Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29012 del 11/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 11/11/2019, (ud. 10/07/2019, dep. 11/11/2019), n.29012

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24643-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la

rappresenta e difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

A.V., L.A., elettivamente domiciliati in ROMA,

V. ARETINO PIETRO 63, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO DE

LORENZI, che li rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 54/22/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della PUGLIA, SEZIONE DISTACCATA di LECCE, depositata il

16/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 10/07/2019 dal Consigliere Relatore Dott. PIERPAOLO

GORI.

Fatto

RILEVATO

che:

– Con sentenza n. 54/22/18 depositata in data 16 gennaio 2018 la Commissione tributaria regionale della Puglia, sez. staccata di Lecce, rigettava l’appello principale proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza n. 441/4/14 della Commissione tributaria provinciale di Lecce che aveva accolto il ricorso di A.V. e L.A. contro un avviso di accertamento emesso a seguito di rideterminazione del classamento catastale 2012;

– Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate deducendo tre motivi;

– I contribuenti si sono costituiti depositando controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– Le eccezioni preliminari sollevate in controricorso sono destituite di fondamento. Il primo motivo non è nuovo, dal momento che – in astratto – la questione della sospensione può essere sollevata anche per la prima volta in Cassazione, e non è viziato da autosufficienza, in quanto la pendenza del processo asseritamente pregiudicante è pacifica, tanto che lo stesso controricorso afferma: “è attualmente pendente innanzi al Consiglio di Stato (…)”. I motivi secondo e terzo non sono poi viziati da difetto di specificità e di autosufficienza e, al contrario, sono le due eccezioni ad apparire di stile, in quanto non articolate per ciascun motivo ad evidenziare i passaggi delle argomentazioni in dipendenza dei motivi secondo e terzo del ricorso che, a dire dei controricorrenti, sarebbero viziati da difetto di specificità e autosufficienza;

– Con il primo motivo – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 -, l’Agenzia delle Entrate deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 295 c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 39, per avere la sentenza impugnata erroneamente omesso di disporre la sospensione del processo ex art. 295 c.p.c., in considerazione della pendenza di altro giudizio dinanzi al Consiglio di Stato, riguardante la revisione di classamento di unità immobiliari ubicate nel territorio comunale di Lecce, per le quali era stato rilevato lo scostamento significativo;

– Il motivo non è fondato. La Corte rammenta che “Il processo tributario non può essere sospeso in attesa della definizione di una questione sottoposta, nell’ambito di una diversa controversia, alla Corte di Giustizia, nè ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 39, che regola i rapporti tra processo tributario e processi non tributari (cd. pregiudizialità esterna) e prevede la sospensione solo ove sia stata presentata querela di falso o debba essere risolta una questione sullo stato o sulla capacità delle persone diversa dalla capacità di stare in giudizio, nè ai sensi dell’art. 295 c.p.c., che regola esclusivamente i rapporti tra processi tributari (cd. pregiudizialità interna).” (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 999 del 20/01/2016, Rv. 638486 – 01);

– Il processo tributario può essere sospeso ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 39, comma 1, che regola i rapporti tra processo tributario e processi non tributari (cd. pregiudizialità esterna) solo ove sia stata presentata querela di falso o debba essere risolta una questione sullo stato o sulla capacità delle persone diversa dalla capacità di stare in giudizio, ipotesi non ricorrenti nel caso di specie: tale norma dispone una deroga – in ipotesi predeterminate al criterio secondo cui le questioni pregiudiziali sono risolte, “incidenter tantum”, dal giudice munito di giurisdizione sulla domanda. Inoltre, la sentenza impugnata è stata pubblicata in un momento successivo all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 156 del 2015 – 10 gennaio 2016 – e in cui quindi non ricorreva più un’ipotesi di sospensione necessaria, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., essendo eventualmente applicabile l’art. 337 c.p.c., comma 2, che, in caso di impugnazione di una sentenza la cui autorità sia stata invocata in un separato processo, prevede soltanto la possibilità della sospensione facoltativa di quest’ultimo (Cass. n. 29553 del 2017). Di conseguenza, anche a voler superare la considerazione che con il vizio denunciato non si censura l’art. 337 c.p.c., comma 2, resta il fatto che tale norma non obbliga il giudice a procedere alla sospensione; Infine, il successivo art. 39, comma 1 bis, aggiunto dal D.Lgs. n. 156 del 2015, art. 9, comma 1, lett. o), (“La commissione tributaria dispone la sospensione del processo in ogni altro caso in cui essa stessa o altra commissione tributaria deve risolvere una controversia dalla cui definizione dipende la decisione della causa”) non è evidentemente applicabile al caso di specie, essendo la pregiudizialità invocata rispetto al Consiglio di Stato (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 17413 del 2018);

– Con il secondo motivo – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – l’Agenzia delle entrate censura la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, laddove intende l’avviso carente di motivazione pur se lo stesso richiama nella parte motiva il contenuto generale, il provvedimento di attivazione del procedimento revisionale nonchè le ragioni che hanno giustificato, nello specifico, il riclassamento effettuato;

– Il motivo è destituito di fondamento. Va reiterato che “La revisione della classificazione di un immobile deve essere motivata in termini che esplicitino in maniera intellegibile le specifiche giustificazioni della riclassificazione concretamente operate. La conoscenza di tali presupposti deve mettere in grado il contribuente di valutare l’utilità di impugnare l’atto impositivo e, in tal caso, di specificare, come richiesto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 18, i motivi di doglianza. Il contribuente deve avere contezza delle ragioni dell’Amministrazione, deve essere messo in grado di valutare l’opportunità di fare o meno acquiescenza al provvedimento, e, in caso di ricorso, di approntare le proprie difese con piena consapevolezza, nonchè per impedire all’Amministrazione, nel quadro di un rapporto di leale collaborazione, di addurre in un eventuale successivo contenzioso ragioni diverse rispetto a quelle enunciate.” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 11477 del 5 aprile 2018). Da tale insegnamento, affermato da questa Corte proprio con riferimento alla procedura di cui alla L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 335, in relazione alla L. n. 212 del 2000, art. 7, non vi sono ragioni per discostarsi nel caso di specie;

– Con il terzo motivo di ricorso, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Agenzia delle entrate denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 335 e del D.P.R. n. 1142 del 1949, art. 61, in quanto non sarebbe necessario indicare nell’atto di classamento specifiche caratteristiche del singolo immobile, essendo sufficiente fare riferimento a medie dei valori riscontrati per microzone in cui l’immobile è inserito;

Il motivo non può essere accolto. Va rammentato che “Quando si procede all’attribuzione di ufficio di un nuovo classamento ad un’unità immobiliare a destinazione ordinaria, l’Agenzia competente deve specificare se il mutamento è dovuto a una risistemazione dei parametri relativi alla microzona in cui si colloca l’unità immobiliare e, nel caso, indicare l’atto con cui si è provveduto alla revisione dei parametri relativi alla microzona, a seguito di significativi e concreti miglioramenti del contesto urbano (ex multis Cass., sez. trib., n. 9629 del 2012), trattandosi di uno dei possibili presupposti del riclassamento (ex multis Cass., sez. trib., n. 11370 del 2012).” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 7665 del 18/04/2016). “Nè può ritenersi sufficiente a tal fine il riferimento a non meglio precisati “interventi pubblici effettuati per la riqualificazione della viabilità interna e dell’arredo urbano” nonchè ad “interventi da parte dei privati per la ristrutturazione degli edifici”. E ciò anche considerando che l’attribuzione di una determinata classe è correlata sia alla qualità urbana del contesto in cui l’immobile è inserito (infrastrutture, servizi, eccetera), sia alla qualità ambientale (pregio o degrado dei caratteri paesaggistici e naturalistici) della zona di mercato immobiliare in cui l’unità stessa è situata, sia infine alle caratteristiche edilizie dell’unità stessa e del fabbricato che la comprende (l’esposizione, il grado di rifinitura, eccetera). Di talchè le espressioni surriportate non sono tali da porre il contribuente in condizione di conoscere le concrete ragioni a base della pretesa impositiva, così da consentirgli sia di valutare l’opportunità di esperire l’impugnazione giudiziale, sia, in caso positivo, di contestare efficacemente l’an ed il quantum debeatur (cfr. Cass. n. 3156 21/01/2015)” (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 22900 del 29/09/2017);

– Va poi tenuto conto del fatto che la Corte costituzionale, con la pronuncia n. 249 del 2017, ha da un lato affermato che “la scelta fatta dal legislatore con il censurato comma 335 (L. n. 311 del 2004, art. 1) non presenta profili di irragionevolezza (in quanto) la decisione di operare una revisione del classamento per microzone si basa sul dato che la qualità del contesto di appartenenza dell’unità immobiliare rappresenta una componente fisiologicamente idonea ad incidere sul valore del bene”, evidenziando però che “la natura e le modalità dell’operazione enfatizzano l’obbligo di motivazione in merito agli elementi che hanno, in concreto, interessato una determinata microzona, così incidendo sul diverso classamento della singola unità immobiliare; obbligo che, proprio in considerazione del carattere “diffuso” dell’operazione, deve essere assolto in maniera rigorosa in modo tale da porre il contribuente in condizione di conoscere le concrete ragioni che giustificano il provvedimento”;

– Dai principi di diritto che precedono si desume che, in tema di estimo catastale, qualora il nuovo classamento sia stato adottato ai sensi della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 335, nell’ambito di una revisione dei parametri catastali della microzona in cui l’immobile è situato, giustificata dal significativo scostamento del rapporto tra il valore di mercato ed il valore catastale in tale microzona rispetto all’analogo rapporto sussistente nell’insieme delle microzone comunali, non può ritenersi congruamente motivato il provvedimento di riclassamento che faccia esclusivamente riferimento al suddetto rapporto e al relativo scostamento ed ai provvedimenti amministrativi a fondamento del riclassamento, allorchè da questi ultimi non siano evincibili gli elementi – come la qualità urbana del contesto nel quale l’immobile è inserito, la qualità ambientale della zona di mercato in cui l’unità è situata, le caratteristiche edilizie del fabbricato – che, in concreto, hanno inciso sul diverso classamento, e ciò al duplice fine di consentire, da un lato, al contribuente di individuare agevolmente il presupposto dell’operata ri-classificazione ed approntare le consequenziali difese, e, dall’altro, di delimitare, in riferimento a dette ragioni, l’oggetto dell’eventuale successivo contenzioso, essendo precluso all’Ufficio di addurre, in giudizio, cause diverse rispetto a quelle enunciate nell’atto. Nel caso di specie, in applicazione dei principi giurisprudenziali che precedono, correttamente la CTR ha ritenuto che le espressioni usate non siano tali da porre il contribuente in condizione di conoscere le concrete ragioni a base della pretesa impositiva, così da consentirgli sia di valutare l’opportunità di esperire l’impugnazione giudiziale, sia, in caso positivo, di contestare efficacemente l’an ed il quantum debeatur;

– La sentenza impugnata va dunque confermata, in quanto ha rispettato i principi di diritto sopra richiamati, e le spese di lite devono essere interamente compensate, alla luce dell’esistenza di un orientamento giurisprudenziale consolidato, al momento della proposizione del ricorso, sfavorevole all’Agenzia che rendeva sostanzialmente superflua la difesa in giudizio. La Corte dà atto che, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (legge di stabilità 2013), data la soccombenza della parte ammessa alla prenotazione a debito, per effetto del presente provvedimento non sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore contributo unificato di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – bis, testo unico spese di giustizia.

P.Q.M.

La Corte: rigetta il ricorso.

Spese compensate.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2019

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