Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29011 del 17/12/2020

Cassazione civile sez. lav., 17/12/2020, (ud. 14/10/2020, dep. 17/12/2020), n.29011

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 33387/2018 proposto da:

SELLE ROYAL S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DORA 2, presso lo studio

dell’avvocato LUIGI MANISCALCO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e

quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. – Società di

Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati LELIO MARITATO,

CARLA D’ALOISIO, GIUSEPPE MATANO, EMANUELE DE ROSE, ESTER ADA

SCIPLINO, ANTONINO SGROI;

– controricorrenti –

e contro

CONCESSIONARIO SERVIZI RISCOSSIONE TRIBUTI MONTE DEI PASCHI DI SIENA,

ORA AGENZIA DELL’ENTRATE-RISCOSSIONE;

– intimato –

avverso l’ordinanza n. 11847/2018 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata il 15/05/2018 R.G.N. 5918/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/10/2020 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato LUIGI MANISCALCO;

udito l’Avvocato LELIO MARITATO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di Cassazione, con sentenza n. 11847 del 15.5.2018, rigettava il ricorso proposto dalla s.p.a. Selle Royal avverso la decisione della Corte d’appello di Venezia che, in riforma della decisione del Tribunale di Vicenza, aveva rigettato le opposizioni proposte dalla società avverso il verbale ispettivo dell’INPS e la conseguente cartella di pagamento, accertativa di un credito previdenziale fondato sull’errato computo delle maggiorazioni per il lavoro notturno e in squadra, nonchè della indennità di mensa ai fini della determinazione degli elementi retributivi indiretti.

2. La Corte di legittimità, per quel che rileva nella presente sede, osservava che in premessa il D.L. n. 318 del 1996, art. 3, conv. in L. n. 402 del 1996, nello stabilire la retribuzione base da considerare anche ai fini delle prestazioni previdenziali, richiamava quanto disposto negli Accordi collettivi ed imponeva, a tal fine, l’obbligo di depositare i predetti Accordi e contratti presso l’ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione e presso le competenti sedi degli enti previdenziali interessati competenti territorialmente; che la norma stabiliva altresì che il deposito degli accordi dovesse essere effettuato entro 30 giorni dalla loro stipulazione e, per quelli già sottoscritti alla data di entrata in vigore della disposizione, fissava quale termine ultimo per il deposito quello del 31.12.1996; che la disposizione era diretta a regolare il rapporto tra datore di lavoro ed ente di previdenza in quanto, introducendo un regime di pubblicità per gli accordi collettivi, ne garantiva l’opponibilità agli istituti previdenziali con riguardo ai trattamenti retributivi da considerare al fine del calcolo dei contributi; evidenziava come la norma si preoccupasse anche dei contratti collettivi già esistenti e sottoscritti al momento della sua entrata in vigore, stabilendo anche per questi la possibilità che l’INPS ne tenesse conto, purchè depositati entro il 31.12.1996.

3. La Corte osservava che, se pure non era sostenibile che il mancato deposito nei termini previsti costituisse motivo di nullità dei contratti, non poteva, tuttavia, giungersi a sostenere che, una volta intervenuto tardivamente il richiesto deposito, si determinasse una sorta di “sanatoria” anche riferita al periodo antecedente alla entrata in vigore della norma; rilevava che la Corte di legittimità (Cass. n. 2387/2004) aveva già affermato la irretroattività della disciplina statuendo che, se era vero che dell’art. 3, comma 2 della L. del 1996, prevedeva il deposito “anche” dei contratti ed accordi stipulati alla data di entrata in vigore del D.L. n. 318 del 1996, detti accordi sarebbero stati passibili di applicazione solo in relazione ai contributi da versare “dopo” l’entrata in vigore della legge, non potendosi determinare i contributi sulla base di una disposizione non ancora in vigore al momento della maturazione dell’obbligo.

4. Alla stregua di tali osservazioni, concludeva nel senso dell’infondatezza del motivo di impugnazione.

5. Di tale decisione la s.p.a. Selle Royal domanda la revocazione ex art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, fondando il ricorso su unico motivo, illustrato nella memoria depositato ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

6. L’INPS, in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. s.p.a., resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La società ricorrente denuncia errore di fatto risultante dagli atti e documenti della causa, ex art. 395 c.p.c., n. 4, per contrasto con quanto risultante dal verbale ispettivo impugnato, relativo agli anni dal 1998 al 2003 – doc. n. 1 del fascicolo di primo grado della ricorrente e dato incontestato nei precedenti gradi del giudizio – rispetto all’affermata irretroattività di quanto disposto del D.L. n. 318 del 1996, art. 3, comma 2, convertito in L. n. 402 del 1996, su cui si fonda la motivazione dell’ordinanza impugnata, la quale, su tale base, rigetta il ricorso per cassazione quanto al primo motivo.

2. Nella sostanza la società adduce che la S.C. ha erroneamente ritenuto che la società chiedesse di applicare la disposizione del D.L. n. 318 del 1996, art. 3, comma 2, a sanzione amministrativa per omesso versamento di contributi riferiti ad epoca precedente all’entrata in vigore della norma ed osserva che nella specie il caso è del tutto diverso da quello evocato dalla S.C. nell’ordinanza impugnata, in quanto si tratta di sanzioni irrogate il 25.6.2003, riferite a contributi richiesti a seguito di ispezione terminata in tale data, aventi ad oggetto accertamenti relativi al periodo compreso tra il mese di marzo del 1998 ed il 28 febbraio 2003.

3. Sottolinea come si tratti di contributi incontestatamente riferiti a periodo successivo all’entrata in vigore della norma richiamata nell’ordinanza della S.C. e di un accordo che, seppure riferito ad epoca precedente, una volta depositato, sarebbe stato passibile di applicazione con riferimento a tali contributi.

4. Aggiunge che il periodo a cui si riferiscono le contribuzioni prese in considerazione dagli ispettori viene evidenziato nel verbale di accertamento impugnato e trova riscontro nel prospetto riepilogativo delle somme aggiuntive, dal quale emerge quale periodo preso in considerazione quello dal 3/1998 al 2/2003, ciò che era desumibile anche dalla previsione del termine di prescrizione quinquennale che non avrebbe consentito di considerare contributi antecedenti.

5. Osserva, quanto all’oggetto del contendere, che la possibilità di non considerare alcuni importi maggiori rispetto a quelli previsti dal CCNL ai fini del calcolo degli elementi retributivi indiretti da parte di accordi tra azienda e rappresentanze sindacali maggiormente rappresentative era nella specie rimessa ad atto ricognitivo dell’accordo verbale intervenuto tra le parti ed al deposito dello stesso il 6 giugno 2003, prima del termine dell’accertamento ispettivo conclusosi il 25 giugno successivo. Da ciò doveva evincersi che la controversia era incentrata sull’efficacia o meno dell’accordo depositato tardivamente, ma non anche sull’applicabilità della normativa con riferimento alle sanzioni irrogate, rappresentando la contribuzione previdenziale oggetto dell’accertamento fatto assolutamente incontroverso.

6. Secondo la ricorrente, l’errore doveva considerarsi poi decisivo in quanto, ove correttamente individuato il periodo di riferimento della contribuzione, la causa avrebbe avuto esito diverso, essendo il computo delle maggiorazioni per lavoro a squadra e notturno del 12 e del 48% rispettivamente cumulato con quella dell’indennità di mensa non rilevante per il calcolo degli elementi retributivi indiretti, con riflessi anche sulla contribuzione dovuta.

7. L’errore di fatto previsto dall’art. 395 c.p.c., n. 4, idoneo a determinare la revocazione delle sentenze, comprese quelle della Corte di cassazione, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, deve: 1) consistere in una errata percezione del fatto, in una svista di carattere materiale, oggettivamente ed immediatamente rilevabile, tale da avere indotto il giudice a supporre la esistenza di un fatto la cui verità era esclusa in modo incontrovertibile, oppure a considerare inesistente un fatto accertato in modo parimenti indiscutibile; 2) essere decisivo, nel senso che, se non vi fosse stato, la decisione sarebbe stata diversa; 3) non cadere su di un punto controverso sul quale la Corte si sia pronunciata; 4) presentare i caratteri della evidenza e della obiettività, sì da non richiedere, per essere apprezzato, lo sviluppo di argomentazioni induttive e di indagini ermeneutiche; 5) non consistere in un vizio di assunzione del fatto, nè in un errore nella scelta del criterio di valutazione del fatto medesimo.

8. Detto errore non soltanto deve quindi apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche, ma non può tradursi, in un preteso, inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, ovvero di norme giuridiche e principi giurisprudenziali, vertendosi, in tal caso, nella ipotesi dell’errore di giudizio, inidoneo a determinare la revocabilità delle sentenze della Cassazione (fra le tante Cass. sez. un. 7217/2009, nonchè 22171/2010; 23856/2008; 10637/2007; 7469/2007; 3652/2006; 13915/2005; 8295/2005).

9. Le Sezioni Unite di questa Corte (Cass., Sez.Un., 27 dicembre 2017, nn. 30994) hanno, da ultimo, ulteriormente chiarito come “In sintesi estrema la combinazione dell’art. 391-bis e dell’art. 395, n. 4) non prevede come causa di revocazione della sentenza di cassazione l’errore di diritto sostanziale o processuale e l’errore di giudizio o di valutazione. Nè, con riguardo al sistema delle impugnazioni, la Costituzione impone al legislatore ordinario altri vincoli oltre a quelli, previsti dall’art. 111 Cost., della ricorribilità in cassazione per violazione di legge di tutte le sentenze ed i provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari e speciali”, e che “non appare irrazionale la scelta del legislatore di riconoscere ai motivi di revocazione una propria specifica funzione, escludendone gli errori giuridici e quelli di giudizio o valutazione, proponibili solo contro le decisioni di merito nei limiti dell’appello e del ricorso per cassazione (Cass., 16/09/2011, n. 18897)”.

10. E’ stato anche precisato, con riferimento all’effettività della tutela giudiziaria, come anche la Corte di giustizia dell’UE riconosca la necessità che le decisioni giurisdizionali, divenute definitive dopo l’esaurimento delle vie di ricorso disponibili (o dopo la scadenza dei termini previsti per questi ricorsi), non possano più essere rimesse in discussione e ciò al fine di garantire sia la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici, sia l’ordinata amministrazione della giustizia (Cass. Sez. U., 28/05/2013, n. 13181; cfr. Corte giust., 03/09/2009, in causa C-2/08, Olimpiclub; Corte giust., 30/09/2003, in causa C224/01, Kobler; Corte giust., 16/03/2006, in causa C-234/04, Kapferer).

11. Tali approdi nomofilattici sopra ricostruiti trovano riscontro univoco nella giurisprudenza costituzionale (Corte Cost. n. 17/1986, n. 36/1991, n. 207/2009), laddove essa segue il percorso evolutivo del contenimento del rimedio revocatorio per le decisioni di legittimità ai soli casi di “sviste” o di “puri equivoci” e nega rilievo a pretesi errori di valutazione, così recependo il ristretto ambito dell’errore di fatto previsto dell’art. 395 c.p.c., n. 4), anche rispetto alla svolta normativa in direzione di un più ampio controllo (L. 26 novembre 1990, n. 353; D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40).

12. In definitiva, è stato chiarito come “l’interpretazione non solo letterale e sistematica, ma pure quella costituzionalmente e convenzionalmente orientata, dell’art. 391-bis e art. 395, n. 4) portano a non ammettere la revocazione delle decisioni di legittimità della Corte di cassazione per pretesi errori giuridici (sostanziali o processuali) oppure circostanziali, diversi dalla mera svista su fatti non resi oggetto di precedente controversia (cfr. Cass., sez. u., 27 dicembre 2017, nn. 30994 ed altre coeve) rispondendo la “non ulteriore impugnabilità in generale” all’esigenza, tutelata come primaria dalle stesse norme della Carta fondamentale e della CEDU, di conseguire l’immutabilità e definitività della pronuncia all’esito di un sistema variamente strutturato (Cass., 29/04/2016, n. 8472). Il carattere d’impugnazione eccezionale della revocazione, prevista per i soli motivi tassativamente indicati dalla legge, comporta l’inammissibilità di ogni censura non compresa (Cass., 07/05/2014, n. 9865), ivi compresa ogni ipotetica actio nullitatis.

13. Resta, quindi, esclusa, dall’area del vizio revocatorio la sindacabilità di errori formatisi sulla base di una pretesa errata valutazione o interpretazione di fatti, documenti e risultanze processuali che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico-giuridico, perchè siffatto tipo di errore, se fondato, costituirebbe un errore di giudizio, e non un errore di fatto (Cass., 14/04/2017, n. 9673, p. 4-5). Così, ad esempio, è stato escluso l’errore revocatorio per: l’inesatta considerazione degli effetti di una specifica riforma normativa (Cass., 03/06/2002, n. 8023); l’inapplicabilità dello jus superveniens (Cass., Sez.U., 23/01/2009, n. 1666); l’applicazione di una normativa piuttosto che di un’altra (Cass., 29/03/2006, n. 7127); la violazione del diritto comunitario (Cass., 10/11/2005, n. 21830).

14. Nel caso in esame, ciò che viene lamentato è l’errore in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata nel ritenere inapplicabile la fattispecie ai contributi di cui alla cartella di pagamento, laddove questi non potevano che rientrare – per l’incontestata riferibilità ad omissioni relative al periodo 1998-2003 (come da verbale richiamato e prospetto riepilogativo) – nel raggio di applicabilità della disposizione normativa per come interpretata dalla stessa Corte. Questa aveva, invero, ritenuto l’incidenza degli accordi anche stipulati antecedentemente, purchè depositati nei termini di legge e riferiti a contributi successivi alla entrata in vigore della normativa, per mera svista nella specie indicati invece come antecedenti alla stessa, ciò che denota come sussistessero le caratteristiche proprie dell’errore revocatorio così come sopra delineate.

15. Il giudice, verificato l’errore di fatto (sostanziale o processuale) esposto ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, deve valutarne la decisività alla stregua del solo contenuto della sentenza impugnata, operando un ragionamento di tipo controfattuale in ragione del quale, sostituita mentalmente l’affermazione errata con quella esatta, provi la resistenza della decisione stessa; ove tale accertamento dia esito negativo, nel senso che la sentenza impugnata risulti, in tal modo, priva della sua base logico-giuridica, il giudice deve procedere alla fase rescissoria attraverso un rinnovato esame del merito della controversia, che tenga conto dell’effettuato emendamento (cfr. Cass. 23.4.2020 n. 8051).

16. Ne discende altresì che la diversa valutazione degli elementi di fatto come richiesta per la decisione in fase rescissoria non costituisce una critica all’attività valutativa compiuta dal giudice, ma rappresenta piuttosto la prospettazione delle conseguenze in termini di correttezza della decisione, quali scaturenti dalla diversa valutazione della realtà fattuale e giuridica, emendata dall’errore di fatto denunciato con la revocazione.

17. La sentenza impugnata deve pertanto essere revocata ed in sede rescissoria deve pertanto essere accolto il primo motivo del ricorso per cassazione in ragione di quanto evidenziato, laddove il secondo motivo (che deduce insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., n. 5, con riguardo alla valutazione fatta dalla Corte distrettuale sulla fruizione delle pause lavorative e sulla conseguente sussistenza di lavoro straordinario non dichiarato) va dichiarato inammissibile in quanto inconferente rispetto alla doglianza e comunque non proponibile in sede di legittimità in quanto non evidenzia l’eventuale errore nel procedimento inerente il giudizio, limitandosi a richiamare valutazioni del materiale testimoniale oggetto del giudizio di merito.

18. All’accoglimento del primo motivo consegue la cassazione della sentenza impugnata in parte qua e la causa va rinviata alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione per l’esame di questioni rimaste assorbite.

19. alla Corte d’appello è demandato di provvedere alla liquidazione delle spese anche del presente giudizio.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, revoca la sentenza n. 11847/18, resa dalla Corte di Cassazione il 15.5.2018 e, in sede rescissoria, accoglie il primo motivo, dichiara inammissibile il secondo, cassa la decisione impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione, cui demanda la determinazione anche delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2020

 

 

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