Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29013 del 13/11/2018

Cassazione civile sez. VI, 13/11/2018, (ud. 16/10/2018, dep. 13/11/2018), n.29013

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Antonio Francesco – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18688-2017 proposto da:

BANCA VALSABBINA SCPA, quale incorporante della CreverBanca spa, i

persona del legale rappresentante Renato Barbieri, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA CELIMONTANA 38, presso lo studio

dell’avvocato PANARITI PAOLO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MARCELLO FARNETI;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1040/2017 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 16/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 16/10/2018 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCO

TERRUSI.

Fatto

RILEVATO

che:

La Banca Valsabbina, incorporante CreverBanca, ricorre per cassazione nei confronti della sentenza con la quale la corte d’appello di Venezia ha accolto solo in parte, in relazione alla decorrenza degli interessi sulla sorte capitale, il suo appello contro una sentenza di revocatoria fallimentare di un pagamento eseguito tramite assegno circolare dalla (OMISSIS) s.r.l., in esecuzione di una transazione stipulata in pendenza del procedimento per la dichiarazione di fallimento.

La curatela non ha svolto difese.

La ricorrente ha depositato una memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

La ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione della L. fall., artt. 5, 67 e 2697 e 2729 c.c. sotto il profilo della ritenuta esistenza della scientia decoctionis. A tal riguardo articola tre censure, in quanto: (i) la corte distrettuale avrebbe ritenuto rilevante, onde dimostrare la “rappresentazione mentale” richiesta dalla legge, la scientia risalente a un momento antecedente a quello del pagamento, senza attribuire importanza alle circostanze “concrete e specifiche” del caso di specie, tali da impedire l’equiparazione delle due distinti “rappresentazioni mentali”; (ii) non avrebbe inoltre correttamente individuato l’oggetto della prova, tralasciando di considerare le circostanze “concrete e specifiche” del caso di specie, potenzialmente idonee a escludere la gravità, irreversibilità e non transitorietà dell’insolvenza; (iii) avrebbe fatto ricorso a criteri presuntivi non caratterizzati da gravità precisione e concordanza, oltre che irrilevanti nella loro reciproca connessione, senza attribuire rilevanza, invece, alle circostanze “concrete e specifiche” tali da vincere la presunzione della scientia.

Il ricorso, le cui censure possono essere unitariamente esaminate per connessione, è palesemente inammissibile.

Come emerge dalla stessa narrativa della ricorrente, il pagamento di cui si discute era stato eseguito il 13-10-2010 all’esito di un accordo transattivo.

A fronte del detto pagamento la banca (allora CreverBanca) aveva desistito dall’istanza di fallimento presentata il 22-6-2009 tramite una propria mandataria.

Tale istanza era conseguita al mancato pagamento di una somma rilevante (Euro 222.462,65) e alle indagini che la stessa ricorrente dice effettuate circa lo stato di difficoltà finanziaria della debitrice. Il fallimento era sopravvenuto nonostante la desistenza della detta banca, il 19-1-2011, su istanza di altro creditore (Banca popolare dell’Emilia Romagna): peraltro il medesimo che aveva fornito la provvista per consentire alla debitrice di dare esecuzione alla transazione con CreverBanca.

Fermi i suddetti fatti, la corte d’appello ha ritenuto provata la scientia decoctionis poichè già nell’istanza di fallimento a suo tempo depositata l’insolvenza di (OMISSIS) era stata descritta dalla medesima CreverBanca (ovvero dalla sua mandataria) come “palese e risultante dall’incapacità di far fronte anche a pagamenti di somme esigue”; invero la società debitrice era risultata “protestata come da visura dimessa”, e nel bilancio al 31-12-2007 erano risultati debiti per oltre due milioni di Euro, oltre TRF e altre voci.

L’assunto della ricorrente, secondo il quale la corte d’appello avrebbe dovuto tener conto della discrasia temporale tra l’istanza di fallimento, la transazione e la desistenza, ovvero di “concrete e specifiche” circostanze indicative di una diversa rappresentazione soggettiva della realtà, si risolve in un tentativo di sovvertimento del giudizio di fatto, oltre tutto senza censure di ordine motivazionale. Come tale il complesso delle doglianze, per quanto formulato in iure, è inammissibile, visto che, in tema di revocatoria fallimentare, la conoscenza dello stato di insolvenza da parte del terzo deve essere effettiva, ma può essere provata anche con indizi e fondata su elementi di fatto, purchè idonei a fornire la prova per presunzioni di tale effettività. La scelta degli elementi che costituiscono la base della presunzione e il giudizio logico con cui dagli stessi si deduce l’esistenza del fatto ignoto costituiscono un apprezzamento di fatto che, se adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità (v. tra le tante Cass. n. 3336-15).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 16 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2018

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