Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29010 del 12/11/2018

Cassazione civile sez. II, 12/11/2018, (ud. 23/05/2018, dep. 12/11/2018), n.29010

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24574/2014 proposto

M.S.L., rappresentato e difeso dagli avvocati AVIO

GIACOVELLI, RICCARDO ROMANAZZI;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) SRL, rappresentato e difeso dall’avvocato

ALESSIO PASSONI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 857/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 27/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/05/2018 dal Consigliere Dott. GUIDO FEDERICO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per l’accoglimento 1^ motivo del

ricorso;

udito l’Avvocato GIACOVELLI Avio, difensore del ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso e della memoria.

Fatto

ESPOSIZIONE DEL FATTO

1. Nei primi mesi dell’anno 2006 M.S.L. dava incarico all’agenzia di mediazione immobiliare Casa System di reperire società o persone interessate ad acquistare un immobile di sua proprietà, sito in (OMISSIS), consistente in una “villa con terreno circostante”.

Presi gli opportuni contatti, l’immobile veniva offerto alla (OMISSIS) srl la quale sottoscriveva la proposta irrevocabile di acquisto su modulo predisposto dall’agenzia, designando quale notaio di fiducia il Dott. B.G. di Monza; detta proposta veniva sottoscritta pure dal M..

Successivamente il M., senza essersi mai incontrato con l’acquirente, sottoscriveva un preliminare di vendita che era stato predisposto dal notaio B., il quale dichiarava di aver effettuato tutte le visure ipocatastali, rilevando che sull’immobile gravava unicamente un mutuo ipotecario, che il promittente alienante si obbligava ad estinguere. Il rogito di vendita non veniva peraltro stipulato in quanto la (OMISSIS) riferiva di essere venuta a conoscenza, dopo la conclusione del preliminare, che il bene era gravato da una servitus non aedificandi in favore degli immobili confinanti, costituita con atto del 14.12.1989, trascritto il 10.1.1990; la (OMISSIS) sosteneva inoltre che l’unico intento per il quale si era determinata all’acquisto era quello di demolire la villetta e costruire una palazzina con più unità abitative.

Successivamente la (OMISSIS) srl conveniva in giudizio il M. per sentir dichiarare l’annullamento del contratto preliminare per dolo, ed, in via subordinata, per errore riconoscibile su una qualità essenziale del bene promesso in vendita, con richiesta di condanna alla restituzione degli importi già corrisposti.

Il M., costituitosi, resisteva.

1.2 Il Tribunale, assunta prova testimoniale ed espletata Ctu, rigettava la domanda di annullamento in relazione ad ambedue i profili dedotti.

La Corte d’Appello di Milano, con la sentenza n. 875/14 pubblicata il 27 febbraio 2014, in riforma della sentenza di primo grado, pronunciava l’annullamento per errore essenziale, ai sensi dell’art. 1428 c.c., del preliminare di compravendita concluso dalla (OMISSIS) srl con il ricorrente, condannando quest’ultimo alla restituzione di 350.000,00 Euro.

1.3. La Corte territoriale, in particolare, rilevava che, secondo quanto accertato dall’espletata Ctu, il vincolo di servitù riduceva in misura notevole l’edificabilità del lotto e doveva dunque ritenersi elemento incidente sulla “qualità del bene”; l’errore era inoltre “riconoscibile”, tenuto conto della qualità dell’acquirente, che era una società immobiliare, sicchè doveva ritenersi logico presumere, per un venditore di normale diligenza, che il contratto in oggetto preludesse a costruzione e vendita d’immobili nel terreno oggetto della vendita.

1.4. Per la cassazione di detta pronuncia, M.S.L. ha proposto ricorso per cassazione, con tre motivi, nei confronti della curatela fallimentare della (OMISSIS) srl, illustrati da memoria ex art. 380 bis c.p.c..

Il fallimento (OMISSIS) srl ha resistito con controricorso.

1.5. Con ordinanza depositata il 31 gennaio 2018 questa Corte, rilevata la particolare rilevanza della questione relativa ai caratteri dell’errore essenziale di cui all’art. 1429 c.c., quale errore incidente sulla qualità del bene immobile oggetto del contratto di vendita, ha rinviato al causa alla pubblica udienza.

In prossimità dell’odierna udienza collegiale, il M. ha depositato memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1428 c.c. e art. 1429 c.c., n. 2), deducendo che l’errore non può essere definito “essenziale” quando riguarda il quantum della edificabilità, risolvendosi in una differenza di valore. Ad avviso del ricorrente l’essenzialità dell’errore deve comunque riferirsi a cose appartenenti, secondo il concetto corrente, ad una piuttosto che ad un’altra categoria, con la conseguenza che non può parlarsi di essenzialità dell’errore quando questo riguardi il quantum di edificabilità dell’immobile, pur sempre a destinazione non agricola.

Il motivo è fondato e va accolto.

1.1 Il contratto preliminare per cui è causa aveva ad oggetto, secondo quanto risulta nella sentenza impugnata, una “villa con terreno circostante”: l’oggetto principale del contratto, dunque, in assenza di una diversa qualificazione o di specifici elementi, che non risultano peraltro indicati in sentenza, non era costituito da un’area o da un terreno, ma da un fabbricato (villa), cui il terreno “circostante” deve ritenersi legato da un vincolo di pertinenzialità.

Si osserva che in tema di interpretazione del contratto, la comune intenzione dei contraenti deve essere anzitutto ricercata avendo riguardo al senso letterale delle parole, da verificare alla luce dell’intero contesto negoziale ai sensi dell’art. 1363 c.c., nonchè ai criteri d’interpretazione soggettiva di cui agli artt. 1369 e 1366 c.c. e volti, rispettivamente, a consentire l’accertamento del significato dell’accordo in coerenza con la relativa ragione pratica o causa concreta (Cass. Sez. 2 -, Sentenza n. 7927 del 28/03/2017).

La causa in concreto – intesa quale scopo pratico del contratto, in quanto sintesi degli interessi che il singolo negozio è concretamente diretto a realizzare, al di là del modello negoziale utilizzato – conferisce rilevanza ai motivi, purchè però questi abbiano assunto un valore determinante nell’economia del negozio, assurgendo a presupposti causali, e siano comuni alle parti o, se riferibili ad una sola di esse, siano comunque riconoscibili dall’altra (Cass., sez. 1, 16.5.2017 n. 12069), in quanto espressamente indicati nel contratto, o comunque univocamente desumibili dalla natura delle prestazioni, dall’ assetto negoziale o dal complessivo comportamento tenuto dalle parti medesime (art. 1362 c.c., comma 2). In caso contrario il negozio risulterebbe condizionato da intendimenti e finalità ignoti all’altro contraente – quello cui è estranea la specifica intenzione perseguita – con conseguente lesione del suo affidamento.

1.2. Nel caso di specie, in assenza di diversi indici, desumibili dall’esame del titolo negoziale o da altri elementi, quali le condizioni ed il valore della villa, anche in relazione al corrispettivo concretamente pattuito dalle parti, o la particolare destinazione dell’area e di quelle limitrofe, che non risultano in alcun modo indicati nella sentenza impugnata, non può ritenersi che l’oggetto del negozio fosse il terreno e che l’operazione economica concretamente perseguita avesse ad oggetto l’acquisizione di un’area – ai fini della sua edificazione – senza che il preesistente fabbricato rivestisse alcun apprezzabile rilievo.

1.3. In difetto di tale accertamento, non può affermarsi che l’esistenza di una servitus non aedificandi, regolarmente trascritta, integri un elemento incidente sulla “qualità” del bene oggetto del contratto: in relazione ad un fabbricato, a differenza che nel caso di terreni o aree, non ha evidentemente alcun senso il riferimento alla nozione di “edificabilità” come qualità della res e non è dunque pertinente il riferimento alla pronuncia di questa Corte n. 5900/1997 che si riferisce appunto alle caratteristiche di un suolo.

L’esistenza della servitù è dunque astrattamente idonea a diminuire il valore del compendio, ma non può certamente concepirsi come qualità dell’oggetto del contratto.

1.4. A differenza dell’errore sulle caratteristiche di edificabilità di un fondo compravenduto, che deve essere ricondotto all’errore sulle qualità dell’oggetto del contratto, ai sensi dell’art. 1429 c.c., n. 2, perchè la destinazione del fondo è attinente alle sue caratteristiche strutturali, in senso funzionale, economico e sociale, nel caso di compravendita avente ad oggetto un fabbricato, l’esistenza della servitus non aedificandi, concerne le ulteriori potenzialità edificatorie del bene, ed incide pertanto sulla valutazione economica della cosa, ma non sull’identità o qualità della stessa.

1.5. Va pertanto applicato il principio, già affermato da questa Corte, secondo cui l’errore sulla valutazione economica della cosa oggetto del contratto non rientra nella nozione di errore di fatto idoneo a giustificare una pronuncia di annullamento del contratto, in quanto non incide sull’identità o qualità della cosa, ma attiene alla sfera dei motivi in base ai quali la parte si è determinata a concludere un certo accordo ed al rischio che il contraente si assume, nell’ambito dell’autonomia contrattuale, per effetto delle proprie personali valutazioni sull’utilità economica dell’ affare” (Cass. 3.9.2013 n. 20148).

2. Con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 1431,2697,2727 e 2729 c.c., nonchè dell’art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), il ricorrente deduce che la riconoscibilità dell’errore è stata fondata su presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza di cui all’art. 2729 c.c..

Pure tale mezzo è fondato.

2.1. La sentenza impugnata ha unicamente fondato la riconoscibilità dell’errore sulla qualità dell’acquirente, società immobiliare, ritenendo che un venditore di normale diligenza avrebbe dovuto presumere in forza di ciò che il contratto per cui è causa era strumentale alla costruzione (e successiva vendita) di immobili nel terreno oggetto del contratto.

La riconoscibilità dell’errore viene dunque affermata sulla base di una presunzione semplice, facendosi discendere dalla qualità di società immobiliare della promissaria acquirente la conclusione che il promittente alienante avrebbe dovuto desumere, pur in assenza di una pattuizione esplicita, che l’effettiva finalità dell’operazione commerciale perseguita dal promissario acquirente era l’edificazione di altri appartamenti, anche mediante utilizzo del terreno circostante.

Da ciò la riconoscibilità dell’errore, in considerazione del fatto che l’esistenza della servitus non aedificandi gravante sul bene era incompatibile con detta operazione.

2.2. Conviene premettere che le presunzioni semplici, configurate, di volta in volta, sulla base di un libero apprezzamento della situazione di fatto da parte del giudice di merito consentono, com'”e” noto, di ritenere assolto l’onere probatorio di cui la parte è gravata.

Posto peraltro che la presunzione si basa su un ragionamento logico induttivo, la legge prevede la sussistenza di precisi requisiti idonei a giustificare l’inferenza dal fatto noto a quello ignoto da provare, secondo quanto stabilito dall’art. 2729 c.c..

2.3. Ciò posto, pur richiamando la ricorrente affermazione di questa Corte secondo cui l’accertamento presuntivo può anche fondarsi su un unico indizio (nel caso di specie la qualità di società immobiliare dell’acquirente), lo stesso devè però essere connotato da gravità e precisione (Cass. 3276/2018; 30803/2017; 656/2014).

2.4. La valutazione della prova presuntiva esige, in ogni caso, che il giudice di merito esamini tutti gli elementi di cui disponga, valutandoli complessivamente ed alla luce l’uno dell’altro, cosi da stabilire se sia comunque possibile ritenere accettabilmente probabile l’esistenza del fatto da provare, fondando su tale complessivo esame delle risultanze processuali, la valutazione di gravità e concordanza della presunzione (Cass. 5787/2014).

2.5. Tale complessiva valutazione delle risultanze processuali, nel caso di specie, non risulta essere stata effettuata dalla Corte territoriale, la quale ha sbrigativamente fondato la riconoscibilità dell’errore su un unico elemento che risulta privo di precisione ed univocità.

In assenza di specifiche indicazioni sull’ attività concretamente svolta dalla promissaria acquirente – e conosciute dal promittente venditore – la sola circostanza che la stessa fosse una società immobiliare non costituisce elemento univoco, nè decisivo da cui desumere che l’effettivo interesse dalla stessa perseguito non riguardava l’acquisto della villa, ma piuttosto del terreno per la sua capacità edificatoria.

La natura di società immobiliare della promittente alienante non implica necessariamente che l’attività prevalente della stessa fosse quella di edificazione e non anche di commercio di immobili; inoltre, anche in tal caso, la sola villa ben avrebbe potuto essere oggetto di un intervento di risanamento, ristrutturazione o riedificazione.

Ed ancora, proprio il fatto che l’acquirente svolgesse attività immobiliare poteva far ragionevolmente presumere che la stessa avesse rilevato la servitus non aedificandi, regolarmente trascritta e facilmente desumibile da una visura presso la conservatoria dei RR.II., precauzione da ritenersi del tutto consueta e quasi scontata per gli operatori del settore.

A parte, inoltre, la formulazione letterale dell’oggetto del contratto – villa con terreno circostante – non risulta alcuna clausola o pattuizione accessoria, nè alcun elemento estrinseco, quale la particolare destinazione urbanistica della zona in cui sorgeva l’immobile, o una valutazione comparativa del corrispettivo pattuito rispetto all’effettivo valore del fabbricato, anche in relazione al minor valore derivante dalla servitù sullo stesso gravante, sintomatici della riconoscibilità dell’errore e della rilevanza essenziale attribuita dall’acquirente alla capacità edificatoria dell’area.

Il giudice ha inoltre omesso di considerare, secondo quanto esposto dal ricorrente (pagg. 15 e 16 del ricorso), che il M. era rimasto estraneo alle trattative precontrattuali ed aveva incontrato i rappresentanti della società immobiliare solo al momento della stipula del rogito;

che, inoltre, sia il notaio di fiducia della (OMISSIS) che il proprio avevano ritenuto irrilevante l’esistenza del vincolo, posto che, secondo quanto riferito dal notaio B.G. in sede di esame testimoniale, la vendita riguardava un complesso immobiliare ed esso non risultava subordinato ad ulteriori edificazioni od operazioni.

2.6. Orbene, in assenza di una valutazione comparativa del complesso degli elementi in atti e tenuto conto del rilievo decisivo attribuito ad un unico elemento privo di univocità, deve ritenersi sussistente la violazione dell’art. 2729 c.c., che, come già evidenziato, individua il paradigma legale di ammissibilità della prova presuntiva.

2.7. Se infatti è vero che rientra nei compiti del giudice di merito la valutazione della idoneità degli elementi presuntivi a consentire inferenze che da essi discendano, l’osservanza dell’art. 2729 c.c., impone che i requisiti della gravità, della precisione e della (eventuale) concordanza, richiesti da detta disposizione, siano ricavati dal complesso degli indizi e che gli stessi siano soggetti – tutti insieme e gli uni per mezzo degli altri – ad una valutazione globale e rigorosa in relazione alle circostanze del caso concreto; e ciò, al fine di evitare che siano vanificati, anche in relazione alla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5), ed allo scolorire del controllo in sede di legittimità sul vizio di motivazione, quei limiti al potere discrezionale del giudice nella valutazione delle prove che caratterizza la fattispecie normativa suddetta, che subordina alla ricorrenza dei requisiti su menzionati l’ammissibilità, rectius efficacia della prova presuntiva.

2.8. In conclusione, gli elementi presuntivi, anzi l’unico elemento valorizzato dalla sentenza impugnata risulta privo dei caratteri di cui all’art. 2729 c.c., in quanto la riconoscibilità dell’errore risulta unicamente fondata su una generica condizione soggettiva della promissaria acquirente, peraltro pienamente compatibile con l’acquisto di un fabbricato, eventualmente da ristrutturare.

Tale elemento non è dunque decisivo in relazione alla dimostrazione che fosse riconoscibile, mediante l’ordinaria diligenza, il falso giudizio di corrispondenza dell’oggetto negoziale al modello prefigurato dal promissario acquirente ed alla finalità da questo effettivamente perseguita.

Va dunque affermato il seguente principio di diritto:

2.9. “In tema di presunzioni semplici, qualora il giudice di merito sussuma erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione (gravità, precisione e concordanza) fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei requisiti, il relativo ragionamento è censurabile in base all’art. 360 c.p.c., n. 3, competendo alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione di nomofilachia, controllare se la norma dell’art. 2729 c.c., oltre ad essere applicata esattamente a livello di proclamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta” (in tal senso, Cass. 19485/2017).

3. L’accoglimento dei primi due motivi assorbe l’esame del terzo, avente ad oggetto la carenza motivazionale della sentenza impugnata.

Consegue da quanto sopra esposto l’accoglimento del ricorso.

La sentenza impugnata va dunque cassata, con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Milano, che procederà a nuovo esame della causa attenendosi ai principi di diritto affermati ai punti 1.5. e 2.9. della presente pronuncia e provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo e secondo motivo di ricorso; assorbito il terzo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, per nuovo esame, ad altra sezione della Corte d’Appello di Milano, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2018

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