Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29005 del 20/10/2021

Cassazione civile sez. III, 20/10/2021, (ud. 22/04/2021, dep. 20/10/2021), n.29005

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10202/2019 proposto da:

IREN MERCATO S.P.A., elettivamente domiciliato in ROMA, LARGO ARENULA

26, presso lo studio dell’avvocato DILETTA FULCHERI, rappresentata e

difesa dall’avv. MARIA CLEME BARTESAGHI;

– ricorrente –

contro

ELECTRABEL S.A., ALPIQ SUISSE S.A., elettivamente domiciliate in

ROMA, VIA DELLE QUATTRO FONTANE 161, presso lo studio dell’avvocato

GIAMMARCO NAVARRA, che li rappresenta e difende unitamente agli

avvocati MICHELE BIGNAMI, GIANCARLO SESSA;

– controricorrenti –

avverso l’ordinanza n. 22565/2018 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata il 25/09/2018;

letta la requisitoria scritta del Sostituto Procuratore generale

Dott. CARMELO SGROI, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/04/2021 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Le società Electrabel s.a. ed Energie Ouest Suisse s.a. (poi divenuta Alpiq Suisse s.a.) convennero in giudizio, davanti al Tribunale di Milano, la Iren Mercato s.p.a., chiedendo che fosse condannata al pagamento di somme asseritamente loro spettanti sulla base di un accordo per la fornitura di energia elettrica take or pay 100% attraverso le frontiere francese e svizzera, stipulato il 31 dicembre 2003.

Si costituì in giudizio la convenuta, chiedendo il rigetto della domanda.

Il Tribunale accolse la domanda e condannò la società convenuta al pagamento della somma di Euro 199.704,66, oltre interessi legali e con il carico delle spese di giudizio.

2. La pronuncia fu impugnata dalla convenuta soccombente e la Corte d’appello di Milano rigettò l’appello, confermando la decisione del Tribunale e condannando l’appellante al pagamento delle ulteriori spese del grado.

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Milano ha proposto ricorso la Iren Mercato s.p.a. con atto affidato a due motivi.

Hanno resistito con controricorso le società Electrabel ed Alpiq Suisse.

Questa Corte, con ordinanza 25 settembre 2018, n. 22565, ha rigettato il ricorso, condannando la società ricorrente al pagamento delle relative spese in favore delle parti controricorrenti.

Ha osservato la Corte che il primo motivo di ricorso era da ritenere inammissibile per due diverse ragioni, l’una formale e l’altra sostanziale.

Da un punto di vista formale, vi era una violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), perché tutte le argomentazioni contenute nelle pagine 10-20 del ricorso ruotavano “intorno all’art. 7 dei contratti, che però non è trascritto, allegato, o comunque individuato nell’ambito dei fascicoli”. Il riferimento, contenuto nel ricorso, alla rubrica del citato art. 7 era da ritenere, secondo questa Corte, insufficiente “nella parte in cui si rileva che gli oneri indicati riguardano il vettoriamento, bilanciamento e scambio, poiché di tali concetti non viene data una definizione, se non che il primo è sinonimo di trasporto. Ma soprattutto si costruisce una differenza rispetto al servizio di dispacciamento di cui della Delib. n. 48 del 2004, art. 5. Ma neppure di tale concetto si fornisce una nozione”.

Da un punto di vista sostanziale, invece, il primo motivo è stato ritenuto inammissibile in quanto prospettava una questione di interpretazione del contratto senza indicare quale specifico canone interpretativo fosse stato violato e da dove potesse desumersi simile violazione da parte del giudice di merito.

In riferimento, invece, al secondo motivo di ricorso, l’ordinanza n. 22565 ne ha affermato l’infondatezza, osservando che la discussione sui limiti dei poteri di normazione secondaria dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas “si riferisce alla relazione con il consumatore quale utente finale e non al rapporto interno fra operatore e cedente”, oggetto della presente controversia.

4. Contro l’ordinanza n. 22565 del 2018 di questa Corte propone ricorso per revocazione, ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c., la Iren Mercato s.p.a. con atto affidato ad un solo motivo suddiviso in due parti.

Resistono la Electrabel s.a. e la Alpiq Suisse s.a. con un unico controricorso.

Fissato quindi per l’udienza pubblica del 22 aprile 2021, il ricorso è stato trattato in Camera di consiglio, in base alla disciplina dettata dal sopravvenuto del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, inserito dalla Legge di Conversione 18 dicembre 2020, n. 176, senza l’intervento del Procuratore generale e dei difensori delle parti, non avendo nessuno degli interessati fatto richiesta di discussione orale.

Il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni per iscritto, chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile.

La società ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con la prima parte dell’unico motivo di ricorsa la società ricorrente lamenta violazione dell’art. 395 c.p.c., n. 4), contestando l’affermazione, contenuta nell’ordinanza impugnata, secondo cui il testo dell’art. 7 del contratto su cui si fonda la domanda non sarebbe stato riportato nel ricorso.

Secondo la ricorrente, al contrario, nel paragrafo 3.1. del primo e unico motivo di ricorso avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano era stato riportato per intero il testo dell’art. 7 del contratto, a norma del quale “sono di competenza dell’Acquirente gli oneri, le obbligazioni e i diritti derivanti dai contratti relativi al servizio di trasporto, bilanciamento e scambio sul territorio italiano”. Nel ricorso, poi, risultava anche riportata la sede processuale nella quale i contratti erano stati allegati; per cui il rilievo, contenuto nell’ordinanza impugnata, secondo cui il primo motivo di ricorso non era autosufficiente per la mancata trascrizione del testo dell’articolo sarebbe errato. Sarebbe perciò fondata l’impugnazione per revocazione, posto che risulterebbe dagli atti l’assoluta contrarietà tra la motivazione e quanto era a disposizione del Collegio giudicante.

1.1. La censura, pur contenendo un rilievo esatto, non può comunque condurre all’accoglimento della richiesta di revocazione.

Osserva la Corte che, per giurisprudenza consolidata, una sentenza può essere oggetto di revocazione solo quando sia effetto di un preteso errore di fatto, e cioè unicamente nell’ipotesi in cui il fatto che si assume erroneo costituisca il fondamento della decisione revocanda o rappresenti l’imprescindibile, oltre che esclusiva, premessa logica di tale decisione, sicché tra il fatto erroneamente percepito, o non percepito, e la statuizione adottata intercorra un nesso di necessità logica e giuridica tale da determinare, in ipotesi di percezione corretta, una decisione diversa (così le Sezioni Unite di questa Corte, con l’ordinanza 23 gennaio 2009, n. 1666, ribadita, da ultimo, dall’ordinanza 23 aprile 2020, n. 8051, la quale ha chiarito che nella fase rescindente il giudice è chiamato a valutare la decisività dell’errore alla luce di un giudizio controfattuale).

Nel caso di specie è pacifico che un errore di percezione vi fu, perché l’art. 7 del contratto in questione – che l’ordinanza oggetto di revocazione ritiene non essere stato trascritto, allegato o comunque individuato nell’ambito del fascicolo – era invece presente, come oggi ammette anche lo stesso controricorso.

Tale errore di fatto, però, risulta irrilevante ai fini della decisione, perché l’ordinanza qui impugnata non si è limitata ad affermare che il testo dell’art. 7 non era trascritto, ma ha aggiunto una serie di altre considerazioni per le quali è pervenuta al rigetto del ricorso. In particolare, come già si è detto, l’ordinanza ha posto in luce il fatto che nel ricorso non era stata data una definizione di vettoriamento, bilanciamento e scambio e si era costruita una differenza rispetto al servizio di dispacciamento senza fornire una nozione nemmeno di quest’ultimo. Come correttamente ha osservato il Procuratore generale nella sua requisitoria scritta, “l’inidoneità della censura, imperniata evidentemente su di un raffronto tra un elemento negoziale e uno correlato alla Delib. dell’Autorità, è stata affermata dalla Corte di cassazione secondo una notazione complessiva e non solo per il frammento concernente la mancata trascrizione del testo della clausola”. Detto in altri termini, l’errore di percezione riguardante la mancata trascrizione del testo dell’art. 7 è irrilevante, perché l’ordinanza qui impugnata si regge comunque su altre considerazioni che rimangono intatte.

Ne consegue che la prima parte della censura risulta inidonea a fondare l’accoglimento della domanda di revocazione; e allo stesso risultato si perviene collegando questa con la seconda censura contenuta nell’unico motivo, della quale si va adesso a parlare.

2. Con la seconda parte dell’unico motivo di ricorso la società ricorrente lamenta violazione dell’art. 395 c.p.c., n. 4), contestando l’affermazione di questa Corte in base alla quale vi era carente indicazione di quali fossero le violazioni dei criteri di interpretazione del contratto compiute dalla Corte d’appello.

Secondo la ricorrente, invece, tale decisione sarebbe viziata da un “macroscopico errore”, risultante dalla lettura delle pp. 11-20 dell’originario ricorso. In quella sede, dopo aver indicato “le delibere regolatorie di riferimento non considerate dalla Corte d’appello”, il ricorso specificava – a dire della ricorrente – tutti gli errori di interpretazione nei quali la Corte d’appello era incorsa. L’odierno ricorso trascrive, “per comodità di lettura”, una parte della motivazione della sentenza impugnata nel precedente giudizio e le censure mosse nel motivo del precedente ricorso; e conclude affermando che l’ordinanza oggi impugnata dovrebbe essere revocata poiché emergerebbe “dal chiaro tenore letterale del contenuto del ricorso come le doglianze e le censure mosse alla interpretazione ermeneutica del giudicante siano state affrontate non con una mera e asettica esposizione di una propria e diversa (…), ma con una attenta, dettagliata e motivata analisi, che pone in condizione il lettore di ben comprenderne gli esposti motivi”.

2.1. La censura è chiaramente priva di fondamento.

Essa, infatti, non contesta un errore revocatorio, ma un vero e proprio errore decisorio; che, ove pure ci fosse, non consentirebbe comunque di accogliere l’odierno ricorso. L’ipotesi di revocazione dell’art. 395 c.p.c., n. 4), infatti, presuppone un errore di fatto, il quale si verifica “quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita”.

Nel caso in esame, l’ordinanza impugnata ha osservato che il primo motivo del ricorso in allora proposto era inammissibile anche perché prospettava “una questione d’interpretazione del contratto che non viene correttamente censurata riguardo all’erronea applicazione dei relativi criteri ermeneutici”; ciò in quanto una simile censura esige che si indichino quali regole di interpretazione siano state violate e “in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato” (così ancora l’ordinanza impugnata).

A fronte di simile motivazione, la società ricorrente lamenta di aver messo in luce nel precedente ricorso – a suo dire “con un’attenta, dettagliata e motivata analisi” – tutti gli errori di interpretazione del contratto commessi dalla Corte d’appello di Milano nella sentenza impugnata in quella sede. Ne consegue che, se anche fosse corretto il ragionamento dell’odierna ricorrente, la censura comunque non prospetterebbe un vizio revocatorio, ma sostanzialmente un vizio di violazione di legge, finendo col richiedere, in sostanza, un nuovo giudizio di legittimità (come correttamente rilevano il Procuratore generale nella requisitoria scritta ed il controricorso). Ne’ a diversa conclusione si può pervenire alla luce di quanto la parte ricorrente ha rilevato nella memoria di cui all’art. 378 c.p.c., dato che la questione della scorretta interpretazione della normativa regolamentare che, secondo quanto ivi sostenuto, sarebbe stata a fondamento del precedente ricorso finisce con l’imputare all’ordinanza qui in esame un errore di diritto e non di fatto.

3. Il ricorso, pertanto, è dichiarato inammissibile.

A tale esito segue la condanna della società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.

Sussistono inoltre le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 10.200, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 22 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2021

 

 

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