Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29006 del 17/12/2020

Cassazione civile sez. lav., 17/12/2020, (ud. 29/09/2020, dep. 17/12/2020), n.29006

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19720/2017 proposto da:

RAI RADIOTELEVISIONE ITALIANA S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

ANTONIO BERTOLONI 44, presso lo studio dell’avvocato MATTIA

PERSIANI, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

A.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE ANGELICO 35,

presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI NICOLA D’AMATI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CLAUDIA COSTANTINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 106/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 16/02/2017 R.G.N. 4120/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

29/09/2020 dal Consigliere Dott. FEDERICO BALESTRIERI.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

A.R., già collaborante con la RAI s.p.a. in forza di numerosi contratti di lavoro autonomo per consulenze, succedutisi dal 12.9.05 all’8.1.13, conveniva in giudizio la società al fine di accertare che tra le parti si era instaurato un unico rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con qualifica di impiegata di 1livello, chiedendo la condanna della stessa al pagamento delle relative differenze retributive e contribuzione all’Enpals.

Radicatosi il contraddittorio il Tribunale di Roma, con sentenza 15.4.13, rigettava il ricorso compensando per metà le spese di lite e ponendo a carico della ricorrente il residuo.

Avverso tale pronuncia proponeva appello la A.; resisteva la RAI s.p.a..

Con sentenza depositata il 16.2.17, la Corte d’appello di Roma, in riforma della sentenza impugnata, accertava l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra le parti a far data dal 12.9.05 con inquadramento della lavoratrice nel IV livello di cui al c.c.n.l. RAI, condannando quest’ultima al ripristino del rapporto ed al pagamento della somma di Euro 39.481,92 a titolo di differenza retributive sino al 31.8.12, oltre accessori, nonchè al pagamento delle retribuzioni maturate dal 22.1.13 alla sentenza d’appello, detratto quanto percepito a tale ultimo titolo, con accessori di legge, oltre alla regolarizzazione contributiva ed al pagamento delle spese del doppio grado.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la RAI s.p.a., affidato a tre motivi, poi illustrati con memoria, cui resiste la lavoratrice con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1- Con il primo motivo la società ricorrente denuncia la nullità della sentenza per omessa pronuncia in ordine alle questioni della riqualificazione dei contratti (da autonomi, e non a termine, a subordinati) ed alla legittimità o meno dei termini apposti a tali contratti.

Il motivo è infondato, non sussistendo alcun vizio di omessa pronuncia da parte della sentenza impugnata, avendo essa implicitamente disatteso le doglianze attraverso l’articolato accertamento in fatto dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato (cfr. in tal senso Cass. n. 24100/19), ritenuto dissimulato da molteplici contratti di consulenza nell’arco di sette anni, circostanza idonea a costituire adeguata risposta alla questione posta della legittimità o meno di tali contratti.

2- Con secondo motivo la RAI s.p.a. denuncia ancora la nullità della sentenza impugnata per non essersi pronunciata sull’eccezione, proposta sin dal primo grado e riproposta in appello, della risoluzione del rapporto per mutuo consenso alla scadenza dei singoli contratti.

Il motivo è inammissibile.

Come osservato da Cass. n. 5040/20, qualora la sentenza impugnata non affronti specificamente la questione della risoluzione tacita del rapporto per effetto del comportamento concludente delle parti, costituisce onere di parte ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, dimostrarne la avvenuta e rituale deduzione nei gradi di merito (Cass. n. 20694 del 2018, Cass. n. 1435 del 2013, Cass. n. 20518 del 2008, Cass. n. 22540 del 2006); la parte ricorrente si è sottratta a tale onere in quanto ha richiamato solo genericamente le conclusioni formulate in secondo grado (cfr. ricorso per cassazione, pag. 37, ove si dice solo che l’eccezione è stata puntualmente reiterata in grado di appello).

3- Con terzo motivo la società denuncia la violazione o falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 5 e 6, ovvero del D.Lgs. n. 81 del 2015, art. 28, comma 2, lamentando che la Corte di merito avrebbe dovuto applicare nella specie il regime sanzionatorio previsto dall’art. 32 cit., non potendosi ritenere l’applicazione di tale regime limitato ai soli contratti a termine e non già anche ai contratti di lavoro autonomo contenenti una data iniziale e finale della prestazione.

Il motivo è infondato riguardando la disciplina invocata i contratti a termine e le altre tipologie contrattuali previste della L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 3 e 4, tra cui non rientrano i contratti di lavoro autonomo, non potendo neppure invocarsi la disciplina di cui del citato comma 4, lett. d).

Questa Corte, del resto, ha affermato l’applicabilità del regime sanzionatorio in questione solo all’ipotesi di contratto di lavoro autonomo a progetto ritenuto illegittimo (Cass. n. 24100/19, Cass. n. 28510/19).

Tale soluzione trova un riferimento dell’art. 32, comma 4, lett. d), soprattutto per quanto riguarda l’accertamento di un rapporto di lavoro a tempo in capo ad un soggetto diverso dal titolare del contratto, mentre Cass. n. 20209/16 ritiene inapplicabile l’art. 32, restando ad esso estranea la fattispecie di un rapporto di lavoro autonomo accertato (ab origine, per fictio iuris) di lavoro subordinato e a tempo indeterminato, celato (come nel caso in esame) sotto lo schermo ripetuto di una molteplicità di successivi contratti di collaborazione autonoma.

Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 5.250,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a.. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 29 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2020

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