilità in sede di opposizione all’esecuzione di vizi concernenti la notifica del decreto ingiuntivo; la ritualità della notifica dello stesso; l’usurarietà del saggio di interesse applicato dalla banca, erano tutti inammissibili perché si sarebbero dovuti far valere con l’opposizione, eventualmente tardiva, al decreto ingiuntivo, e non già in sede di opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c..

5. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da G.A. con ricorso fondato su quattro motivi.

Ha resistito con controricorso la Banca Monte dei Paschi di Siena.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente, senza formalmente inquadrare la censura in alcuna delle categorie di cui all’art. 360 c.p.c., illustra nella sostanza un error in procedendo.

Deduce che erroneamente la Corte d’appello avrebbe dichiarato cessata la materia del contendere sul motivo di opposizione inteso a far valere l’impignorabilità dell’immobile.

Formula una tesi giuridica così riassumibile:

-) il fondo patrimoniale cessa in conseguenza dello scioglimento del matrimonio;

-) allo scioglimento del fondo patrimoniale si applicano, ai sensi dell’art. 171 c.p.c., le disposizioni sullo scioglimento della comunione legale, e dunque gli effetti dello scioglimento del fondo si producono ex nunc;

-) di conseguenza “lo scioglimento del fondo patrimoniale non incide sulle situazioni giuridiche preesistenti”.

Ne trae la conclusione che la Corte d’appello non avrebbe potuto dichiarare cessata la materia del contendere, ma avrebbe dovuto esaminare nel merito la fondatezza del motivo di opposizione inteso a far valere l’impignorabilità dell’immobile.

1.1. Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4.

Secondo i principi ripetutamente affermati da questa Corte, a partire da Sez. 3, Sentenza n. 4741 del 04/03/2005, Rv. 581594 – 01, sino a Sez. un., Sentenza n. 7074 del 20/03/2017, il ricorso per cassazione è un atto processuale nel quale si richiede al ricorrente di articolare un ragionamento sillogistico così scandito:

(a) quale sia stata la decisione di merito;

(b) quale sarebbe dovuta essere la decisione di merito;

(c) quale regola o principio sia stato violato, per effetto dello scarto tra decisione pronunciata e decisione attesa.

Questa Corte, infatti, può conoscere solo degli errori correttamente censurati, ma non può rilevarne d’ufficio, né può pretendersi che essa intuisca quale tipo di censura abbia inteso proporre il ricorrente, quando questi esponga le sue doglianze con tecnica scrittoria oscura od ambigua, come si è già ripetutamente affermato (da ultimo, in tal senso, Sez. 3, Sentenza n. 21861 del 30.8.2019; Sez. 3, Ordinanza n. 11255 del 10.5.2018; Sez. 3, Ordinanza n. 10586 del 4.5.2018; Sez. 3, Sentenza 28.2.2017 n. 5036).

1.2. Nel caso di specie il ricorrente, senza inquadrare il primo motivo di ricorso in alcuno dei vizi di cui all’art. 360 c.p.c. e senza indicare quali norme sarebbero state violate dalla Corte d’appello, si limita a dedurre che quest’ultima, non avendo esaminato il merito dell’opposizione, “ha operato una violazione o falsa applicazione di norme di diritto”.

Il motivo va dunque dichiarato inammissibile per insufficiente esposizione delle ragioni giuridiche che lo sorreggono, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4.

2. Col secondo motivo il ricorrente lamenta che erroneamente la Corte d’appello avrebbe escluso la nullità della fideiussione da lui stipulata a favore della banca creditrice.

2.1. Il motivo è manifestamente inammissibile ex art. 366 c.p.c., n. 6, perché non spiega in cosa sarebbe consistita questa nullità, né trascrive o riassume i patti contrattuali che assume essere nulli.

3. Col terzo motivo il ricorrente (anche in questo caso senza inquadrare la censura in alcuna delle ipotesi previste dall’art. 360 c.p.c.) prospetta un error in procedendo.

La tesi del ricorrente si può così riassumere:

-) il titolo esecutivo posto dalla banca a fondamento dell’esecuzione era un decreto ingiuntivo, nel quale il giudice aveva motu proprio e senza motivazione ridotto il termine per proporre l’opposizione;

-) il suddetto termine, di soli 10 giorni, aveva impedito all’odierno ricorrente di preparare adeguatamente la propria difesa;

-) conseguentemente, la nullità del decreto ingiuntivo poteva da lui essere fatta valere anche in sede di opposizione all’esecuzione.

3.1. Il motivo è inammissibile per estraneità alla ratio decidendi.

La Corte d’appello ha rigettato il motivo di gravame sostenendo che, essendo stato il decreto ingiuntivo ritualmente notificato, l’odierno ricorrente avrebbe dovuto far valere le sue doglianze avverso la immotivata riduzione del termine di opposizione eventualmente proponendo l’opposizione, anche tardiva.

Questa ratio decidendi, giusta o sbagliata che fosse, non viene attinta dal ricorso.

4. Col quarto motivo il ricorrente deduce che la banca era decaduta ex art. 1956 c.c., dalla garanzia, per aver concesso ulteriore credito al debitore principale nonostante la cospicua esposizione debitoria di quest’ultimo.

4.1. Il motivo è inammissibile per estraneità alla ratio decidendi.

Anche in questo caso, infatti, il ricorrente non si cura del fatto che la Corte d’appello ha reputato che tutte le questioni concernenti la validità della fideiussione dovevano essere fatte valere con l’opposizione a decreto ingiuntivo, e non in sede di opposizione all’esecuzione.

5. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1 e sono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

la Corte di Cassazione:

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) condanna G.A. alla rifusione in favore di Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 4.400, di cui Euro 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfetarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 26 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2021

 

 

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